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L'Odin Teatret a Roma

Josè Luis Sànchez-Martìn



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Due settimane fa, come spunto per presentare il bello spettacolo sperimentale egiziano "Mekhadat El-Kohl", abbiamo scritto a lungo sugli stretti rapporti che intercorrono tra il rinnovamento del teatro occidentale del Novecento e l'Antropologia. Una delle realtà teatrali che più si è spinta su quella strada fino a farne la propria bandiera e il senso del proprio approccio al teatro è sicuramente il gruppo danese Odin Teatret, diretto da Eugenio Barba. L'Odin Teatret, assieme al Laboratorium di Grotowski, il Living Theater di Julian Beck e Judith Malina e le splendide esperienze multietniche e multiculturali di Peter Brook, rappresenta uno dei riferimenti fondamentali di quel teatro internazionale che, nella seconda metà del XX secolo, ha messo al centro della sua attenzione la figura dell'attore.

Bene ha fatto quindi il Teatro di Roma a programmare al teatro India, in collaborazione con il DAMS dell'Università Roma Tre e con il coordinamento e la direzione artistica del professor Franco Ruffini, una iniziativa che per durata, articolazione del programma e diversità delle proposte risulta unica in Italia: un intero mese dedicato alla presentazione delle attività artistiche e pedagogiche dell'Odin Teatret. Per tutto maggio, infatti, il gruppo ha soggiornato a Roma presentando ben sette diversi spettacoli, numerose proposte pedagogiche e altrettante iniziative collaterali, anche fuori programma.

L'Odin Teatret nasce a Oslo, in Norvegia, nel 1964, sotto il segno del rifiuto. Infatti, la prima formazione era un gruppo di aspiranti attori rifiutati dall'Accademia teatrale norvegese, riuniti da Barba intorno all'idea della ricerca di un modo nuovo di fare teatro e per elaborare, partendo dalla sua esperienza al Laboratorium di Jerzy Grotowski in Polonia e dalle sue osservazioni in giro per il mondo quando faceva il semplice marinaio, una forma di "allenamento" fisico e mentale (detto "training") che permettesse la nascita di un nuovo tipo di attore. Questa origine marginale servirà come punto di partenza anche per elaborare una nuova filosofia del fare teatro: "Il carattere essenziale del nostro teatro è l'autonoma costruzione di un senso che non riconosce i confini che la società e la cultura circostanti assegnano all'arte scenica", "...la ricerca del senso è soprattutto personale scoperta del mestiere... la costruzione paziente di una propria relazione fisica, mentale, intellettuale ed emotiva con i testi e con gli spettatori, senza uniformarsi a modelli...", "La tradizione dell'Odin Teatret è la capacità di tener viva e trasmettere la propria esperienza, nel lavoro per la scena e nella vita del teatro", "...Il nostro teatro è l'eredità di noi a noi stessi".

La "differenza" diventa ancora di più una molla per ricercare un modo proprio per comunicare quando il gruppo si trasferisce in Danimarca, accettando al suo interno attori e attrici di varie nazionalità. Mancava quindi non solo una lingua madre per parlare tra di loro, ma soprattutto una lingua in comune con il paese che li ospitava, con i loro primi spettatori. Si rese indispensabile allora sviluppare e potenziare tutte quelle componenti dell'arte dell'attore che non sono letterarie o del linguaggio, ma che comunicano attraverso i sensi e l'emozioni, che colpiscono il corpo dello spettatore tramite il corpo dell'attore. Inevitabile quindi non solo rivolgersi alle più importanti esperienze di ricerca del secolo, come la Biomeccanica di Mejerchol'd o lo studio delle capacità espressive del corpo effettuato da Decroux, ma anche e soprattutto alle potenti e articolate tradizioni di danza-teatro dell'Oriente: India, Bali, Cina, Giappone... Da allora, gli attori viaggiano per imparare nuove tecniche, i maestri vengono invitati a Holstebro, la sede del gruppo in Danimarca, per trasmettere antiche tradizioni e confrontarsi con nuove domande.

