Chi è John Stuart Woolf
John Stuart Woolf è nato a Londra nel 1936. Ha compiuto i suoi studi universitari a
Oxford, dove si è laureato in Storia nel 1956 e ha ottenuto il Dottorato nel 1961. Nel
1975 è divenuto Professor of History all'Università di Essex, incarico che ha ricoperto
fino al 1996. Dal 1983 al 1992 ha insegnato allíIstituto Universitario Europeo a San
Domenico di Fiesole. La sua attività didattica si è svolta anche in numerose università
in Francia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti e Australia. Dal 1996 è Professore ordinario
di Storia contemporanea all'Università "Ca' Foscari" di Venezia.
Fra i lavori di Stuart Woolf vanno ricordati: "Storia d'Italia. Dal primo
Settecento all'Unità. La storia politica e sociale", in La storia d'Italia. Vol.
III, Einaudi, Torino, 1973; (con J. C. Perrot) State and Statistics in France, 1789-1815,
Harwood, London-New York, 1984; The Poor in Western Europe in the Eighteenth and
Nineteenth Centuries, Methuen, London, 1986 (trad. it.: Porca miseria. Poveri e assistenza
nell'età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1988); Napoleon et la conquite de l'Europe,
Flammarion, Paris, 1990 (trad. it.: Napoleone e la conquista dell'Europa, Laterza,
Roma-Bari, 1990). Ha curato, inoltre: European Fascism, Weidenfeld & Nicolson, London,
1968 (trad. it.: Fascismo in Europa, Laterza, Roma-Bari, 1968); The Nature of Fascism,
Random House, New York, 1968; Il nazionalismo in Europa, Unicopli, Milano, 1994; Storia
d'Italia. Le regioni d'Italia. La Valle d'Aosta, Einaudi, Torino, 1995. Stuart Woolf ha
anche tradotto in lingua inglese i libri su Auschwitz di Primo Levi: If This Is a Man,
Orion Press, New York, 1961; The Truce, The Bodley Head, London, 1965.
Professor Stuart Woolf da quale definizione possiamo partire parlando di
nazionalismo?
Io distinguerei tra quattro elementi che troppo facilmente vengono confusi. Il primo,
costituito dall'identità nazionale, è una costruzione culturale, culturale e sociale. E'
qualcosa di fluido; è un processo in continuo mutamento e deve essere costruito. Il
secondo concerne la formazione dello Stato, che rappresenta un problema di tutt'altra
natura. E' il processo attraverso il quale lo Stato crea le strutture che circondano e
riempiono il territorio nazionale. In terzo luogo ci sono i movimenti nazionali, cioè i
movimenti politici di coloro che partecipano alle attività di conseguimento
dell'indipendenza nazionale. Infine c'è il nazionalismo che, per lo meno nell'uso
corrente, direi degli ultimi 50 anni, è un fenomeno più ristretto, il quale si riferisce
ad uno specifico programma politico, solitamente di un partito politico, anche se non usa
questa denominazione, all'interno di uno Stato-nazione.
Che cosa si intende per Stato-nazione?
Il concetto di Stato-nazione è molto più complicato. Di nuovo io penso che si debba
cominciare a separare elementi diversi. Il concetto dello Stato-nazione, la stessa realtà
dello Stato-nazione, contiene tre diverse componenti che a prima vista sembrano molto
semplici e chiare, ma che in realtà sono fortemente ambigue: la nazione, lo Stato e il
territorio. Se guardiamo a questi elementi separatamente o nelle loro relazioni, allora
alcune di queste ambiguità cominciano ad emergere abbastanza chiaramente. Cosa intendiamo
con "nazione"? Per i nazionalisti la nazione si fonda su una tradizione
culturale e storica. C'è sempre stata una nazione perché culturalmente esisteva questa
nazione; naturalmente si potrebbe aggiungere che coloro che concordano fermamente nel
rintracciare un elemento specificamente comune all'Europa usano esattamente le stesse tesi
della tradizione storica e culturale dell'Europa.
Tuttavia noi sappiamo che queste tradizioni, in effetti, storicamente parlando, sono
molto recenti. Furono inventate alla fine del XVIII secolo, concepite da scolari che,
soprattutto nel secolo XIX, crearono e costruirono un senso di nazione attraverso una
serie di "scoperte", di miti e realtà basati sulla storia passata, sul
linguaggio, sul territorio, possibilmente sulla religione, e a volte sull'etnia. Tutti
questi elementi concorrono a costituire ciò che, in seguito, formerà le basi
legittimanti della nazione e dei movimenti nazionali, perché sembrano testimoniare
l'autenticità e la continuità della nazione così come essa si presentava nel passato.
