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L'arte del convincere
Guido Martinotti
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Chiediamoci senza riserve: perché la sinistra ha perso così
clamorosamente alle elezioni del 16 Aprile (mese peraltro infausto per questa parte
politica)? Va da sé che le ragioni sono molte ed è inutile fare ora un catalogo
inevitabilmente effimero. E diciamo anche subito che si è trattata di una sconfitta
soprattutto televisiva, per non dire virtuale, ma su questo punto tornerò oltre perché
è controverso. Sembra invece esservi un consenso generale su un'altra affermazione e
cioè che questo risultato non sia contingente, ma che esprima uno di quegli stati
dell'anima collettiva, che Durkheim chiamava "un courant d'opinion, une poussée
collective". Concordo con questa interpretazione, che del resto non può
sorprendere perché nell'ultimo decennio del secolo si sono accavallati eventi di tale
portata, sul piano geopolitico, economico e culturale che solo per miracolo divino non
potrebbero lasciar traccia. Con ciò non mi avvio a dire che i singoli individui e in
particolare i leader politici debbano avere i loro errori scusati dalle grandi correnti
storiche. Questo è sociologismo da giornaletto parrocchiale, perché al contrario è
proprio durante la tempesta che si vede il buon timoniere. Ma un punto di vista più ampio
ci aiuta a capire meglio.
Tutti i grandi movimenti politici necessitano di una loro descrizione del mondo,
descrizione che deve apparire convincente e plausibile. Questa descrizione non può che
essere una semplificazione della realtà, anzi una grande sempificazione, anche perchè
nella democrazia di massa, come hanno osservato tutti i suoi critici del diciannovesimo e
del ventesimo secolo, il compito di proporre queste visioni semplificate della realtà è
spesso nelle mani dei demagoghi che Geoge Sorel definiva "les terribles
semplificateurs". In passato la sinistra ha fornito molte spiegazioni plausibili
della realtà, si trattava di buoni ragionamenti che sostanzialmente giocavano su alcuni
elementi di grande forza. La società attuale è iniqua e per di più non funziona,
perché produce iniquità in modo crescente, anziché ridurla. E questo era lì da vedere.
La società sta in piedi perché chi ha il potere materiale di impedire rivolgimenti,
difende gli interessi della classe dominante, e anche questo non era (e non è) difficile
da vedere.
E' un poco più difficile convincersi che l'equilibrio sia temporaneo, terzo passo logico,
e difatti su questo punto vi fu sempre grande dibattito. Tuttavia sembrava plausibile che,
essendo gli oppressi maggioranza, se si uniscono e lottano assieme possono governare il
cambiamento e assicurare ai propri figli una società migliore. Questa non era solo una
grande speranza, potente in se, ma una regola pedagogica ed etica che offriva verifiche
continue, soprattutto per il movimento operaio, che dall'unione e dalla capacità di
organizzarsi ha tratto grandi e visibili vantaggi. Riprendo queste ovvietà, non certo per
sostenere che tutto il pensiero di sinistra possa essere riassunto in poche giaculatorie,
ma solo per rammentare che questo ragionamento aveva una straordinaria forza di
persuasione. Le variazioni sul tema furono numerosissime, ma il tema della sinistra era
questo e forse lo è ancora . Il problema è che il mondo non si lascia più spiegare
così.
E del resto in tutti i paesi i partiti della sinistra hanno cercato di riadattare le loro
spiegazioni a un mondo profondamente cambiato in pochi anni. E così è avvenuto anche per
i dirigenti del PCI, che hanno cambiato il nome del partito con una iniziativa
coraggiosa,pagata con costi molto elevati, inclusa una scissione e sarebbe ingiusto non
riconoscerlo. Dove ha sbagliato la leadership comunista? Nel non aver assicurato al
proprio elettorato un traghettamento sufficientemente chiaro di questo passaggio. La
fortunata, si fa per dire, combinazione che ci fosse lì pronta e orfana la giacchetta del
riformismo socialista, ha fornito un comodo strapuntino, e un viaggio che è andato fino
all'ingresso nell'Internazionale Socialista, senza che occorressero ulteriori spiegazioni.
