Ronald
Dworkin è Quaint Professor di giurisprudenza allUniversity College di Londra, e
Sommer Professor di Legge e docente di Filosofia alla New York University. Il presente
saggio, pubblicato sul numero 56 di "Reset", è stato rielaborato dalla rivista
"Prospect" sulla base del testo di una conferenza su "Genetica, identità e
giustizia" tenuta al 21st Century Trust. Il testo completo dalla conferenza sarà
disponibile in un volume di prossima pubblicazione che raccoglierà i saggi di Dworkin
sulluguaglianza (Harvard University Press).
Lo studio della genetica ha scoperchiato un vaso di Pandora morale e
politico. Sarebbe giusto consentire alle compagnie di assicurazione laccesso alle
informazioni genetiche? Il diffuso sentimento di disgusto di fronte alla prospettiva della
clonazione umana è giustificato, oppure i nostri valori dovrebbero adeguarsi ai nuovi
confini tra possibilità e scelta?
Nessun altro capitolo nella storia della scienza, nemmeno quello della
cosmologia, ha suscitato tanto scalpore come la genetica. E nessuno le può essere
paragonato quanto alla profonda influenza che eserciterà sulla vita dei nostri
discendenti. Alcuni dei problemi politici e morali suscitati dalle nuove tecnologie
potranno essere affrontati in futuro.
Se la clonazione umana dovesse diventare una possibilità reale e
concreta, ad esempio, o se sarà possibile alterare radicalmente i cromosomi di un feto
appena concepito per dar vita a un bambino più intelligente, o magari più aggressivo,
allora sarà necessario decidere se tali interventi dovranno essere proibiti o meno. Ma
molti altri problemi ci riguardano già oggi.
Esistono già per esempio dei test in grado di individuare un
indicatore genetico di alcune malattie o della predisposizione ad esse. Siamo quindi già
di fronte a difficili interrogativi, per stabilire fino a che punto e in quali casi
dovrebbero essere consentiti o richiesti o proibiti tali test; e fino a che
punto i datori di lavoro o le compagnie di assicurazione dovrebbero poter accedere ai
risultati.
Gli avversari di questi esperimenti citano i danni di diverso genere
che potrebbero derivare dalla diffusione dei loro risultati. Se si dovesse risapere che un
individuo è quasi certamente destinato a morire giovane, o è particolarmente vulnerabile
a un certo tipo di malattie, sarà trattato dagli altri in modo diverso. Ciò potrebbe
incidere sul matrimonio, e addirittura sui rapporti di amicizia che questa persona può
intrattenere, perché la conoscenza di questo dato la renderebbe meno attraente. In alcuni
casi, un individuo potrebbe per effetto di quel che gli altri sanno riguardo al suo
patrimonio genetico non trovare lavoro o non poter sottoscrivere un contratto di
assicurazione. È giusto tutto ciò?
Dovremmo innanzitutto riconoscere che lingiustizia, se cè,
fa già parte della nostra esistenza. Le persone che soffrono di una disabilità evidente
già subiscono un danno sociale ed emotivo derivante dalla loro condizione, e i datori di
lavoro e le assicurazioni possono anche oggi esigere informazioni sulla storia medica di
un individuo (e poi comportarsi di conseguenza).
Tuttavia la possibilità di accedere a un profilo genetico complessivo
o anche solo ad alcune informazioni specifiche riguardanti ad esempio la predisposizione
genetica a tumori, malattie cardiache o comportamenti aggressivi, aggraverebbe la
vulnerabilità dei singoli nei confronti delle discriminazioni.
La risposta istintiva di molte persone di fronte a questi rischi è che
la diffusione delle informazioni genetiche dovrebbe essere unicamente una libera scelta
dellindividuo interessato. Ma questa soluzione appare troppo drastica, anche in
linea di principio, ed estremamente difficile, se non addirittura impossibile, da
garantire nella pratica.
Significa forse che la prova del DNA non potrebbe mai essere utilizzata
nelle indagini e nei processi per fatti criminali? Il deplorevole caso di O.J. Simpson ha
se non altro edotto lopinione pubblica sul potere e sui punti deboli di tali prove.
Tuttavia sarei riluttante allidea di abbandonarne del tutto luso.
E che cosa dire di quelle occupazioni in cui una predisposizione a
certe malattie costituisce unautentica minaccia per gli altri: la probabilità di un
attacco cardiaco in un pilota, per esempio? Ed è davvero giusto che quelle persone che
presentano diversi fattori di rischio per le assicurazioni paghino gli stessi premi degli
altri? Non significa forse che alcuni pagano anche per loro? Riteniamo giusto che i
fumatori paghino premi superiori nelle assicurazioni sulla vita. Supponiamo che vengano
scoperti dei fattori genetici che provocano la disposizione alla dipendenza da nicotina.