In realtà, naturalmente, se uno cerca di applicare questi elementi del mito della nazione
alla realtà storica del passato, si accorge di come essi non possano funzionare. Ad
esempio, come possiamo parlare di una nazione inglese, francese o italiana, nel decimo o
nel quindicesimo secolo, quando ciò a cui ci riferiamo è, nel migliore dei casi, un
certo senso di comunanza tra le Èlites dominanti, ma certamente esclude il resto della
popolazione?
La realtà storica dei popoli sul territorio, in pratica, non giunge ad essere parte
del mito della nazione se non infinitamente più tardi, quando, nell'auto-percezione di
essere parte di quella nazione, il mito è stato trasformato in realtà. Di conseguenza
una nazione, in questo senso, è molto più di una forma di organizzazione sociale la
quale, a sua volta, è parzialmente costruita sulla base di questi miti.
Accanto a quella nazionale troviamo identità locali, regionali, ossia altre identità
che spesso preesistono, direi quasi necessariamente, a un'identità nazionale. E una delle
difficoltà, per quel che riguarda la nostra interpretazione del nazionalismo, è che
tendiamo ad ascrivere superiorità all'identità nazionale rispetto a queste altre
identità, il che apre una serie di conseguenze sulle quali tornerò in seguito. Se quindi
prendiamo in considerazione la relazione tra nazione e territorio, o tra nazione e Stato,
di nuovo ci troviamo di fronte ad una serie di problemi che sono solitamente formulati
male. Storicamente parlando non sempre le nazioni, ossia le Èlites politiche esprimenti
se stesse come rappresentative della nazione, pretesero un territorio.
Ci sono quelle che Eric Hobsbawn chiama "protonazioni", come gli ebrei, o, ai
giorni nostri, i curdi, i quali, pur sentendosi parte della propria nazione, sono rimasti
a lungo privi di territorio. L'insistenza su un territorio è il risultato del
congiungersi di nazione e Stato e del sorgere dello Stato-nazione in quanto tale. Questo,
divenuto norma già nel diciannovesimo secolo, nel 1848 e sicuramente nel 1868 e nel 1870,
diede luogo ad uno Stato ideale che, per definizione, a quel punto, richiedeva un
territorio, perché appunto non può esserci Stato senza territorio. Lo stesso concetto di
territorio è molto ambiguo. E' qualcosa sia di materiale che di immaginario. Esiste a
vari livelli. Significa "senso di appartenenza" a una famiglia, a un villaggio,
forse a una regione; in questo senso è sociale e personale. Ed è culturale nel senso
della memoria del passato.
Il territorio nazionale è sia una realtà che un luogo della memoria, ed è la
costruzione di questo luogo della memoria nel passato, che consente agli Stati di
affermare le proprie rivendicazioni su questi territori e che spiega come mai, nelle
regioni di frontiera, il senso di appartenenza a queste terre sia molto più spiccato che
non nel retroterra. Cosicchè, di fatto, un territorio diviene qualcosa di materiale a
causa del rigido concetto delle frontiere che ad esso viene imposto dagli Stati stessi, in
quanto la costituzione di uno spazio per il territorio nazionale è un attributo
necessario dello Stato.
Ciò non è, tuttavia, sufficiente, di per sè, ad eliminare gli altri legami e il
senso di appartenenza degli individui, proprio perché le Èlites indigene, e non solo
quelle, ma la stessa popolazione ordinaria, conservano il proprio senso di attaccamento ad
identità che, rispetto a quella nazionale, hanno carattere molto pi? locale. Questa
generalizzazione ovviamente varierà da paese a paese a seconda della lunghezza del
periodo e, soprattutto, io credo, dal grado di mobilità della popolazione. E' evidente
che se domandi a un italiano da dove viene, la risposta sarà che è napoletano,
fiorentino, toscano o siciliano, pur essendo italiano. Se chiedi ad un inglese di Londra o
del Southeast, dove la mobilità è stato un elemento così importante negli ultimi
duecento anni, la domanda stessa ha poco senso. Da dove vieni? Se sei londinese, puoi dire
o non dire: "Sono di Londra", ma non ti riferisci al luogo dove sei nato. E
questa, io credo, è la distinzione da fare rispetto al senso della forza dell'attacamento
locale.
Lo Stato è una costruzione formale che, a partire dalla Rivoluzione francese, o più
esattamente, dalla Prima guerra mondiale, ha preteso di essere uno Stato-nazione. La prima
istanza fu avanzata nella Rivoluzione francese, la rivendicazione generale nella Prima
guerra mondiale. E l'identificazione dei tre concetti di nazione, territorio e Stato, è
riassunta in una nozione che al giorno d'oggi accettiamo come normale, ma che, in effetti,
è estremamente recente: il concetto dell'autodeterminazione nazionale. Questo è un
concetto nato solo con la Prima guerra mondiale. Fu accettato dagli Alleati nel 1917 sotto
la pressione del Presidente americano Wilson, e per timore che, altrimenti, i bolscevichi
in Russia, riconoscendo il diritto di autodeterminazione delle nazionalità, potessero
offrire un polo di attrazione.