Nasce così nel tempo l'originale sistema di regole e metodi che caratterizzano l'Odin nella creazione sempre nuova di tecniche extra-quotidiane dell'uso del corpo e di un sistema di motivazioni intime e segrete che diventano la loro vita interna, che rendono "naturali" in modo nuovo ed estremamente affascinanti quelle azioni extra-ordinarie. Questo rapporto dinamico tra le azioni e la loro segreta motivazione, motore fondamentale nello svolgersi di una improvvisazione e quindi la base su cui poggia l'intera creazione teatrale, è quello che Barba ha definito il pensiero paradossale dell'attore, oppure, con un termine preso in prestito da Ibsen, la necessaria "menzogna vitale".

All'interno di questa concezione nuova del teatro e dell'attore e in strettissimo rapporto coi processi di ricerca personale e collettiva prima accennati, nascono gli spettacoli dell'Odin Teatret. In assoluta libertà dai canoni "classici" del teatro e relegando in secondo piano elementi tecnici come la scenografia e l'illuminazione, nelle sue messe in scena Barba ha concentrato l'attenzione quasi esclusivamente sull'attore. Una preparazione fisica sorprendente e un assoluto dominio delle proprie potenziate capacità espressive, permettono agli attori di padroneggiare la scena e di colpire profondamente l'immaginario e la sfera emotiva dello spettatore, già spaesato dall'uso non convenzionale dello spazio.

Testi di vario genere, canzoni, poesie, musiche dal vivo, intense azioni fisiche di grande precisione che potremmo chiamare "danze", l'uso inconsueto e fortemente espressivo di oggetti e strumenti musicali e un uso delle più insospettate possibilità della voce, sono gli elementi che concorrono nei "montaggi delle attrazioni" degli spettacoli realizzati in questi trentasei anni di attività e che hanno frequentemente richiesto anche più di due anni di preparazione. Nel suo girovagare per il mondo, in decine di paesi dei cinque continenti, l'Odin ha presentato più di venti spettacoli difficili e coinvolgenti, spesso definiti come enigmatici, pregni di una carica quasi "eversiva" che invece di promulgare certezze provoca dubbi, e destinati a un pubblico ridotto, in qualche caso soltanto 50 spettatori.

Oltre ai primi tre spettacoli, che hanno definito la "personalità" del gruppo e che furono presentati come "studi scenici" da testi di altrettanti drammaturghi contemporanei ("Ornitofilene" del '65, "Kaspariana" del '67 e "Ferai" del '69), rimangono nella memoria del teatro contemporaneo spettacoli come "Min Fars Hus" (La casa del Padre) del '72, basato su alcuni episodi della vita di Dostoevskij e che fece conoscere l'Odin nel mondo, "Come! and the day will be ours" del '76, la sconvolgente e crudele messa in scena della violenza devastatrice della cultura "civilizzata" nei confronti delle altre culture, "Il Milione" del '78, definito come una commedia musicale autobiografica, "Le Ceneri di Brecht" del '80, un ispirato e intenso omaggio alla libertà intellettuale e artistica del noto drammaturgo, visto nel lungo e difficile periodo dell'esilio.

Ma l'Odin Teatret, rielaborando elementi appresi soprattutto durante il loro lungo soggiorno nel Cilento, terra natale di Barba, ha proposto anche spettacoli di grande presa popolare, realizzati all'aperto, in piazze o attraversando strade sotto forma di "parata" teatrale, utilizzando elementi di spettacolarità che fino a quel momento non appartenevano al linguaggio prettamente teatrale, come trampoli, bandiere, tamburi, piccoli effetti pirotecnici, ecc., elevando questo modo di fare teatro a un vero e proprio genere.