Dovremmo o meno continuare a chiedere che i fumatori paghino premi maggiori?
Comè possibile distinguere tra usi propri e impropri delle
informazioni genetiche? Immaginiamo che alle compagnie di assicurazione venga proibito sia
di esigere test genetici come condizione per la stipula di determinati contratti, sia di
chiedere ai contraenti se si siano mai sottoposti a test del genere. In tal caso le
compagnie finirebbero per essere rovinate dalla "selezione avversa": le persone
che si sono sottoposte a test genetici stipulerebbero dei contratti molto onerosi in caso
di forte rischio, mentre quelle che non presentano gravi fattori di rischio non si
assicurerebbero affatto il che porterebbe al fallimento le compagnie assicurative.
Ora immaginiamo invece che le compagnie possano chiedere informazioni
ai possibili clienti che si sono sottoposti a test. In tal caso, i futuri contraenti
sarebbero scoraggiati dal sottoporsi a tali prove, con conseguenti ripercussioni negative
sulla salute pubblica e loro personale. Potremmo definire tutto questo come il
"dilemma assicurativo".
Questi esempi illustrano e drammatizzano alcuni temi di giustizia
sociale su cui da tempo ci troviamo a riflettere. Nel contesto genetico questi problemi
dovranno essere affrontati su due piani. Prima di tutto dobbiamo continuare a sviluppare e
a garantire una pratica di assunzioni più equa, controllata dagli organismi competenti i
quali possano erigersi a giudici tra gli interessi pubblici e quelli del mercato.
Sarebbe giusto consentire alle linee aeree di richiedere test specifici
per i loro piloti, perché sulla bilancia dellinteresse pubblico il piatto pende in
favore di tale prassi. Ma benché nessuna impresa possa trarre vantaggi dallassumere
un lavoratore destinato a morire verso la mezza età per il morbo di Huntington, dovremmo
impedire che la maggior parte dei datori di lavoro possa pretendere informazioni in
merito: limpatto della disoccupazione permanente sulla già breve vita di una
persona così condannata sarebbe troppo grave: non si può fare a meno di esigere che i
datori di lavoro continuino a correre quei rischi che hanno sempre corso.
Il dilemma assicurativo fornisce anche una risposta definitiva a chi si
chiede perché le assicurazioni sulla vita e sulla salute non dovrebbero più essere in
mano al settore privato. Tra le grandi democrazie, gli Stati Uniti sono i soli a non aver
ancora appreso questa lezione per quanto riguarda le assicurazioni sanitarie.
(Lassicurazione sulla vita è invece quasi ovunque privata).
Poiché il dilemma è destinato ad approfondirsi con il crescere delle
informazioni genetiche di cui possiamo disporre, la ricerca può sortire leffetto,
imprevisto ma salutare, di assestare un colpo durissimo alla giustizia americana in
generale. È necessario che a tutti sia garantita una assistenza sanitaria di base secondo
il cosiddetto "community rating", cioè a un prezzo basato sulla presunzione che
ciascun assicurato presenti un rischio medio. Le informazioni genetiche potrebbero essere
utilizzate per stabilire tale media, ma non per discriminare gli individui.

Agli assicuratori privati si dovrebbe consentire di offrire servizi e
assicurazioni supplementari, a prezzo di mercato: avrebbero allora il diritto di far
effettuare test genetici per stabilire i premi da versare per tali assicurazioni
supplementari.
Ammettendo che a ciascun cittadino sia garantita lassistenza
sanitaria di base, ecco insorgere un nuovo interrogativo: oltre a fornire le cure standard
per le malattie la cui predisposizione genetica può essere individuata in anticipo, fino
a che punto spetta al sistema pubblico di mettere anche a disposizione le nuove e
costosissime tecnologie approntate dai ricercatori per diagnosticarle?
La medicina genetica consente già oggi ai medici di stabilire in che
misura i geni di un paziente malato di cancro andranno a interagire con altre parti del
suo profilo genetico, e questo al fine di predisporre e somministrare nel modo più
efficiente le cure chemioterapiche. Si stanno sviluppando delle tecniche intese ad
alterare la chimica proteica di certi pazienti, reintroducendo cellule prelevate dal suo
stesso corpo e modificate per produrre un profilo genetico migliore. È giusto che tali
tecniche siano a disposizione di tutti?
Molti diranno: tutto ciò che può salvare delle vite devessere
messo a disposizione di tutti, nei limiti del possibile; è vergognoso che si perdano
delle vite umane perché la comunità non intende spendere il denaro necessario per
salvarle.