Fino alla Prima guerra mondiale c'erano almeno due modelli: lo Stato-nazione e l'impero
multinazionale, o ciò che oggi chiameremmo un impero multinazionale. Ma l'effetto
dell'autodeterminazione nazionale implicò, da una parte, il deciso fortificarsi delle
rivendicazioni dei movimenti politici e nazionali, e, dall'altra, il sorgere di un altro
problema, che, in un senso internazionalmente riconosciuto, non era mai esistito prima, e
cioè quello delle minoranze nazionali. Basti pensare che il trattato di Versailles, che
riconobbe l'autodeterminazione nazionale ed impose la protezione delle minoranze
nazionali, in pratica nelle zone di confine degli Stati che esso creò, generò qualcosa
come 25-30 milioni di minoranze entro le nuove frontiere: tedeschi in Cecoslovacchia,
ungheresi in Russia, e così via. Lo stesso problema si verifica oggi, a partire dal 1989
con qualcosa come 25 milioni di russi divenuti minoranze negli Stati sorti da quella che
un tempo era l'Unione sovietica.
Come si spiegano le interpretazioni nazionalistiche dell'idea di nazione?
Ci sono tre elementi dell'interpretazione nazionalistica che possiamo identificare
molto facilmente. Il primo è quello per cui c'è qualcosa chiamato "nazione",
che è sempre esistito, che è fuori dalla storia, una sorta di demiurgo. Il secondo
consiste nel fatto che, una volta che una nazione abbia raggiunto la propria indipendenza
e la forma di Stato-nazione, il conseguente patriottismo nazionale è, in qualche modo, un
istinto primordiale che tutti i cittadini condivideranno e che, di conseguenza, è
superiore ad altri vincoli e ad altre forme di lealtà, in quanto, in tempo di guerra, i
cittadini saranno pronti a sacrificare la loro vita per lo Stato-nazione. Il terzo
elemento, che collega i primi due, è rappresentato dall'assunto secondo il quale le
nazioni sono inevitabilmente destinate a trasformarsi in Stati-nazione. E' un'assunto che
ritorna, o quantomeno è espresso molto chiaramente da Hegel. Cito: "Le nazioni
possono aver avuto una lunga storia prima di raggiungere finalmente la loro destinazione,
quella di costituirsi come Stati".
Ma naturalmente, rispetto al numero degli Stati, esiste un numero infinitamente più
grande di nazioni che, potenzialmente ed in realtà, possiedono l'autoconsapevolezza di
essere nazioni; a livello teorico, non c'è limite al numero di nazioni che possono
apparire, dal momento che entro ogni nazione, o Stato-nazione, le vere e proprie
costrizioni dello Stato-nazione stesso potrebbero creare una nuova comunità che
rivendichi la propria identità nazionale. Possiamo vedere come tutto ciò sia accaduto e
ancora accada, nella maniera più spaventosa, in quella che era la Jugoslavia, così come,
anche se in modo meno terribile - almeno finora - nell'ex Urss.
Quindi, l'interpretazione nazionalistica ha una costituzione teleologica per la quale
la storia è interpretata come un movimento, come se ci fosse un filo rosso che corre
attraverso i secoli. Anche quando la nazione materialmente non esiste, c'è lo spirito
nazionale, che può essere identificato attraverso la cultura, la storia, attraverso
l'opposizione alle invasioni straniere, attraverso qualcosa che scorre in silenzio e che,
alla fine, come la "bella addormentata" della fiaba, viene risvegliato:
risvegliato dalla gente, dai capi, dai leaders nazionalisti, intendo dai leaders dei
movimenti nazionali nella lotta per l'indipendenza nazionale. Gli storici hanno avuto un
ruolo molto importante nella costruzione di questo tipo di interpretazioni che
costituirono il luogo comune di tutti i testi scolastici così come di ogni storia
divulgata, e che naturalmente, in forma di vulgata storica, esistono ovunque.