Tornando al soggiorno romano del gruppo, cominciamo col mettere in luce la massiccia presenza di proposte pedagogiche, che hanno coinvolto centinaia di giovani attori e registi, accorsi anche da molto lontano, persino dalla Sicilia, per conoscere di persona e apprendere da questi "maestri", diventati quasi dei miti del teatro che è al di fuori della prosa "classica". Due sono state le modalità delle proposte pedagogiche: da una parte quella pratica, con "Narrazione e sensorialità: livelli di drammaturgia", seminario sulla regia tenuto da Eugenio Barba per venti giovani registi, e "Il sapere tacito", una serie di sette seminari tenuti da altrettanti attori dell'Odin Teatret sulle mutazioni dell'energia, la presenza scenica, l'azione e le intenzioni, il lavoro sulla voce e sulla musica di scena, ecc. e destinati, a seconda delle tematiche, ad attori, a danzatori o a musicisti.

Dall'altra, quella dimostrativa, con "Il sapere teatrale. La via dell'attore", un seminario di tre giorni, aperto a tutti e tenutosi al teatro Argentina, condotto durante le mattine da Barba che ha analizzato, con la partecipazione degli attori dell'Odin, alcuni aspetti del loro teatro, in particolare quello vocale, e durante i pomeriggi da un gruppo di professori coordinati da Franco Ruffini, tra cui Ferdinando Taviani, Mirella Schino e Nicola Savaresi. In una seconda fase si sono svolte la mattina al teatro India le dimostrazioni di lavoro individuali degli attori, "conferenze" pratiche in cui si scompone e si analizza un aspetto del proprio lavoro: "Orme sulla neve", di Roberta Carreri, sul processo creativo sotteso al lavoro dell'attore; "L'eco del silenzio", sulla tecnica della voce e l'interpretazione di un testo e "Il fratello morto", sulla drammaturgia dell'attore in rapporto alla drammaturgia del regista, entrambi di Julia Varley; "I sentieri del pensiero", con Torgeir Wethal, sul significato dell'improvvisazione nel costruire un ruolo; "Dialogo fra due attori, con Torgeir Wethal e Roberta Carreri, interpretazione della scena finale di "Casa di bambola" di Ibsen in cui i due attori dell'Odin Teatret si incontrano per provare ad usare la loro esperienza professionale in un lavoro "naturalistico" con un testo classico; "Testo, azione, relazione", con Julia Varley e Tage Larsen, dove, partendo da un testo classico, i due attori sviluppano in pubblico un dialogo attraverso la creazione e l'elaborazione di azioni fisiche e vocali; "I venti che sussurrano nel teatro e nella danza", con Eugenio Barba e gli attori dell'Odin Teatret, sulla differenza tra teatro e danza. L'energia extra-quotidiana dell'attore, il "training" come via di crescita autodidattica, l'improvvisazione come base della creazione teatrale, sono stati alcuni tra i concetti più importanti espressi dai seminari. E' stato sorprendente vedere che questi elementi, diventati ovvii o addirittura banali per alcuni, sono scoperte illuminanti che affascinano ed eccitano nuove generazioni, come già altre, quindici, venti anni fa.

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Non pochi gli spettacoli presentati in questo mese. Si è cominciato con "Dentro lo scheletro della balena", spettacolo molto particolare per soltanto 50 spettatori, andato in scena per soli tre giorni, difficile da commentare e del quale preferiamo riportare nient’altro che la citazione biblica che la stessa compagnia propone come una specie di sottotitolo: "Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona. (Matteo 12, 39)". Ancora con tutto il gruppo lo spettacolo "Ode al progresso", sorta di riedizione del vecchio "Il Milione", in cui prendono corpo con leggerezza musicale e astrattezza le storie di potere e sopraffazione che hanno attraversato la Storia, in particolare nel rapporto tra la cultura occidentale, il "progresso" appunto, e le altre culture, tema questo molto caro a Barba e che ha già sviluppato in passato.

L'altro spettacolo che coinvolgeva l'intero gruppo e che rappresentava la novità più attesa nella capitale è stato "Mythos", presentato per ben due settimane, durata che probabilmente è molto vicina ad essere un record di permanenza in Italia per uno spettacolo teatrale di una compagnia straniera e per di più ben lontana dai canoni commerciali. Svolto tra due gradinate sulle quali è sistemato il pubblico, che così si trova sempre faccia a faccia con altri spettatori, lo spettacolo, fortemente ritualizzato e a volte quasi violento, in una atmosfera cupa e opprimente racconta, basandosi soprattutto sulle bellissime e intense poesie del danese Henrik Nordbrandt, della veglia funebre attorno al cadavere di un rivoluzionario da parte dei "feroci" personaggi dei miti greci, che si impadroniscono di lui e lo introducono alla loro immortalità. Edipo, Medea, Orfeo, Dedalo, Sisifo, Cassandra, Ulisse.

