Le idee non cadono dal cielo
Napoleone Colajanni
Articoli collegati:
Cosa 1, Cosa 2, Cosa manca alla
sinistra
I compiti del riformismo
Le idee non cadono dal cielo
Le inadempienze della Quercia
Ma quale transizione?
Questo articolo è apparso sul numero di gennaio-febbraio di
Mondoperaio, la Rivista dei Socialisti Democratici Italiani diretta da
Luciano Pellicani
Credo che abbia fatto bene Mondoperaio a pubblicare le due relazioni
di Luciano Cafagna ai socialisti sul tema della “Cosa due”,
proprio per la ragione esposta: “i problemi che in essi vengono
enunciati restano in massima parte di irrisolta attualità”.
Discutere di questi testi significa discutere delle prospettive della
sinistra, e c'è da augurarsi che il dibattito prosegua senza veli e
senza impudicizie, senza preoccuparsi del fatto che essi sono senza
dubbio datati, ed alcune parti, ad esempio certi giudizi sulle forze
politiche ed anche sugli uomini, sono stati superate dai fatti.
Mi pare che ci siano due parti ben distinte: una di forte spessore
teorico, l'altra dedicata all'analisi delle forze politiche di
sinistra operanti sulla scena italiana. Affrontare insieme i due temi
ci porterebbe forse troppo lontano, anche se sono assai suggestivi,
come il giudizio sulla funzione di Berlinguer e sull'eredità del
Sessantotto nel Pci, ma credo che non mancheranno le occasioni per
ritornarvi su Mondoperaio. Io vorrei esprimere qualche opinione sulla
pars construens, o meglio su un tema di questa, la definizione del
riformismo e i caratteri che si ritengono essenziali per il partito
della sinistra socialista italiana. E lascerei anche da parte, pur se
il tema è rilevante, le considerazioni sulla forma che un tale
partito dovrebbe assumere.
C'è in Cafagna un approccio al ragionamento che vorrei discutere
immediatamente. Io sono fermamente convinto che il punto di partenza
di ogni ragionamento sulla sinistra per identificare lo spazio di un
partito socialista europeo debba essere l'analisi del concreto,
insieme con quello delle forze politiche e della loro storia. Se
questo diventa prevalente si creano delle confusioni che portano fuori
strada. Sono anni che a sinistra, ma non solo a sinistra, si discute
in questo modo, ma non siamo andati molto lontano. Anche quando le
invettive e le intimazioni alle autocritiche si sono andate smorzando,
il nominalismo ha continuato a prevalere, a scapito, non
involontariamente, della ricerca di definizioni e posizioni precise.

Alcuni, con l'accusa di astrattezza sempre a portata di mano,
sostengono che il «far politica» sia possibile solo mantenendo le
cose nel vago e così privilegiano l'abilità manovriera rispetto al
rigore intellettuale. Ma qui l'esperienza deve sciogliere il nodo: in
questo modo il problema della costituzione di una cosa grande che sia
“punto di riferimento fondamentale e centro di una coalizione priva
di contraddizioni limitanti e capace di largo consenso fiduciario e di
stabilità” non ha fatto un solo passo avanti. Si tratta quindi
davvero di comprendere “come procedere” su una via diversa da
quella che ancora oggi è prevalente. Un “cosa nuova e grande”
nasce soltanto se si risponde a domande reali, poste dalla società
reale oltre che dalla politica, se si parte dall'analisi del presente
e non dagli interrogativi sul passato. Abbiamo bisogno di una “rivoluzione
culturale” dice Cafagna, ed ha ragione. Qui vedo in Mondoperaio una
scelta che condivido appieno, anche se Giuliano Amato ha trovato
eccessivo il peso di certi contributi, una scelta a privilegiare
l'analisi e la battaglia delle idee, idee che non cadono dal cielo,
come diceva Antonio Labriola. Una scelta che privilegia la ricerca,
rispetto a un «far politica» che lascia le cose come stanno, quando
è fuori da una forza organizzata.
Quello che manca alla sinistra italiana, ed anche a tutta la sinistra
europea, è una analisi coerente della società contemporanea, senza
di che ci si riduce ad accettare l'analisi della destra. Cafagna dice
giustamente che “non possono considerarsi realistiche fughe in
avanti che vogliano assumere all'improvviso modelli di oltre-atlantico
generati da esperienza storiche profondamente diverse” e ciò non si
applica soltanto alla velleità di contrabbandare in Italia il partito
democratico americano, ma anche al modello di società. Invece fino ad
ora la sinistra europea si è mossa tra l'aspirazione a raggiungere il
modello americano ed un'empiria pratica non priva di contraddizioni.