Direi che gli storici hanno giocato un ruolo molto importante a due livelli: essi, o in
ogni caso gli archeologi, furono, dopo tutto, tra gli intellettuali più importanti nella
costruzione del mito della nazione, delle nazioni nuove, dalla fine del XVIII secolo e
durante il XIX. Furono loro ad individuare la passata grandezza, ormai perduta, di una
nazione. Se tale grandezza venne inventata o magnificata non importa; cosituì l'elemento
essenziale nel mito della nazione. Ma ad un secondo livello gli storici hanno esercitato
un ruolo maggiore, forse più importante a causa della loro capacità di far circolare le
parole tra la gente meglio di ogni altro gruppo di intellettuali. E questa secondo me è
una responsabilità sulla quale essi dovrebbero cercare di interrogarsi e di riflettere;
nel senso che al sorgere degli Stati-nazione, gli storici, nel costruire il concetto di
nazione e nell'elaborare la versione formale, ufficiale, del perchè una nazione fosse
sempre esistita ed infine fosse emersa come Stato-nazione, ricoprirono un ruolo centrale
che in gran parte assunsero di buon grado e con fede genuina. Tuttavia essi, proponevano
questa tesi dogmaticamente, ex cathedra; in questo modo le loro considerazioni furono in
seguito semplificate e ripetute nella scuola e nella famiglia, fino a quando vennero a
formare la struttura intorno alla quale ruota l'intera mitologia dello Stato-nazione.
Perchè siamo abituati a vedere all'origine dell'idea di "nazione" la
Rivoluzione francese?
Perchè il nazionalismo nella sua accezione moderna, che contiene i tre elementi della
nazione dello Stato e del territorio, emerge in quel periodo. Prima della Rivoluzione
francese esistevano degli Stati dove era possibile rintracciare una forma di patriottismo
nazionale limitato alle Èlites, alla nazione politica. Normalmente si esprimevano
attraverso le dinastie, e attraverso istituzioni nazionali che riunivano queste Èlites;
istituzioni quali i parlamenti, le religioni di Stato dopo la riforma, e così via. Il
tutto tendeva a fungere da elemento coagulante della nazione politica che pretendeva di
rappresentare la popolazione e di essere la nazione stessa. Quando si parla di
caratteristiche nazionali, quando, ad esempio, già nel XVI secolo Shakespeare o Montaigne
parlano di caratteristiche nazionali, si riferiscono in effetti ai nuovi, ai primi moderni
Stati nazionali, o meglio, ai primi moderni Stati dinastici, che Stati-nazione non sono,
ma che hanno trovato una loro forza, si stanno costruendo e, in questo senso, pretendono
di essere il popolo, la nazione.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con la maggioranza della popolazione. Sarebbe stato
difficile perfino per la Francia, che possedeva il più avanzato concetto dello Stato in
questa forma, quella dello Stato dinastico, dimostrare in una situazione ipotetica che i
guasconi, i provenzali o i bretoni, sentivano di essere francesi nello stesso modo in cui
lo sentiva un nobile di Francia. Ciò che di nuovo e di moderno emerge con la Rivoluzione
francese è, naturalmente, l'insistenza su quella parte di popolazione che possiede
sovranità nazionale e di questa sovranità è l'incarnazione, di modo che da allora in
poi è possibile pensare alla nazione e allo Stato come a due nozioni congiunte. La
maggior parte degli elementi presenti nel periodo post-rivoluzionario napoleonico sono da
rintracciare già in questo quarto di secolo di fermento rivoluzionario. Che l'individuo
abbia una relazione con la nazione costituisce uno dei fattori di maggiore importanza; una
relazione non più mediata da corpi intermedi quali parlamenti, corporazioni, istituti
rappresentativi e così via, ma diretta, dell'individuo in quanto tale con la nazione;
legame questo, tra individuo e nazione, che costituisce una delle basi del nazionalismo
moderno.
Analogamente, l'insistenza in Francia sulle frontiere naturali rappresenta un modello
di Stato forte e testimonia l'importanza dello Stato e del territorio, o del territorio e
dello Stato, nel concetto del moderno Stato-nazione. Allo stesso modo, l'affermazione
frequentemente enunciata, per quanto spesso non godesse del seguito dei rivoluzionari
francesi, del diritto della popolazione di determinare il proprio futuro in termini di
Stato sovrano e indipendente, rappresentava qualcosa di così sovversivo rispetto alle
relazioni internazionali che, di nuovo, potrebbe essere indicata come precorritrice degli
effetti di disturbo che il nazionalismo esercitò sull'equilibrio internazionale dei
poteri: fenomeno questo, divenuto costante, naturalmente, a partire dalla fine del XIX
secolo e nel XX. Per tutti questi fattori la Rivoluzione francese, nella quale includerei
anche il periodo napoleonico, rappresenta il momento storico in cui collocare le origini
del nazionalismo, in diretta connessione, quindi, con la costruzione del moderno Stato
burocratico durante gli anni napoleonici, al quale, una volta depurato dai suoi aspetti
dittatoriali sotto Napoleone, tutti i liberali nel XIX secolo aderirono come ad un
elemento di progresso e di modernità e con il quale, in effetti, il moderno Stato-nazione
Ë Stato spesso identificato. In questi termini, si verifica una particolare
identificazione tra nazionalismo e liberalismo, e ciò avviene, io credo, per il fatto che
il nazionalismo è nato in Europa occidentale dove il liberalismo sembrava costituire una
condizione di modernità, di progresso materiale e di ricchezza, per due degli stati
principali: Inghilterra e Francia.
