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Se il video spodesta il libro


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E' ormai comunemente accettata l'idea che l'innovazione tecnologica abbia prodotto una "new economy" più efficiente e dinamica. Ma si parla meno del fatto che la telematica influenza in modo altrettanto incisivo i modi di acquisizione e trasmissione del sapere. Eppure le conseguenze sono anche qui molto profonde, forse addirittura sconvolgenti.

Ne abbiamo parlato con il professor Raffaele Simone, ordinario di Linguistica generale all'Università di Roma Tre, che ha appena pubblicato presso l'editore Laterza un libro nel quale si avanza la tesi che i vantaggi dell'high tech abbiano anche notevoli costi sul piano culturale. Il titolo, "La Terza Fase", si riferisce alla nuova epoca che si è aperta nel campo della conoscenza, dopo le due segnate dall'avvento prima della scrittura e poi della stampa. Il sottotitolo è fin troppo eloquente: "Forme di sapere che stiamo perdendo".

Quali sono, professor Simone, le caratteristiche principali di quella che lei definisce "Terza Fase"?

Innanzitutto la rottura di un certo numero di barriere e la trasformazione di alcuni codici. Ad esempio viene meno la cosiddetta "chiusura del testo": ciò che si scrive diventa infinitamente interpolabile e modificabile fino all'ultimo istante. Viene insomma enormemente enfatizzato il momento di elaborazione rispetto a quello in cui il testo è consegnato al lettore come opera compiuta. Poi c'è la nascita di nuove modalità di comunicazione. Si vanno affermando forme di scrittura multimediali, in cui accanto ai tradizionali simboli alfabetici acquistano sempre maggiore importanza segni convenzionali, icone, rappresentazioni di varia natura. Basta pensare alla scrittura informatica e a quella dei "chat groups". Ma c'è di più: si fa strada un vero e proprio "nuovo ordine dei sensi".

Che cosa intende con questa formula?

Per molti secoli, fino alla generazione cui io stesso appartengo, il sapere veniva acquisito principalmente attraverso l'occhio addestrato a leggere l'alfabeto secondo un percorso lineare, quello della riga scritta. Ora invece, con i nuovi media, l'udito e la visione non alfabetica hanno assunto un ruolo molto più importante. Ciò ha conseguenze notevoli sul piano dell'organizzazione del comprendere: stiamo risvegliando dei moduli di intelligenza, legati alla trasmissione orale e al consumo di immagini, che avevamo accantonato, credendo che fossero ormai superati. E' come se si tornasse indietro, con un'alternanza tra le due forme che ho chiamato "intelligenza sequenziale" (cioè esercitata nella lettura del testo alfabetico) e "intelligenza simultanea" (applicata alla visione dell'immagine). Dopo un lungo predominio della prima, la seconda sta riprendendo il sopravvento.

Lei ritiene che tale processo comporti un impoverimento culturale?

Personalmente penso di sì, però qualcuno mi ha fatto notare che la cultura basata sull'immagine non è meno ricca di quella fondata sull'alfabeto e sul libro. Secondo questa logica, dovremmo rivolgere l'attenzione più ai fenomeni in ascesa che a quelli in declino. Tuttavia, per la mia età e il mio modo di vedere, che può anche apparire eccessivamente legato alla tradizione umanistica, sono convinto che ci siano delle notevoli perdite.

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In che cosa consistono?

Mi sembra che stia tramontando il modello comunicativo che privilegia la lucidità, fatto di discorsi strutturati, articolati, con forti gerarchie interne. E al suo posto vedo subentrare un modello completamente diverso, che ho definito "della fusione". Esso rifugge dalla chiarezza espositiva, preferisce l'allusione, l'evocazione generica o indiretta, fino al punto di considerare significativo ed espressivo perfino il silenzio. Si tratta a mio parere di un mutamento epocale, certamente il più profondo della "Terza Fase".

Il suo saggio insiste sull'acutezza del conflitto tra la lettura tradizionale e i nuovi media. Da alcune indagini però emerge che coloro che navigano su Internet sono anche acquirenti di libri.

