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Attenti al contagio del populismo etnico


Bruno Luverà con Antonio Carioti

 

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A oltre centocinquant'anni dalla pubblicazione del "Manifesto" di Marx ed Engels, lo spettro che si aggira per l'Europa non è più il comunismo, ma la destra xenofoba. Un fantasma che oggi s'incarna nel volto abbronzato di Jörg Haider, leader del Partito "liberale" austriaco (Fpö). Tanto che l'ingresso di questa forza politica nel governo di Vienna ha provocato una reazione senza precedenti da parte dell'Unione Europea, che minaccia di isolare l'Austria sul piano diplomatico.

Ma chi è Haider? Perché fa tanta paura? Chi sono i suoi referenti a livello europeo? Ne abbiamo parlato con Bruno Luverà, giornalista della Rai, che al nuovo populismo etnico ha dedicato un libro intitolato "I confini dell'odio" (Editori Riuniti).

 

La Fpö è sempre stata un partito liberale anomalo, ma l'ascesa di Haider ne ha accentuato i caratteri nazionalisti e xenofobi. Quando è cominciata questa involuzione?

La svolta decisiva risale al 1986, quando Haider prende la guida dei Freiheitlichen (i liberali austriaci) e ne modifica l'impostazione politica. Mentre il suo predecessore Steger aveva tentato di assimilare il partito alla Fdp tedesca, inaugurando anche una collaborazione con i socialdemocratici, il nuovo leader lo spodesta con l'appoggio dei circoli intellettuali che fanno capo alla rivista "Die Aula", collocati decisamente a destra.

 

Tra l'altro il nazionalismo austriaco ha sempre avuto una forte impronta pangermanica.

Tradizionalmente era così, ma con Haider le cose sono cambiate. In passato la creazione dello Stato austriaco, dopo il crollo dell'impero asburgico, veniva considerata un aborto e le si contrapponeva l'idea di un grande spazio geopolitico comprendente tutti i popoli di lingua tedesca. Invece il leader della Fpö si è distaccato dal pangermanesimo per aderire a una concezione micronazionalista: presenta l'Austria come una "piccola patria", minacciata dall'Europa della moneta unica e delle istituzioni sovranazionali. E all'Unione di Bruxelles oppone un progetto fondato sulla valorizzazione dei particolarismi e sul federalismo etnico.

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Perché tanta insistenza sulla dimensione locale?

Nella visione di Haider la nazione va declinata su base regionale, poiché è solo nei piccoli spazi che il singolo individuo riesce a conservare la sua identità culturale, aggredita dai processi di globalizzazione e dall'impatto dei fenomeni migratori. Allo Stato nazionale liberale la destra populista rimprovera la sua eterogeneità etnica, derivante dal fatto che esso si fonda su un principio di cittadinanza giuridico, svincolato dai legami di sangue e suolo.

 

Sono suggestioni che circolano anche in altri paesi, compresa l'Italia.

Non c'è dubbio. Con Haider, il nostro Umberto Bossi, lo svizzero Cristoph Blocher e in parte anche Edmund Stoiber, leader della Csu bavarese, condividono il progetto di un'Europa delle regioni, nella quale il criterio di formazione delle singole entità territoriali dovrebbe essere appunto l'omogeneità etnica.

 

E veniamo così all'aspetto più preoccupante, la xenofobia.

Anche qui ci sono delle rilevanti novità. All'usuale concezione razzista, che gerarchizzava i popoli distinguendo quelli superiori da quelli inferiori, Haider ha sostituito l'idea secondo cui ogni identità va gelosamente preservata e la maniera migliore per farlo è valorizzare le differenze culturali. Anche se nei comizi non rifugge certo dai tipici toni xenofobi, formalmente il leader della Fpö riconosce pari dignità a tutti i gruppi etnici. E' una forma più moderna e sottile di ostilità verso gli stranieri, che il politologo francese Pierre-André Taguieff ha chiamato "razzismo del rispetto".

 

Però di diritto alla differenza si parla anche a sinistra.

Infatti è un concetto spesso richiamato per difendere le minoranze. Ma Haider lo assolutizza fino a rovesciarne il significato, poiché a suo avviso l'unico modo di salvaguardare le differenze è evitare il contatto con l'altro, l'inquinamento dello straniero. Il che poi si traduce nello slogan "ciascuno a casa sua" e nell'elevazione di nuovi muri. Così l'ipotesi di rimpatriare gli immigrati senza lavoro viene presentata paradossalmente come una misura per tutelare l'identità degli immigrati stessi, perché - dice Haider - ciascuno può rimanere se stesso soltanto nel suo paese d'origine.

 

Si può interpretare il micronazionalismo europeo come una risposta da destra alla globalizzazione?