Esistono differenze tra Europa occidentale e orientale? E di che tipo?
Le differenze sono sotto i nostri occhi. Probabilmente poniamo un contrasto troppo
netto tra il nazionalismo dell'Europa orientale e quello dell'Europa occidentale.
Naturalmente, per quanto concerne l'Europa centro-orientale, è necessario distinguere.
Esistono almeno due raggruppamenti principali. Ci sono quelle parti di popolazioni
dell'Europa centro-orientale che possono rifarsi alla tradizione di uno Stato
precedentemente indipendente. I polacchi, escludendo naturalmente il passato più recente,
persero il loro Stato solo alla fine del XVIII secolo, ma anche gli ungheresi o i cechi in
Boemia, il Re di Boemia, o, addirittura, i croati, che mantennero le loro istituzioni
rappresentative molto a lungo, fino al 1848. In questi Stati la gente aveva qualcosa a cui
guardare nel passato; i loro leaders, le Èlites dei movimenti politici, dei movimenti
nazionali, pretesero di ricostituirsi o di avere il diritto ad esistere perché avevano
una storia. Diverso il discorso per quei raggruppamenti, grandi o piccoli che fossero, che
Engels definiva "popoli senza storia": i serbi, i croati, i rumeni, i
bielorussi, gli ucraini - si potrebbe andare avanti all'infinito - sono tutte popolazioni
esistite con un senso di identità piuttosto generico (culturale, etnica, folklorica,
storica, non ha realmente importanza), ma che ebbero grandi difficoltà a far sì che le
proprie rivendicazioni fossero ascoltate dalle grandi potenze, o addirittura dagli stessi
leaders nazionalisti della nazioni storiche. Ciò perchè fu affermato il principio per
cui essi potevano trarre guadagno solo dall'essere innestati all'interno di grandi Stati,
perchè i grandi Stati coincidevano con il progresso e col cammino della civilizzazione.
Di conseguenza il contrasto che noi continuiamo a porre è falso perché molte, o per
lo meno alcune, di queste popolazioni e di queste nazioni senza Stato nell'Europa
centro-orientale, una volta uno Stato l'avevano, e non erano molto dissimili dalle nazioni
dell'Europa occidentale. Ma la distinzione essenziale che noi operiamo, e che a me sembra
molto importante, è quella per la quale in Europa occidentale, l'esistenza e la
tradizione continua e duratura di uno Stato implicò che, una volta sorta una nazione, ed
emersa e costituitasi un'identità nazionale - fenomeno che si verificò attivamente nel
corso del XIX secolo - il punto di riferimento del nazionalismo e dei movimenti nazionali,
rimase lo Stato con i suoi confini, i suoi territori e tutti i suoi attributi. In Europa
occidentale ciò che andava formandosi era lo Stato-nazione di contro al sorgere della
nazione-Stato in Europa centro-orientale, una nazione-Stato dove il senso dell'identità
nazionale emerse prima dello Stato e, effettivamente, per i movimenti nazionali
rappresentò una premessa un'ambizione ed un traguardo, giustificati proprio dal fatto che
una nazione esisteva.
Questa è una distinzione fondamentale; una seconda, a mio avviso ugualmente
importante, dipende più dal periodo entro il quale ci muoviamo. Il nazionalismo emerse in
maniera decisa in Europa occidentale nella prima metà del XIX secolo. Nell'Europa
centro-orientale, si pensi all'impero austro-ungarico, sicuramente nel 1848; ma ciò che
chiamiamo nazionalismo e a cui tendiamo a riferirci, è naturalmente il nazionalismo del
periodo posteriore al 1848 o che dal '48, in Europa centrale e orientale, arriva fino alla
Prima guerra mondiale, e da lì prosegue in avanti. Quel nazionalismo, ovviamente, è
riferito ad un periodo nel quale esso ha perso il proprio legame esclusivo con il
liberalismo. E lo ha perso a partire dalla fine del XIX secolo sicuramente a causa della
differente relazione tra Stato e cittadino. La crescente presenza intrusiva e la pressione
dello Stato sui cittadini di una Paese, a causa dell'interesse che ogni Stato e le
rispettive classi dominanti avevano ad assicurarsi il supporto dei cittadini come area di
rappresentanza, andavano aumentando via via che si estendeva il diritto di voto. E questo
per timore che una scissione rispetto all'identificazione di Stato e nazione potesse
portare ad un indebolimento dell'unità dello Stato e ad una conseguente riduzione della
sua autonomia nelle relazioni con gli altri Stati. Quindi, ciò di cui stiamo parlando è,
a partire dalla fine del XIX secolo, un diverso contesto internazionale, che aiuta a
spiegare quell'identità esclusiva ed aggressiva alla quale eravamo soliti associare buona
parte di ciò che oggi chiameremmo nazionalismo etnico nell'Europa centrale e orientale.