Ma queste spiegazioni erano necessarie. Scherzando, ma non troppo, è da tempo che dico a
miei amici ex-comunisti che, come i gay, avrebbero dovuto fare la marcia dell'orgoglio
comunista. Al tardo maccarthismo di Berlusconi contro comunisti ("che non ci sono
più"), gli ex-comunisti hanno risposto con la classica mossa italiana di girare il
collo per dire "a chi si rivolge"?
Invece occorreva rispondere direttamente alla sfida. Occorreva andare in piazza e dire
eccoci qui: i comunisti siamo noi, abbiamo fatto molti errori (e dirli) ma in questo paese
abbiamo anche insegnato la dignità e la democrazia a milioni di persone, abbiamo
amministrato bene migliaia di comuni e difeso la repubblica in un paio di importanti
occasioni. I comunisti siamo noi, e allora? Invece questo compito è stato lasciato al
comunista da operetta Bertinotti. Contro cui Berlusconi non ha nulla: anzi, nell'Italia
tematica di Berlusconi il similcomunismo di Bertinotti ha un ruolo essenziale. Comunista
D'Alema che gioca (e perde in borsa)? Fa ridere. Quando si taglierà i baffi, come ha
suggerito un grande pubblicitario, l'accusa di comunista a D'Alema farà ridere ancora di
più. Comunista Veltroni? Ma vogliamo scherzare? Quelli del KKK di Okefenokee (GA) sono
convinti che Kennedy fosse un pericoloso comunista e quindi lo è anche la sua
reincarnazione italiana targata WV. Ma chi altro ci crede? E così via. Ma il comunismo da
figurina Panini di Bertinotti ha un futuro assicurato. Che del resto ha assicurato lui
personalmente a sé stesso e al paese affossando il governo Prodi al grido di
"sposterò l'asse politico del Paese a sinistra". E si è visto.
E' dunque mancata una vera catarsi nella ridefinizione pubblica del comunista: questi ha
cambiato pelle tagliando con la propria tradizione e quasi dissolvendosi, così che non si
capisce più bene cosa ci sia tra le bandiere rosse e il pugno alzato, e il vago liberismo
wishy-washy profuso a piene mani, ma con scarsa o punta tradizione. La mancanza di un
soggetto reale erede del comunismo ha dato forza alla campagna maccarthista della destra.
Come mai? Era scritto nei libri. Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo
spiega che l'antisemitismo in Germania ha esplicato il massimo della sua virulenza in un
periodo in cui il potere finanziario della comunità ebraica era largamente scomparso. E
del resto l'antisemitismo è rinato dopo la guerra in molti paesi dell'Est dove gli ebrei
sono praticamente scomparsi. Via via che i comunisti si sono dissolti nel liberismo, e non
si sapeva più chi fossero, è stato sempre più facile agitare lo spettro del comunismo.
Elementare, Watson.
Poi vi sono stati inspiegabili errori di conduzione in vari settori, che hanno largamente
controbilanciato gli innegabili succesi in campo economico, fiscale e internazionale. Il
welfare, la scuola, la sanità e i problemi delle inquietudini sociali legati
all'immigrazione. Intendiamoci, si tratta in ogni caso di temi difficili per i quali un
governo di riformista è destinato a scontentare grandi masse di elettori. Ma proprio per
questo occorre prendere i problemi di petto e spiegare le politiche impopolari, convincere
gli elettori che una politica che lo può danneggiare va fatta per un interesse superiore.
Questa spiegazione non si può fare con le parole, va fatta con i fatti della passione,
del convincimento, della perseveranza. Invece il più delle volte si è scelta la strada
della "pubblicità Progresso" (suggerirei di abolirla, almeno nelle forme
attuali. Alla grande maggioranza degli italiani quando compare il logo dello stato, quello
stesso che si associa alle carte bollate, viene l'orticaria fulminante).
Partendo dalla questione più rilevante, quella dei nuovi cittadini italiani che si
connette inscindibilmente alle inquietudini sulla sicurezza - e le due cose sono legate
anche se quando non lo sono nella realtà, perché sono entrambe il prodotto della
globalizzazione- mi sembra che una certa cultura di sinistra abbia ecceducoto nel
presentare una visione eccessivamente edulcorata dei rapporti con le popolazioni
marginali. Radio 1 ha una trasmissione mattutina che si chiama significativamente
"Permesso di soggiorno" con una sigla così mielosa che a me vengono in mente le
suore della quinta elementare. Non si può parlare dei problemi degli immigrati e degli
emarginati con un pianista che strimpella come alla Rainbow Room all'ora dei martini.