Scrive Barba: "Possiamo immaginarli stanchi di uccidere e di essere uccisi, stanchi di rapire e distruggere, di violare ed essere violati. Ecco i miti dell'antica Grecia che ripetono da millenni le loro azioni di ferocia. Possono i personaggi del mito rappresentare la Storia? La Storia non è proprio il contrario del mito? La Storia è anche il senso inesorabile del divenire, la Forza vittoriosa sulla Giustizia, gli ideali rovesciati, il ricorrente trionfo dei sistemi che sbeffeggiano le utopie. Ed è in questa dimensione che è ambientato Mythos". Per questo rivoluzionario, il misconosciuto e analfabeta Guilhermino Barbosa, che dal 1925 al 1927 marciò per 25.000 chilometri in lungo e in largo per l'intero Brasile, lottando per la dignità del suo paese che era finito in mano a governanti corrotti, per questo rivoluzionario che non vinse mai ma non fu mai sconfitto, "per lui, che ha lottato per una umanità internazionale e giusta, i protagonisti del mito recitano le menzogne e gli orrori che li resero eterni. Evocano il senso oscuro del destino. (...) Mentre la petulanza di Odisseo commenta scettica e beffarda la cieca vitalità dei vivi."

Certamente lo spettatore poco informato non riesce a cogliere fino in fondo tutto questo, ma, grazie alla potenza delle immagini e alla presenza superlativa degli attori, rimangono sicuramente impressi nella memoria i personaggi del mito e la loro "ferocia" crudele, il senso del destino oscuro, il tappeto di decine di cadaveri sparsi nel pavimento e rappresentati da altrettante mani di legno, le parole che parlano di un secolo violento e implacabile, l'eterno camminare del soldato morto... Uno spettacolo forse troppo cupo e senza speranze, un boccone forse troppo amaro per poterlo mandare giù, ma di un impegno umano e politico molto alto, arrabbiato e addolorato al tempo stesso, e di una forza evocativa e misteriosa come pochi se ne sono visti negli ultimi anni.

L'attrice danese Iben Nagel Rasmussen, veterana del gruppo, entrata a formarne parte poco tempo dopo la fondazione, è per molti la figura più carismatica e quella che negli anni ha lasciato il segno più profondo nei suoi numerosi ammiratori e allievi, occasionali o programmaticamente fedeli negli anni. Soprattutto in Italia, grazie ai suoi svariati soggiorni lungo la penisola sia insieme all'Odin, sia da sola o con il suo gruppo, non a caso chiamato "Farfa", come il paesino della Sabina al nord di Roma dove è nato, risultato di un lungo periodo di lavoro con attori di varie nazionalità ormai diversi anni fa. Tra quelli che la considerano come indiscusso "maestro", forse il più noto è l'attore Danio Manfredini, vincitore due volte dell'ambito premio Ubu come migliore attore italiano. Iben, come familiarmente la chiamano tutti, ha presentato due spettacoli molto diversi tra loro ma con un importante elemento in comune: il racconto di se stessa.



In "Bianca come il gelsomino", a metà tra la dimostrazione di lavoro e lo spettacolo, ci racconta la sua storia di attrice nell'Odin Teatret attraverso le tappe della sua formazione professionale, soprattutto con intensi brani dei vecchi spettacoli, in particolare canzoni, che prendono nuova linfa e intensità dall'essere proposti come tappe del percorso di una vita. In "Itsi Bitsi" invece, è la sua travagliata e movimentata esistenza prima di entrare nel gruppo ad essere raccontata e messa a confronto con la sua vita attuale. Accompagnata dagli attori-musicisti Jan Ferslev e Kai Bredholt ci racconta degli anni '60, di come scopre la protesta, il pacifismo, i viaggi, la droga, e di come condivide tutto questo con Eik Skaloe, suo compagno, noto per essere stato il primo poeta cantautore beat a cantare in danese. Le strade si separeranno: lui morirà suicida in India nel 1968, lei comincerà un percorso di attrice in cui ritroverà e ricollocherà quel senso e quell'intensità che si sarebbero altrimenti smarriti nell’autodistruzione.