Come dobbiamo guardare all'idea di nazione fuori dell'Europa?
Il nazionalismo, insieme al capitalismo è il prodotto di maggior successo che l'Europa
abbia esportato. Tuttavia, mentre il capitalismo si diffuse come sotto l'influsso di una
mano nascosta, il nazionalismo venne esportato molto coscientemente e deliberatamente, o
piuttosto emerse come risposta alla formazione e alla creazione degli imperi. Sotto molti
punti di vista al livello più ovvio, in modo tale che, quando nacquero i movimenti di
liberazione nazionale, originariamente a partire dagli anni Trenta di questo secolo, ma in
maniera più cospicua, chiaramente, dopo la Seconda guerra mondiale, i leaders di questi
movimenti accettarono la norma dello Stato-nazione, dello Stato-nazione europeo, il quale
naturalmente ha un'origine molto più lontana.
Si potrebbe guardare all'America Latina dove i leaders dei movimenti nazionali fecero
istintivamente la stessa cosa che i leaders africani stavano per fare negli anni '50, '60
e '70; essi accettarono cioè che le frontiere esistenti costituissero i confini del nuovo
Stato-nazione. Il fatto stesso di accettare questo, creò una realtà diversa rispetto al
nazionalismo europeo, perchè, almeno in continenti come Africa e Asia, per lo più e
sicuramente in territori precedentemente coloniali, questi territori, queste ex colonie
erano abitate da una gran quantità di differenti raggruppamenti sociali i quali, di volta
in volta, ad esempio in Africa, per scopi che andavano a vantaggio degli amministratori
occidentali, vennero ordinati secondo ciò che noi chiamiamo tribù.
Gruppi precedentemente molto più fluidi vennero identificati dai loro dominatori
imperiali come "tribù" che parlavano lingue differenti, che avevano differenti
costumi ed anche un forte senso della loro distinzione rispetto agli altri, non
necessariamente in astratto, ma perchè nelle condizioni dei nuovi Stati indipendenti -
Clifford Geertz ha scritto molto su questo tema - queste tribù, dopo tutto, stavano
contendendosi una porzione di potere. Il fatto stesso che tali tribù fossero così
numerose fornisce una dimensione differente di ciò che, comparandola a ciò a cui ci
riferiamo in Europa orientale, siamo soliti intendere come "etnia". Di modo che
lo Stato-nazione, il nazionalismo, ha costituito una forza trainante nella creazione dei
confini degli Stati, ma ha incontrato enormi difficoltà per quanto concerne la creazione
di nazioni che non potevano guardare ad un passato nello stesso modo in cui i nazionalismi
europei vi guardavano, sempre, come ad uno dei propri elementi legittimanti.
Perchè, a suo parere, il nazionalismo non gode di buona fama?
Credo sia chiaro come, per varie ragioni, ci sia qualcosa che offende nel nazionalismo
aggressivo. Esso nega la concezione sociologica per la quale il comportamento umano è
sempre lo stesso, o meglio, nega la visione illuministica della natura. Il principio per
cui una nazione sarebbe sempre esistita attraverso i secoli è una leggenda e, di
conseguenza, gli storici critici non la trovano soddisfacente. Tuttavia io credo che alla
base di queste istanze intellettuali ci sia semplicemente e soprattutto il fatto che
storici ed intellettuali in genere, eccezion fatta per gli psicologi e in particolar modo
per gli psicanalisti, non si confrontano affatto volentieri con tali risvolti emotivi e
soprattutto con simili sbocchi irrazionali. Il nazionalismo ha dimostrato di essere
immensamente potente. Avrebbe preteso che una nazione esistesse laddove così non era.
C'era solo il mito della nazione; è tuttavia impossibile negare che successivamente,
dopo la creazione dello Stato-nazione, le nazioni siano sorte sulla base dell'assunzione
per la quale noi abbiamo un forte senso di identità nazionale: ognuno di noi ce l'ha. In
questo senso il nazionalismo ha trasformato ciò che forse era un mito, o quanto meno
un'idea, in realtà. La forza stessa di questa realtà, con tutte le conseguenze negative
in termini di aggressività nazionalistica, di cui siamo stati testimoni in questo secolo,
lo rende un fenomeno che gli intellettuali accettano malvolentieri, a causa del fatto che,
pur essendo così emotivo ed irrazionale, è indiscutibilmente reale. Per questo è molto
difficile usare metodi razionali di spiegazione.
Come giudica le interpretazioni revisionistiche del nazionalismo?