D'accordo. Ma il dato fondamentale di cui tener conto è che chi fruisce in dosi massicce della visione di immagini, per esempio sul Web, concepisce in maniera del tutto diversa l'acquisizione del sapere. Il libro costringe a una certa sequenzialità, mentre Internet privilegia l'accesso casuale. Navigare in Rete è un po' come consultare un grande elenco telefonico: non c'è bisogno di cominciare da pagina 1 per arrivare dove vogliamo. Si va subito a pagina 100, senza curarsi di quello che c'è prima e dopo quel punto.

Lei sottolinea che la scuola, di fronte a mutamenti così vorticosi, accusa un pesante ritardo. E' possibile recuperarlo, almeno in parte?

Essere indietro rispetto alla cultura circolante nel mondo esterno è per certi versi un destino, una condizione strutturale della scuola. Oggi però mi pare che questa distanza sia diventata eccessiva. Il sistema formativo esclude troppe delle tantissime cose che accadono fuori dalle sue mura. E i ragazzi hanno spesso l'impressione che ciò che si fa a scuola sia radicalmente diverso dalla realtà che a loro interessa. E' quindi necessario riflettere sui cambiamenti in corso e cercare di farne un uso educativo. Penso per esempio alla musica, un settore in cui i gusti giovanili sono totalmente estranei al modello che viene offerto nelle aule scolastiche. Capisco che la scuola è un'istituzione lenta per natura, ma oggi, se non si aggiorna in fretta, rischia di rimanere completamente tagliata fuori dal circuito di trasmissione del sapere.

Un altro punto da lei richiamato concerne l'informazione: teoricamente abbondantissima, ma forse proprio per questo meno accessibile per gran parte degli individui.

E' una conseguenza della "esplosione del software" verificatasi negli ultimi anni. I mezzi di comunicazione più avanzati possono essere usati soltanto dalle persone che sanno compiere operazioni complesse nella giusta successione. Se non siamo capaci di adoperare un programma per computer, l'informazione cui esso permette di accedere ci risulta preclusa. E' aumentata enormemente la massa delle conoscenze disponibili, ma la scala da salire per raggiungerle è molto più alta e ripida di quanto non fosse un tempo.

Insomma, cadono alcune barriere, ma se ne alzano di nuove.

Sì, la complessità del software penalizza soprattutto gli anziani, che incontrano più difficoltà nell'adattarvisi, mentre avvantaggia i giovani, che hanno la possibilità di essere più informati e istruiti delle generazioni precedenti proprio grazie alla loro maggiore dimestichezza con le nuove tecnologie.

Servono quindi iniziative di alfabetizzazione digitale rivolte agli adulti?

Purtroppo mi sembra una causa difficile. Forse conviene puntare sull'educazione dei giovani, che spesso usano il software in maniera distorta o insufficiente. I programmi informatici sanno fare di solito molte più cose di quelle che noi riusciamo a ottenere adoperandoli, perché la nostra conoscenza delle loro potenzialità è assai limitata. Del resto anche strumenti di vita quotidiana come la televisione, il telefono, persino la lavatrice, contengono ormai memorie elettroniche complicate, che ben pochi sanno far funzionare a pieno regime.

C'è da temere che si allarghi a dismisura la forbice tra un'élite capace usare le nuove tecnologie e masse incolte, disabituate alla lettura e assuefatte a forme di comunicazione elementari?

Non sarei così catastrofico, ma certamente esiste un discrimine piuttosto importante da considerare. La cultura che prima si attingeva dai libri ora si attinge altrove. La ragione per cui oggi si legge meno di 10-15 anni fa è che l'immagine, nella sua varietà di tipologie, rappresenta per molti una fonte d'informazione ritenuta sufficiente. Solo che questa forma di sapere è meno strutturata e meno approfondita, oltre che meno faticosa da recepire, rispetto a quella veicolata dai libri. Guardare uno sceneggiato in tv è più facile che leggere il romanzo da cui è tratto, ma non offre gli stessi stimoli culturali. Forse è possibile limitare l'impoverimento sfruttando al massimo i nuovi mezzi a nostra disposizione. Ma si tratta di una prospettiva del futuro. Per il momento siamo nel bel mezzo di una transizione faticosa e difficile da governare.





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