"Il castello di Holstebro II" e "Le farfalle di dona musica" sono due assoli presentati dall'attrice inglese Julia Varley, anch'essi in qualche modo racconti di se stessa, anche se, come nel secondo, è il personaggio di un altro spettacolo, dona musica da "Kaosmos", a parlare e raccontare e non l'attrice in prima persona.

Ultimo degli assoli proposti dalle attrici dell'Odin, "Judith" è interpretato dall'italiana Roberta Carreri, liberamente tratto dalla storia di Giuditta, l'eroina ebrea che si sacrificò per salvare il suo popolo concedendosi al nemico Oloferne, per poi decapitarlo nel sonno. Sulla scena soltanto una sedia sdraio, un bonsai, la testa di Oloferne e l'attrice, che sfoggia un bagaglio tecnico stupefacente. Intenso, rarefatto, oscuro, inquietante, elegante, orientale, virtuoso, sono solo alcuni degli aggettivi che possono dare una idea di uno spettacolo impossibile da descrivere.

Varie sono state anche le iniziative collaterali. Per esempio, la mostra fotografica di Tony d'Urso, allestita al teatro India, che racconta quasi tutta la storia dell'Odin Teatret, cogliendo i momenti più importanti degli spettacoli ma anche della vita del gruppo, come il lungo soggiorno nel sud dell'Italia. E' stato presentato anche il libro che raccoglie le immagini della mostra, intitolato "In viaggio con l'Odin". Eugenio Barba ha tenuto varie conferenze e incontri, tra cui quello alla terza università in occasione della mostra di disegni di Julian Beck in cui ha parlato del suo rapporto, conflittuale e profondamente affettuoso al tempo stesso, con il fondatore del Living Theater. Tra le iniziative più interessanti, però, dobbiamo parlare dei "baratti" e della "Biblioteca". I baratti sono una vecchia abitudine dell'Odin per entrare in rapporto con un territorio, una popolazione, una cultura. Si tratta di uno scambio, tra il rituale e l'informale, delle proprie specificità culturali, senza che intervenga nessuna logica commerciale o di organizzazione burocratica.

Così, in varie occasioni, l'Odin ha scambiato brani, azioni e canzoni degli spettacoli con alcune realtà del quartiere. Al circolo sociale, gli anziani hanno ballato per loro con sorprendente vitalità. Una mattina i bambini di due scuole hanno presentato due piccoli brani teatrali, in cambio dello spettacolo di clowneria musicale dell'attore Kai Bredholt. E così via fino all'ultima serata a Roma del gruppo, durante la quale, nello spazio all'aperto del teatro India, si è svolta una grande festa popolare, che ha visto alternarsi sui palchi brani dello spettacolo "Ode al progresso" a brani eseguiti dalla locale banda musicale, agli anziani ballerini prima menzionati, a una dimostrazione di giovani danzatrici funky, al gruppo di percussioni "Tai Ko Do" e ancora a quant’altro il quartiere poteva offrire nella sua variegata vita culturale.

Molto interessante anche, dal punto di vista pedagogico, lo spazio chiamato "Biblioteca dell'Odin", curato dalla professoressa Clelia Falletti. Oltre a vendere libri vari sul teatro a prezzo scontato e videocassette prodotte dall'Odin Teatret sulla propria storia teatrale, ma anche su vari aspetti tecnici come il training del Laboratorium di Grotowski e dell'Odin, la "Biblioteca" ha proposto una lunga serie di incontri in cui si affrontavano con un taglio apertamente "antropologico" temi storico-tecnico (la Biomeccanica, Decroux, spettacoli con la regia di Grotowski, esempi da varie tradizioni dell'Oriente, ecc.) tramite videofilmati presentati dalla professoressa Falletti e in genere provenienti o in stretto rapporto con le sessioni dell'ISTA.