Credo debba essere molto chiaro, da ciò che ho detto si qui, come io tenda ad
allinearmi con queste letture revisionistiche delle interpretazioni storiche normali o
convenzionali, fino alla Seconda guerra mondiale. Per uno storico, la rottura insita in
tali interpretazioni revisioniste, è molto anomala. Normalmente si modifica un elemento o
un altro, mentre a partire dal periodo successivo alla seconda guerra mondiale, da dopo il
1945, sicuramente a partire dagli anni Sessanta, ciò di cui siamo stati testimoni è una
serie di studi tematici che considerano il nazionalismo un fatto non positivo, ma
negativo. Ovvero, per dirla con le parole di uno dei primi libri revisionisti il
nazionalismo si configura come un'invenzione degli intellettuali all'inizio del XIX
secolo.
Da allora abbiamo fatto molti passi avanti; abbiamo cominciato ad analizzare e a
prendere in considerazione la profondità dell'aspetto sociale del fenomeno e a porre
domande sul perchè il nazionalismo si presenti con una simile forza. Abbiamo esaminato, o
cominciato ad esaminare ciò che era, quali erano le forme di organizzazione sociale e i
canali di comunicazione che misero i leaders nazionali nella condizione di attirare il
consenso. Per quale ragione un senso di identità con la nazione ha assunto importanza,
prima all'interno di piccoli gruppi, in seguito per larghe parti della popolazione, sino a
che, in fine, a partire dallo Stato-nazione, con il passare delle generazioni, è divenuto
qualcosa che noi tutti condividiamo - che ci piaccia o meno - ed un esempio, o la sua
illustrazione, di quanto profondamente l'identità nazionale sia penetrata: sia essa
congegnata dalle classi dominanti come una forma di ordinamento nazionale, sia essa il
risultato di ciò che Gellner chiamerebbe "le forze della modernità", cioè la
necessità di un grado di istruzione universale per una società moderna che con un alto
livello di specializzazione riunisce le persone e privilegia attraverso l'educazione, e
quindi attraverso il sistema scolastico, un senso di unità entro i confini nazionali.
Qualsiasi siano le ragioni di tutto ciò, è chiaro che ormai tutti apparteniamo ad uno
Stato-nazione; ed anche se non ne condividiamo l'orientamento politico, e di conseguenza
in tempo di guerra tenteremmo di rifiutarci di combattere per una guerra ingiusta, o in
regimi totalitari come quelli di matrice fascista, rischieremmo l'arresto piuttosto che
accettare la linea di condotta dello Stato, ciò non significa che rinneghiamo la nostra
cittadinanza e la nostra nazione d'appartenenza. Ed io credo che coloro che lottarono
contro il fascismo e contro il nazismo, gli italiani e i tedeschi, ad esempio, o se si
vuole, gli intellettuali russi durante gli anni del comunismo che preferirono l'esilio o
la prigione piuttosto che accettare, non sono nient'altro che esempi della profondità
alla quale il senso di identità nazionale è arrivato. A mio avviso questo rappresenta il
centro delle interpretazioni revisioniste ed ha condotto ad indagini molto minuziose
intorno ai canali di comunicazione, alle forme di organizzazione sociale, e a quelle che
sono state le condizioni necessarie per raggiungere questo tipo di diffusione del
sentimento nazionale, prima del conseguimento dell'indipendenza, o dopo, nei termini di
ciò che successivamente costituirà l'ordinamento nazionale.
Tutto ciò è alla base degli studi degli antropologi intorno a ciò che viene chiamato
"comunità immaginata". Perchè si verifica che gli individui si identifichino
gli uni con gli altri come facenti parte di una comunità nazionale, di una minoranza? Tra
gli elementi significativi di questa situazione troviamo più che altro quello di una
minoranza accerchiata da una maggioranza ostile, o quello di una maggioranza percepita
come ostile. Questo spiega quindi il fiorire, così diffuso entro l'impero
austro-ungarico, di raggruppamenti nazionali che si opponevano sia alla dominazione
magiara, sia a quella austro-germanica. E si potrebbe proseguire con un numero infinito di
esempi di questo tipo. Io aggiungerei che, naturalmente, tutto ciò può essere
ulteriormente spiegabile in termini di comunità immaginate tra gli immigrati.
Si pensi ai milioni di europei che emigrarono attraversando l'oceano e che, come
artigiani, provenivano per la maggior parte dalle campagne, da piccoli centri o da piccole
città; non immigrarono in quanto italiani, tedeschi o svedesi, ma in quanto provenienti
dal proprio villaggio e dalla propria regione, ed è in questi termini che essi si
vedevano. E certamente per quel che riguarda l'Europa del sud naturalmente parlavano anche
il dialetto del proprio villaggio e della propria regione. Essi non erano visti come
italiani tedeschi o svedesi se non dalle società che li ospitavano. Di conseguenza, di
nuovo torniamo ad una delle interpretazioni basilari della scuola revisionista, quella per
la quale si giunge ad un senso di identità, della propria identità, dell'identità
nazionale, in relazione all'identità di altri, indipendentemente dal fatto che da questa
diversa identità ci si difenda, ci si voglia distinguere e si cerchino i "mezzi di
protezione", o più semplicemente indipendentemente dal fatto che si accetti
spontaneamente o meno che la propria identità sia quella dell'immigrato, per il fatto
che, qualsiasi cosa si senta di essere al momento iniziale dell'immigrazione, si è
comunque visti come portatori di un'identità nazionale.