Si è diffusa così la sensazione che tutti i discorsi sulla bontà nei confronti degli
immigrati si traducessero in un gigantesco "vai avanti tu che a me mi vien da
ridere". Illustro il punto con esempio americano, che In quel paese se sei in un
Dipartimento universitario californiano la presenza di un minority (un professore nero) è
un fiore all'occhiello. Aumenta il tuo status ed è praticamente un must. Ma se abiti on
the edge, sull'orlo di un quartiere povero e una famiglia nera o chicana si insedia
nella tua casa quello è il segno che sei veramente povero. Non parlo dei sobborghi di
classe media in cui si sta spesso realizzando una integrazione con la black middle-class,
ma dei quartieri poveri in transizione.
La società multirazziale è bella, ma è difficile, farla passare per un idillio con lo
sciroppo della solidarietà non è un risposta politica alla destra che su queste
inquietudini ci gioca pesantemente. Personalmente penso che la parola (non il fatto)
solidarietà andrebbe messa in quarantena perché una porzione crescente di italiani
quando sente questa parola mette mano al portafoglio, ma solo per proteggerlo. Perché
sempre di più la solidarietà è quella che tocca a te di esprimere: io che c'entro?. E
poi la società multietnica non si costruisce sulla solidarietà, ma sulla civiltà. E la
civiltà costa, richiede convincimento, educazione e autodisciplina, è un prodotto degli
uomini, non un regalo del signore.
E' curioso che, mentre vi è stata una rincorsa delle classi medie su quasi tutti i piani,
su questo tema, sul quale scivola anche una grossa fetta dell'elettorato di sinistra,
soprattutto nel Nord, non vi siano stati spostamenti dalla generica posizione
solidaristica. Una rigidità che stona con il zigzagare della politica governativa che va
dallo speronamento (involontario certo, ma figlio di un clima) alla rinuncia totale. Forse
proprio questa incapacità di elaborare una politica su un tema così spinoso si è
rifugiata dietro il solidarismo. Per tutto il resto l'impressione è che la eccessiva
dipendenza dai sondaggi (non so chi abbia fatto quelli per il governo, ma è sicuro che
debbano essere licenziati in tronco) abia ingenerato una visione statica dell'elettorato,
come una serie di fettine della torta che si coprono con politiche sempre meno
indistinguibili. Non è così: l'elettorato non è un mosaico passivo che si conquista con
il minimo comun denominatore. E' fatto di individui e gruppi la cui opinione a sostegno va
innanzitutto rafforzata e le cui opinioni neutre o contrarie vanno attaccate e
trasformate, non solo corteggiate.
Ma la sconfitta è stata clamorosa non tanto per i numeri, come è stato segnalato
dall'Istituto Cattaneo fin dalla prima sera (una voce seria sommessa dai boati) quanto per
l'autogenerazione del clamore. E' in primo luogo la dimostrazione di quel che alcui hanno
sostenuto da tempo e cioè che i mezzi di comunicazione di massa hanno un enorme potere.
Naturalmente tutto l'apparato Berlusconiano e alcuni boccaloni dalle altre parti si
affannano a dire di no. E che guardino un po' di televisione dopo aver letto quel
delizioso libretto in cui Schopenauer spiega che nelle controversie non conta aver
ragione, ma far credere di averla. Appunto la capacità di spiegare il mondo. Che
Berlusconi maneggia con disinvoltura.
Un esempio solo dei milioni che si potrebbero catalogare. Mi è capitato di sentire quella
brutta copia di Jack Lang che si presenta sotto il nome di Sgarbi che lamentandosi ad alta
voce e con la solita modestia di essere discriminato dal "regime" (ovviamente in
televisione in cui ha dieci volte più tempo a disposizione, anche per insultare del
dittatore - che fa ridere, ma sarebbe D'Alema) per dimostrare la verità di questa
affermazione ripeteva un esempio che nell'universo berlusconiano è diventato un luogo
comune."Hanno dato il Nobel a Fo e l'Oscar a Benigni che sono di sinistra".
Nessuno gli ha mai fatto notare che il Nobel si da in Svezia e l'Oscar negli Stati Uniti.
Imparate, amici della sinistra, imparate dai terribles semplificateurs!
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