Ed è proprio l'ISTA, l'International School of Theatre Anthropology (Scuola Internazionale dell'Antropologia Teatrale) diretta da Eugenio Barba, la sede dove trova continua conferma e nuova riflessione il loro approccio antropologico. Si tratta di un appuntamento di lavoro, analisi e studio che, dopo la prima sessione a Bonn (Germania) nel mese di ottobre del 1980, si è tenuto ogni volta in un paese diverso più o meno ogni due anni, con maestri delle tradizioni orientali e occidentali, oltre che studiosi e professori di varie nazionalità. Scrive Barba nella sua introduzione alla prima sessione: "Le scuole di teatro mi hanno sempre messo a disagio, forse per quella reazione di difesa che trasforma un complesso di inferiorità in un atteggiamento di superiorità. In teatro sono stato un autodidatta. Autodidatti sono stati i primi attori che con me hanno fondato l'Odin Teatret. Ma pur essendo passato un tempo sufficiente a rendere inutili queste reazioni di difesa e di inferiorità, le scuole teatrali continuano a crearmi disagio. Esse sono organizzate proprio come delle scuole; mettono alcuni allievi in contatto con diversi insegnanti, che possono essere molto abili ed efficaci, che desiderano trasmettere il meglio della loro esperienza, ma che il contesto trasforma in professori di questa o quella materia. Credo che l'apprendistato teatrale non possa farsi con dei professori. Credo che ci sia bisogno di maestri." E sono veramente importanti i maestri che si sono susseguiti in questi vent'anni all'ISTA. Solo per dare qualche nome, possiamo menzionare Katsuko Azuma e Kanichi Hanayagi dal Giappone, Sanjukta Panigrahi e Ragunath Panigrahi dall'India, I Made Tempo e I Made Djimat dall'isola di Bali, Tsao Chun-Lin dalla Cina.

"L'ISTA non è stata e non sarà ordinata per corsi, lezioni, materie. E' piuttosto il risultato di mutamenti continui, di gruppi che si aggregano e si scompongono, di programmi che si creano quasi giorno per giorno, settimana per settimana, e che possono essere rovesciati e superati altrettanto velocemente di come sono stati progettati. Non ci sono classi, ma quasi effimere famiglie attorno all'esperienza di maestri di teatro venuti da diversi paesi dell'Oriente e dell'Occidente. Solo perchè il disordine è consapevole e costante, esso lascia percepire d'essere profondamente ordinato: ordinato non alla scansione meccanica di un corso di apprendimento, ma allo sviluppo organico delle singole strade individuali di ciascun partecipante."

Barba dichiara che lo scopo dell'ISTA ha "l'ambizione di individuare conoscenze utili alla pratica dell'attore. Ciò non vuol dire cercare leggi, ma studiare regole di comportamento. E di quale comportamento parliamo? Diversi attori, in luoghi ed epoche diverse, fra i diversi principi caratteristici a ciascuna tradizione, si sono serviti anche dei pochi principi simili. Rintracciare questi principi che ritornano è il primo compito dell'antropologia teatrale. I principi che tornano non sono prove dell'esistenza di una 'scienza del teatro' o di alcune sue leggi universali. Sono solo consigli piuttosto buoni, indicazioni che hanno una forte probabilità di risultare utili al lavoro dell'attore. (...) I buoni consigli hanno questa particolarità: possono essere seguiti o contraddetti, non sono tassativi come le leggi. O addirittura - ed è forse il modo migliore di utilizzarli - possono essere obbediti proprio per essere infranti e superati."

Centinaia di attori e registi, in particolare giovani, hanno ricevuto dal lungo soggiorno dell'Odin Teatret a Roma dei "buoni consigli". Ci auguriamo che, all'incontrario di molti loro "fratelli maggiori" delle generazioni precedenti, si ricordino che non sono tassativi come le leggi e sappiano quindi non soltanto farne buon pro, ma anche che sappiano infrangerli e superarli con intelligenza creativa.


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