Questa complessa questione della relazione dell'identità nazionale con le esperienze
storiche e con le memorie del passato, è il centro del mio libro su Il nazionalismo in
Europa, pubblicato da Bibliopolis. E' complessa per la confusione a lungo generata
dall'assunzione per la quale gli individui sarebbero automaticamente patriottici e si
identificherebbero con il loro Stato-nazione. Questo ovviamente è vero oggi ma non lo è
sempre Stato. E' esso stesso il risultato dello sviluppo storico. La storiografia è stata
per lungo tempo propensa a sostenere che fosse effettivamente esistita la costruzione di
un identità nazionale, che questa costruzione fosse un processo messo coscientemente in
atto dalle classi dominanti della maggior parte degli Stati-nazione a partire dalla fine
del XIX secolo, mediante una serie di misure, sia materiali che simboliche, che agendo su
una popolazione molto passiva finirono col divenire misure a carattere nazionale.
Questa è l'assunzione, anche se non è mai stata resa esplicita in queste
interpretazioni. Naturalmente molto di tutto ciò corrisponde a verità. Non c'è dubbio
che la possibilità, ad esempio, di spostarsi in un Paese mediante la creazione di una
rete ferroviaria, o l'apertura di nuovi mercati, siano fenomeni che hanno il loro effetto;
un mercato nazionale fa si che la gente si riunisca. Allo stesso modo il servizio
militare, sia esso volontariamente accettato oppure no, è un periodo di vita che
introduce esperienze nuove ad un livello nazionale, e comporta l'essere a conoscenza
dell'esistenza di altra gente che appartiene allo stesso Stato-nazione, esperienza che,
per quanto molto contestata, identifica, o quanto meno rende noto a coloro che servono
nell'esercito il proprio essere italiani, britannici, francesi, tedeschi o di qualsivoglia
nazionalità.
Io penso ci sia un'ulteriore dimensione, e cioè quella della presenza vera e propria
dello Stato nel processo di costruzione di un modo di pensare, quanto di agire, che siano
nazionali: a partire dalle istituzioni fino ai simboli. E tutti noi conosciamo
l'importanza simbolica delle marce, delle cerimonie, dei rituali e cosÏ via. Ma l'unica
ragione per cui questo ha attualmente un simile effetto, non dipende da una qualche magica
qualità delle occasioni simboliche; esiste spesso, io credo, un tipo di contatto
difficilmente esplicabile che passa attraverso i simboli e non attraverso le
manifestazioni materiali, ma l'unico modo di spiegarlo è quello di ricondurlo
all'interazione tra le Èlites nazionali e le identità regionali, o coloro che di tali
identità sono espressione. Per esempio, il monumento a Vercingetorige, a Clermont
Ferrand, è un monumento tanto ad un eroe Alvernio quanto ad un eroe francese, un eroe
dell'identità francese che resistette all'invasione romana; e si potrebbero trovare molti
altri esempi.
Non è accidentale che questi eroi nazionali, Bodocea in Inghilterra, Hermann in
Germania, siano stati costruiti alla fine del XIX secolo. Si tratta, se si vuole, della
borghesia nazionale, questo è un modo di porre la questione. E' un'espressione, e questa
mi sembra essere l'elemento cruciale del modo in cui, entro un contesto differente, quello
dello Stato-nazione, gli individui, per il fatto stesso di vivere all'interno di uno
Stato-nazione, si ritrovano sia con opportunità aperte dalla dimensione nazionale, sia
con la capacità di ritenere le loro identità regionali, fenomeno che, attraverso il
passare delle generazioni, soprattutto dove il livello della mobilità geografica non è
molto alto, condurrà ad un lento processo di identificazione: con il risultato che alla
fine noi ci sentiremo parte di uno spirito nazionale ma non fino all'esclusione di altre
identità. E gli Stati-nazione, laddove al giorno d'oggi sono in crisi, finalmente
cominciano a riconoscere il bisogno di riorganizzarsi in modo tale da accettare il fatto
che, non necessariamente, Stato e nazione debbano constituire un'unità, ma che lo Stato
incorpora entro di sè, (e in questa direzione dovrebbe muoversi) l'identità culturale,
il senso di identità diverse, che oggi costituiscono un parte così essenziale
nell'esperienza degli individui nella maggior parte delle società.
(traduzione di Maurizio Marrone)