Il tentativo della «terza via» si può dire già fallito. Manca una
analisi compiuta di che cosa è il capitalismo europeo, quali sono i
suoi punti di contraddizione, come si colloca in quell'economia
globale che è un dato di fatto, quali sono le caratteristiche dello
stato nel capitalismo maturo, e se e come tutto questo influisca sulla
formazione dei giudizi di valore. Da questo punto di vista la destra
è molto più coerente, si poggia su tre punti fermi,
l'individualismo; una concezione dell'etica come data da valori
sempiterni, in definitiva religiosi; il liberismo economico.
Oltre che idee, la sinistra ha bisogno di ricostruire ideali ed anche
questi non cadono dal cielo. La forza del socialismo era l'ideale
dell'emancipazione del lavoro, quella del comunismo l'idea di non
lasciarsi trascinare dalla storia per poterne essere protagonisti
attivi e consapevoli. Tutti e due sono stati superati, il secondo dal
fallimento concreto del tentativo, anche se sulle modalità e le cause
di questo fallimento troppo poco ancora si ragiona accettando per
buone alcune banalità della destra; il primo da una emancipazione che
in gran parte è avvenuta, grazie allo sviluppo capitalistico
condizionato dall'azione del socialismo, per cui non ha più senso
dire che la classe operaia è la classe generale. Si tratta di vedere
però se oggi non possiamo non dirci capitalisti, nel senso in cui
Benedetto Croce diceva che non possiamo non dirci cristiani. Se non si
risolve questo punto la sinistra socialista sarà perpetuamente alla
ricerca di una propria identità o la cercherà esclusivamente nel
concretismo dei programmi di governo. E così la sua forza di
attrazione sarà sempre debole, e la corsa verso il centro sarà il
suo modo di concepire la politica. Potrà andare al governo solo per
amministrare, non per essere forza di governo che riforma.

C'è un punto su cui debbo manifestare un dissenso aperto con Cafagna,
e mi pare rilevante. Cafagna dice “il problema è proprio questo,
che la sinistra cavalchi la modernizzazione capitalistica…che la
sinistra trovi nel cavallo della modernizzazione capitalistica lo
strumento per salvare al meglio una lunga stagione di successi
negoziali” . Mi pare che qui riviva l'illusione del «mungere la
mucca capitalistica» (mi sia consentito di ripetere un paragone che
ho usato più volte) riducendo tutto a sapere cosa si fa del latte,
senza porsi nemmeno il problema di sapere cosa si dà da mangiare alla
mucca, se produce latte abbastanza, chi pulisce le stalle e da quale
veterinario condurla quando si ammala. Ci sono o no contraddizioni in
una modernizzazione capitalistica, che come Carlo Marx aveva previsto
un secolo e mezzo fa, è la conseguenza dello sviluppo delle forze
produttive, e che perciò non si può fare a meno di cavalcare? Cosa
è la società capitalistica oggi?
Le forze produttive si sono sviluppate, ma è aumentata
l'instabilità; la globalizzazione ha provocato nuove contraddizioni
che già si vedono all'orizzonte, con la marcia verso la costituzione
di nuovi blocchi regionali, a partire dall'Asia, e con conseguenze che
nel tempo possono essere incalcolabili; la finanziarizzazione
dell'economia porta ad un processo di accumulazione sempre più
sociale, ma con una appropriazione privata. E non dice niente
l'avvilimento della cultura nella soap opera, nonché il fatto che la
crisi dello stato del capitalismo maturo comincia a toccare il
sacrario della democrazia, gli Stati Uniti?
Affrontare questi temi non è abbandonarsi ai voli pindarici, e non è
nemmeno il parolaio «volare alto» dei demagoghi della sinistra, di
Bertinotti e di altri. Respingere il massimalismo è essenziale, ma
tutta la difficoltà della ricerca sta nel fatto che per questo non si
può ripiegare sulla destra, occorre davvero costruire una cosa nuova
e grande, ed avere il coraggio di misurarsi con i grandi temi,
ricercare nuovi ideali, costruire una nuova ideologia, sissignori
un'ideologia, perché questa secondo i dizionari altro non che
l'insieme degli argomenti adoperati a legittimare la propria
posizione.