In un certo senso sì. La piccola patria regionale diventa un baluardo contro la società multiculturale, contro lo scambio tra diverse visioni del mondo che viene sollecitato dallo sviluppo del commercio e della comunicazione su scala planetaria. E' stata la "nuova destra" francese di Alain de Benoist a esaltare per prima il concetto di differenza e a lanciare l'allarme contro l'etnocidio, l'uccisione dei popoli attraverso l'omologazione culturale. E Haider ne ha in parte recepito il pensiero, così come ha attinto al patrimonio intellettuale del federalismo etnico.

 

La "nuova destra" però si batte strenuamente contro l'economicismo e l'egemonia del mercato, mentre Haider è un convinto liberista.

Qui infatti i due filoni si differenziano nettamente. Il leader della Fpö è favorevole all'apertura dei mercati e alla disarticolazione dello Stato sociale, ma al tempo stesso si rivolge alle persone che temono gli effetti collaterali della globalizzazione economica, primo fra tutti il venir meno delle barriere alla libera circolazione degli individui. Quella di Haider è un'offerta politica complessa, che coniuga il mercato, visto come fonte del benessere, al regionalismo etnico, presentato come strumento di tutela della prosperità insidiata dagli immigrati stranieri.

 

E' evidente l'assonanza con le posizioni di Bossi.

E' stata "la Padania", quotidiano della Lega Nord, a parlare di "affinità elettive" tra il Carroccio e la Fpö. Ma io andrei anche oltre. La verità è che sulle tematiche del localismo etnico si vanno modificando le famiglie politiche europee, con una convergenza tra forze collocate storicamente al centro, tipo la Csu bavarese e la Lega, ed altre considerate di estrema destra, come i Freiheitlichen di Haider o il Vlaams Blok in Belgio.

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Quali conseguenze può avere un simile fenomeno?

La più vistosa è che sul nodo del rapporto con i partiti neopopulisti rischia di spaccarsi il Partito popolare europeo, che oggi è il raggruppamento di maggior peso nel Parlamento di Strasburgo. Mentre partiti come l'Övp austriaca e Forza Italia legittimano Haider e Bossi, altre componenti del Ppe rifiutano ogni apertura di credito nei riguardi della destra xenofoba. Ricordiamo per esempio l'intervento del presidente francese Jacques Chirac contro gli accordi tra gollisti e Front National alle elezioni regionali.

 

E la Germania? E' possibile che la crisi della Cdu, determinata dallo scandalo dei fondi neri, favorisca la crescita della destra?

Non è facile rispondere. Lo scenario più probabile è che le difficoltà della Cdu aprano la strada a uno sconfinamento della Csu fuori dalla Baviera, nelle altre regioni della Germania meridionale. E Stoiber, che viene da un successo elettorale nel suo Land, potrebbe rivendicare la candidatura alla cancelleria. Quanto all'estrema destra tedesca, ha ancora caratteristiche gruppuscolari che le impediscono di assumere un ruolo nazionale rilevante.

 

Anni fa la campagna di stampa contro Kurt Waldheim, messo sotto accusa per il suo passato di ufficiale dell'esercito nazista, non ne bloccò l'elezione alla presidenza austriaca e determinò un rigurgito di antisemitismo. Non c'è il pericolo che oggi certe reazioni europee rafforzino Haider?

In Austria un effetto boomerang non è da escludere. Nell'immediato le pressioni esterne possono favorire Haider: non a caso alcune componenti del Ppe si sono dissociate dall'iniziativa dell'Unione. Credo però che l'intervento di Bruxelles possa anche essere letto in positivo, come dimostrazione che l'Europa non è soltanto un'entità economica e monetaria, ma si basa anche su un vincolo politico. Nel momento in cui in Austria va al potere una forza la cui ideologia contraddice i presupposti stessi su cui si è sorto l'edificio comunitario, ci si sente in dovere di alzare la voce, perché si considera quel paese non un'entità pienamente sovrana, ma una componente politica interna all'Unione. Può essere un indicatore del salto di qualità compiuto dall'integrazione continentale a partire dal trattato di Maastricht.

 

Ma non è esagerato attribuire tanta importanza ad Haider?

Il problema non è tanto la sua statura di leader, ma il pericolo rappresentato dal suo messaggio politico, la cui capacità espansiva va ben oltre i confini della piccola Austria. Non dimentichiamo il ruolo giocato in questo senso da Stoiber, che per primo ha suggerito ai popolari di imbarcare la Fpö nel governo di Vienna. Se Haider trova imitatori e alleati, in prospettiva il disegno del regionalismo etnico può mettere in crisi lo stesso processo d'integrazione europea.

 

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