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Parola d'ordine: differenziare le lauree


Giancarlo Bosetti

 

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Questo articolo è il seguito di Bagarre europea per la riforma del "tre + due" pubblicato sul numero 69 di Caffè Europa

Nel nostro immaginario di italiani la scuola, che è un grandissimo strumento di classificazione e riclassificazione sociale (non l’unico ma certo tra i piu’ importanti, insieme alla sorte che ci assegna una famiglia a caso e un padre piu’ o meno dotato di quattrini), divide la popolazione in alcune grandi fasce. Piu’ di settanta italiani su cento, per dirne una, non sono andati oltre il titolo delle medie inferiori. Il che vuol dire che su ogni dieci italiani che incontrate per caso per la strada, sette hanno soltanto la licenza media o la licenza elementare. Degli altri tre, grosso modo e largheggiando, due hanno finito le medie superiori e uno ha la laurea.

I giri di boa fondamentali secondo i quali siamo abituati a pensare gli strati della scolarizzazione sono dunque tre: la licenza media (e mettiamo tra parentesi la licenza elementare, considerando chi si è fermato li’ o non c’è neppure arrivato un residuo dei passati ritardi in via di superamento), la maturita’, e la laurea che incorona dottori. Con l’avvio della riforma dei cicli scolastici e con l’introduzione della laurea breve (il nuovo triennio universitario entrera’ in funzione tra diciotto mesi), il paesaggio sociale diventera’ piu’ sgranato, dal punto di vista scolastico. Si alza di un anno la fascia dell’obbligo e tra la maturita’ e la laurea specialististica si inserisce un’altra laurea "piccola", ma pur sempre un titolo universitario. Inoltre è destinato a crescere il numero di coloro che dopo la laurea lunga seguiranno un altro corso di specializzazione, un dottorato di ricerca o un master, o l’una e l’altra cosa insieme.

Questo genere di cambiamento e di sviluppo del processo formativo non è soltanto italiano ma europeo. Il sociologo Alessandro Cavalli descrive il cambiamento in questo modo: i sistemi scolastici del mondo sviluppato muovono verso una convergenza ma si differenziano sempre di piu’ al loro interno. "Differenza" è la parola chiave di cui non si deve avere paura e su questa insistono specialisti come Franco Rositi e Alessandro Figa’ Talamanca. Che cosa vuol dire? Che l’istruzione superiore, se vuole corrispondere alle esigenze della societa’ contemporanea, deve offrire un ventaglio molto piu’ largo di approdi a seconda delle destinazioni di uso della formazione, dei talenti degli studenti, della varia difficolta’ delle discipline e delle professioni collegate, nonche’ della volonta’ dei singoli studenti di fermarsi o proseguire a un certo punto della carriera scolastica.

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Il riordino degli studi superiori si presenta molto complicato per tutti i paesi europei, anche quelli dotati di un poderoso sistema universitario come la Gran Bretagna o di un radicato sistema di formazione professionale come la Germania. Per tutti la differenziazione dei titoli universitari si presenta anche come l’occasione per superare la crisi della universita’ di massa, un fenomeno che è esploso alla fine degli anni Sessanta e che è cresciuto da allora producendo le ben note contraddizioni tra un corso di studi pensato per una élite e diventato invece il punto di passaggio per masse di studenti. In Italia il fenomeno è aggravato dal parcheggio decennale dei fuori corso e dalle debolezze strutturali e imprenditoriali degli atenei, ma non è una nostra esclusiva.

Anche in Inghilterra il numero degli studenti universitari è cresciuto tra gli anni Settanta e i Novanta di seicentomila unita’. Sono un milione e ottocento mila gli universitari inglesi in corsa per titoli di primo (laurea breve), secondo (laurea lunga) e terzo livello (dottorato). E per tutti la strada si fa stretta: piu’ studenti, ristrettezze finanziarie e pressione sul personale docente, scarsita’ delle borse di studio e necessita’ di aumentare le tasse, necessita’ di aumentare le spese per la ricerca trovando fonti finanziarie non statali. Uno specialista di sistemi universitari, come l’inglese Jon Gubbay, spiega che queste tensioni aumenteranno e metteranno anche il sistema inglese sotto stress: 40% di finanziamenti statali in meno, diminuzione degli stipendi del personale del 30%.

Anche in Inghilterra un sistema di formazione pensato per le élites è diventato suo malgrado un sistema di massa. L’istruzione universitaria di élite (Oxford e Cambridge) aveva degli standards nel rapporto tra docenti e studenti – 1 a 12 – che sono stati portati fino a 1 a 25 o 30. La tradizione del contatto personale era molto forte, studenti e professori usano chiamarsi col nome di battesimo. Che cosa pensare delle lezioni davanti a 700-800 studenti di certi corsi universitari italiani?

Per uscire dalla contraddizione tra flussi studenteschi di massa e strutture universitarie in crisi non basta naturalmente l’invenzione della laurea breve, che peraltro dovra’ essere adattata a ciascuna disciplina attraverso la sperimentazione di soluzioni adatte, ma è utile il criterio della "differenza" suggerito da Franco Rositi. Si tratta di proporzionare meglio i progetti che ciascuno studente fa circa lo sbocco dei propri studi in rapporto a una universita’ in grado di raggiungere l’obiettivo realistico di formare specialisti di vario grado. È evidente che un titolo intermedio rispetto alla laurea è piu’ vantaggioso per tutti, a cominciare dallo studente, che non un parcheggio fuori corso che finisce nella maggior parte dei casi in un nulla di fatto. La conclusione del corso di studi è destinata a collocarsi su una scalinata piu’ lunga, nel nome della "differenza". Un principio che si adatta bene agli studi superiori, al punto che, come suggerisce Rositi, l’idea della "differenza" dovrebbe sostituire quella della "eccellenza", troppo solenne e pretenziosa, e anche un po’ irritante per chi sulla scalinata si ferma qualche gradino sotto la vetta.

 


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