Dubito che a questo punto il sostantivo «riformismo» possa esaurire
la questione. Nel dibattito corrente la parola «riforme» viene
adoperata più a intendere le liberalizzazioni e le privatizzazioni
che non gli interventi sul funzionamento dell'economia e delle
istituzioni. L'aggiunta dell'aggettivo «liberale» al sostantivo
«socialismo» mi pare strumentale. Il riformismo non si riduce
all'acquisizione di un elenco di temi, ma deve entrare nel merito, per
dire come e con chi quelle cose debbono essere fatte. Modificare lo
stato sociale per renderlo compatibile con le nuove costrizioni; la
concertazione; il riassetto del rapporto tra pubblico e privato; la
mediazione tra ordine pubblico giustizia e garanzie; il pluralismo
nell'informazione; le autonomie; l'ambiente; l'istruzione; i nuovi
soggetti sociali; l'immigrazione; su tutti questi temi un partito
socialista non può contentarsi di sottolineare la propria
consapevolezza, deve entrare nel merito e dire in che cosa differisce
dalla destra. Perché anche la destra, almeno quella europea se non
quella italiana, è perfettamente consapevole del fatto che con questi
temi occorre misurarsi.
Una cultura di governo non è fatta soltanto di realismo nell'analisi
delle forze in campo, di valutazione ed accettazione dei
condizionamenti, di competenza ed efficienza nell'elaborazione delle
decisioni. È fatta anche dalla capacità a raccordare il governo
delle cose all'ideale che lo sostiene, perché il mondo è cambiato ma
molto meno il modo di essere degli uomini e senza ideali non si
costruisce quel consenso che è condizione per poter governare
davvero. Il socialismo moderno non può rinunziare all'idea di
interesse generale, pur difendendosi strenuamente dall'idea che esso
necessariamente s'incarni nel partito, ma affidandone la definizione
volta per volta alla dialettica delle forze contrapposte.
La grande conquista del socialismo europeo, che ha assicurato la sua
sopravvivenza nei confronti del comunismo, è stata la concezione del
processo continuo, in cui si agisce e si riparte, rispetto a quella
del modello da raggiungere. A questo bisogna affidarsi per gettare
nella mischia senza complessi i propri ideali, non annacquandoli.
Consapevoli del fatto che contrapporre l'interesse generale
all'individualismo della destra comporta necessariamente far proprie
le esigenze dell'avversario, come Antonio Gramsci ha luminosamente
spiegato. E il metodo democratico diventa l'unica cornice possibile ad
una dialettica conflittuale che politicamente si risolve
nell'alternanza.
C'è infine la questione della molteplicità dei riformismi. Cafagna
ne indica tre, quello socialista, quello comunista, e quello laico, e
per comodità, ma solo per questo, prego di non essere male
interpretato, possiamo dire del partito d'Azione. Credo che
bisognerebbe aggiungervi quello cattolico, ma non mi pare questo un
punto rilevante. La questione esenziale è definire in che cosa il
socialismo moderno si distingue dagli altri riformismi. Qui mi pare
che ci sia una differenza tra il riformismo delle regole e della
redistribuzione, a cui pur partendo da presupposti ideali diversi si
riferiscono forze laiche e cattoliche, e il riformismo dell'azione
cioè dell'intervento consapevole nell'economia, che non ricada nel
dirigismo, ma sia compatibile con il funzionamento del mercato. Questo
vede lo stato come soggetto attivo, il primo lo vede soltanto come
regolatore. La moda dell'antistatalismo non dovrebbe impedire di
affrontare questo tema con la necessaria libertà di pensiero. Il
partito socialista moderno non può rinunziare alla funzione dello
stato, non perché lo consideri una entità da conquistare, e meno che
mai l'inveramento dell'interesse generale, ma come mezzo per un
intervento consapevole nella società. Quindi componente essenziale
del riformismo.
I due riformismi sono quindi differenti su un punto fondamentale. Nel
concreto sarà sempre possibile trovare i punti comuni, pur restando
fedeli ai propri ideali. In termini politici sono questi i due
elementi della coalizione di governo. Ma qui, si parva licet
componere magnis, siamo alle discussioni sulla quercia e
sull'ulivo, e la botanica non è il mio forte.
Articoli collegati:
Cosa 1, Cosa 2, Cosa manca alla
sinistra
I compiti del riformismo
Le idee non cadono dal cielo
Le inadempienze della Quercia
Ma quale transizione?
i e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |