A oltre centocinquant'anni
dalla pubblicazione del "Manifesto" di Marx ed Engels, lo spettro che si aggira
per l'Europa non è più il comunismo, ma la destra xenofoba. Un fantasma che oggi
s'incarna nel volto abbronzato di Jörg Haider, leader del Partito "liberale"
austriaco (Fpö). Tanto che l'ingresso di questa forza politica nel governo di Vienna ha
provocato una reazione senza precedenti da parte dell'Unione Europea, che minaccia di
isolare l'Austria sul piano diplomatico.
Ma chi è Haider? Perché fa tanta paura? Chi sono i suoi referenti a
livello europeo? Ne abbiamo parlato con Bruno Luverà, giornalista della Rai, che al nuovo
populismo etnico ha dedicato un libro intitolato "I confini dell'odio" (Editori
Riuniti).
La Fpö è sempre stata un partito liberale anomalo, ma l'ascesa di
Haider ne ha accentuato i caratteri nazionalisti e xenofobi. Quando è cominciata questa
involuzione?
La svolta decisiva risale al 1986, quando Haider prende la guida dei
Freiheitlichen (i liberali austriaci) e ne modifica l'impostazione politica. Mentre il suo
predecessore Steger aveva tentato di assimilare il partito alla Fdp tedesca, inaugurando
anche una collaborazione con i socialdemocratici, il nuovo leader lo spodesta con
l'appoggio dei circoli intellettuali che fanno capo alla rivista "Die Aula",
collocati decisamente a destra.
Tra l'altro il nazionalismo austriaco ha sempre avuto una forte
impronta pangermanica.
Tradizionalmente era così, ma con Haider le cose sono cambiate. In
passato la creazione dello Stato austriaco, dopo il crollo dell'impero asburgico, veniva
considerata un aborto e le si contrapponeva l'idea di un grande spazio geopolitico
comprendente tutti i popoli di lingua tedesca. Invece il leader della Fpö si è
distaccato dal pangermanesimo per aderire a una concezione micronazionalista: presenta
l'Austria come una "piccola patria", minacciata dall'Europa della moneta unica e
delle istituzioni sovranazionali. E all'Unione di Bruxelles oppone un progetto fondato
sulla valorizzazione dei particolarismi e sul federalismo etnico.

Perché tanta insistenza sulla dimensione locale?
Nella visione di Haider la nazione va declinata su base regionale,
poiché è solo nei piccoli spazi che il singolo individuo riesce a conservare la sua
identità culturale, aggredita dai processi di globalizzazione e dall'impatto dei fenomeni
migratori. Allo Stato nazionale liberale la destra populista rimprovera la sua
eterogeneità etnica, derivante dal fatto che esso si fonda su un principio di
cittadinanza giuridico, svincolato dai legami di sangue e suolo.
Sono suggestioni che circolano anche in altri paesi, compresa l'Italia.
Non c'è dubbio. Con Haider, il nostro Umberto Bossi, lo svizzero
Cristoph Blocher e in parte anche Edmund Stoiber, leader della Csu bavarese, condividono
il progetto di un'Europa delle regioni, nella quale il criterio di formazione delle
singole entità territoriali dovrebbe essere appunto l'omogeneità etnica.
E veniamo così all'aspetto più preoccupante, la xenofobia.
Anche qui ci sono delle rilevanti novità. All'usuale concezione
razzista, che gerarchizzava i popoli distinguendo quelli superiori da quelli inferiori,
Haider ha sostituito l'idea secondo cui ogni identità va gelosamente preservata e la
maniera migliore per farlo è valorizzare le differenze culturali. Anche se nei comizi non
rifugge certo dai tipici toni xenofobi, formalmente il leader della Fpö riconosce pari
dignità a tutti i gruppi etnici. E' una forma più moderna e sottile di ostilità verso
gli stranieri, che il politologo francese Pierre-André Taguieff ha chiamato
"razzismo del rispetto".
Però di diritto alla differenza si parla anche a sinistra.
Infatti è un concetto spesso richiamato per difendere le minoranze. Ma
Haider lo assolutizza fino a rovesciarne il significato, poiché a suo avviso l'unico modo
di salvaguardare le differenze è evitare il contatto con l'altro, l'inquinamento dello
straniero. Il che poi si traduce nello slogan "ciascuno a casa sua" e
nell'elevazione di nuovi muri. Così l'ipotesi di rimpatriare gli immigrati senza lavoro
viene presentata paradossalmente come una misura per tutelare l'identità degli immigrati
stessi, perché - dice Haider - ciascuno può rimanere se stesso soltanto nel suo paese
d'origine.
Si può interpretare il micronazionalismo europeo come una risposta
da destra alla globalizzazione?
In un certo senso sì. La piccola patria regionale diventa un baluardo
contro la società multiculturale, contro lo scambio tra diverse visioni del mondo che
viene sollecitato dallo sviluppo del commercio e della comunicazione su scala planetaria.
E' stata la "nuova destra" francese di Alain de Benoist a esaltare per prima il
concetto di differenza e a lanciare l'allarme contro l'etnocidio, l'uccisione dei popoli
attraverso l'omologazione culturale. E Haider ne ha in parte recepito il pensiero, così
come ha attinto al patrimonio intellettuale del federalismo etnico.
La "nuova destra" però si batte strenuamente contro
l'economicismo e l'egemonia del mercato, mentre Haider è un convinto liberista.
Qui infatti i due filoni si differenziano nettamente. Il leader della
Fpö è favorevole all'apertura dei mercati e alla disarticolazione dello Stato sociale,
ma al tempo stesso si rivolge alle persone che temono gli effetti collaterali della
globalizzazione economica, primo fra tutti il venir meno delle barriere alla libera
circolazione degli individui. Quella di Haider è un'offerta politica complessa, che
coniuga il mercato, visto come fonte del benessere, al regionalismo etnico, presentato
come strumento di tutela della prosperità insidiata dagli immigrati stranieri.
E' evidente l'assonanza con le posizioni di Bossi.
E' stata "la Padania", quotidiano della Lega Nord, a parlare
di "affinità elettive" tra il Carroccio e la Fpö. Ma io andrei anche oltre. La
verità è che sulle tematiche del localismo etnico si vanno modificando le famiglie
politiche europee, con una convergenza tra forze collocate storicamente al centro, tipo la
Csu bavarese e la Lega, ed altre considerate di estrema destra, come i Freiheitlichen di
Haider o il Vlaams Blok in Belgio.

Quali conseguenze può avere un simile fenomeno?
La più vistosa è che sul nodo del rapporto con i partiti neopopulisti
rischia di spaccarsi il Partito popolare europeo, che oggi è il raggruppamento di maggior
peso nel Parlamento di Strasburgo. Mentre partiti come l'Övp austriaca e Forza Italia
legittimano Haider e Bossi, altre componenti del Ppe rifiutano ogni apertura di credito
nei riguardi della destra xenofoba. Ricordiamo per esempio l'intervento del presidente
francese Jacques Chirac contro gli accordi tra gollisti e Front National alle elezioni
regionali.
E la Germania? E' possibile che la crisi della Cdu, determinata
dallo scandalo dei fondi neri, favorisca la crescita della destra?
Non è facile rispondere. Lo scenario più probabile è che le
difficoltà della Cdu aprano la strada a uno sconfinamento della Csu fuori dalla Baviera,
nelle altre regioni della Germania meridionale. E Stoiber, che viene da un successo
elettorale nel suo Land, potrebbe rivendicare la candidatura alla cancelleria. Quanto
all'estrema destra tedesca, ha ancora caratteristiche gruppuscolari che le impediscono di
assumere un ruolo nazionale rilevante.
Anni fa la campagna di stampa contro Kurt Waldheim, messo sotto accusa
per il suo passato di ufficiale dell'esercito nazista, non ne bloccò l'elezione alla
presidenza austriaca e determinò un rigurgito di antisemitismo. Non c'è il pericolo che
oggi certe reazioni europee rafforzino Haider?
In Austria un effetto boomerang non è da escludere. Nell'immediato le
pressioni esterne possono favorire Haider: non a caso alcune componenti del Ppe si sono
dissociate dall'iniziativa dell'Unione. Credo però che l'intervento di Bruxelles possa
anche essere letto in positivo, come dimostrazione che l'Europa non è soltanto un'entità
economica e monetaria, ma si basa anche su un vincolo politico. Nel momento in cui in
Austria va al potere una forza la cui ideologia contraddice i presupposti stessi su cui si
è sorto l'edificio comunitario, ci si sente in dovere di alzare la voce, perché si
considera quel paese non un'entità pienamente sovrana, ma una componente politica interna
all'Unione. Può essere un indicatore del salto di qualità compiuto dall'integrazione
continentale a partire dal trattato di Maastricht.
Ma non è esagerato attribuire tanta importanza ad Haider?
Il problema non è tanto la sua statura di leader, ma il pericolo
rappresentato dal suo messaggio politico, la cui capacità espansiva va ben oltre i
confini della piccola Austria. Non dimentichiamo il ruolo giocato in questo senso da
Stoiber, che per primo ha suggerito ai popolari di imbarcare la Fpö nel governo di
Vienna. Se Haider trova imitatori e alleati, in prospettiva il disegno del regionalismo
etnico può mettere in crisi lo stesso processo d'integrazione europea.