Ma a una società che davvero cercasse di adeguarsi perfettamente a
tale principio non rimarrebbe poi più nulla da spendere per listruzione, la
formazione professionale o la cultura. Probabilmente non farebbe altro che consentire ai
suoi cittadini di vivere un po più a lungo, ma nella miseria e nella disperazione.
E se accettiamo questo deprimente dato di fatto, e neghiamo un certo tipo di cure che
potrebbero prolungare alcune esistenze, dovremo invece consentirle a coloro che si possono
permettere di pagarne gli alti costi?
Sono problemi antichi, a cui la medicina genetica ha impresso una nuova
svolta. Come tentativo di risposta, proponiamo un esperimento del pensiero. Immaginiamo
che i cittadini di una società, con i gusti e le ambizioni attuali, godano ciascuno della
ricchezza media di cui la società in questione dispone, e che ciascuno disponga delle
informazioni più aggiornate in merito non solo ai benefici che lingegneria genetica
potrebbe apportare, ma a quanto costerebbe sottoscrivere unassicurazione che ne
coprisse le spese.
Se pensiamo che i cittadini in generale si assicurerebbero per un certo
genere di terapia per esempio, i test genetici per incrementare lefficacia
della chemioterapia, in caso di necessità allora sarebbe giusto che il servizio
sanitario nazionale lo garantisse a tutti.
Se al contrario riteniamo che i cittadini non sottoscriverebbero in
grande maggioranza unassicurazione per una determinata terapia per esempio,
indagini genetiche per far crescere di più i bambini piccoli di statura allora
sarebbe giusto che il servizio sanitario nazionale non mettesse la terapia in questione a
disposizione di tutti. Tuttavia, chi se lo può permettere dovrebbe poter pagare tali
terapie, a prezzo di mercato, indipendentemente dal fatto che non siano a disposizione di
tutti. Non si tratta di perseguire unuguaglianza generica, ma un livellamento verso
il basso. Anche una diminuzione della domanda per una particolare terapia può stimolare
la ricerca, dalla quale possono talora derivare benefici inaspettati.
La più impressionante delle possibilità esplorate in questo momento
dai genetisti è quella che consentirebbe ai medici di scegliere quale tipo di essere
umano far nascere. Lumanità ha scoperto da tempo, in modo grossolano, questo
potere, quando ha compreso che laccoppiamento tra certe persone e non altre
comportava determinate conseguenze sui figli che costoro avrebbero messo al mondo.
Leugenetica, sostenuta da George Bernard Shaw oltre che da Adolf
Hitler, era nata da questa semplice intuizione. Ma oggi la scienza genetica ha la
possibilità di creare esseri umani con caratteristiche particolari, progettati secondo
una mappa genetica dettagliata, e addirittura la possibilità di modificare esseri umani
già esistenti, allo stadio fetale e oltre, per creare persone con determinate
caratteristiche genetiche.
Quando gli scienziati scozzesi clonarono una pecora adulta, e altri
scienziati e opinionisti ne dedussero che la stessa tecnica poteva servire a clonare
esseri umani, apposite commissioni nominate dai governi di tutto il mondo nonché da vari
organismi internazionali, stigmatizzarono immediatamente lidea.
Il presidente americano Clinton vietò qualunque uso di fondi federali
per finanziare le ricerche sulla clonazione umana, e il Senato degli Stati Uniti sta per
proibire, attraverso unapposita legislazione, ogni ricerca del genere. Il Parlamento
europeo ha dichiarato che la clonazione delluomo "sia pure in via sperimentale
nel contesto di trattamenti di fertilità, diagnosi di preimpianto per il trapianto di
tessuti o per qualsiasi altro scopo, è antietica, moralmente ripugnante e contraria al
rispetto della persona e costituisce una grave violazione dei diritti umani
fondamentali" che non potrà mai, in alcuna circostanza, essere giustificata o
accettata.
La possibilità di manipolazioni genetiche globali alterazioni
delleredità genetica dello zigote per produrre una serie di predisposizioni
fisiche, mentali e emotive così comè stata immaginata da un film uscito di
recente, Gattaca, ha suscitato altrettanti timori e ripugnanza.
Come giustificare, o anche solo spiegare, una reazione così violenta
di fronte alla clonazione e alluso estensivo dellingegneria genetica? Si
citano spesso tre generi di obiezioni.
Il primo chiama in causa i potenziali pericoli fisici. Non sappiamo se
i tentativi di questo genere produrrebbero un numero abnorme di gravidanze interrotte
prima del termine, o la nascita di una quantità di bambini deformi.
Secondo, la resistenza contro le manipolazioni genetiche si fonda a
volte su preoccupazioni di giustizia sociale. Se anche fosse realizzabile, la clonazione
risulterebbe spaventosamente costosa, e quindi disponibile solo per i più abbienti, che
potrebbero farsi clonare per pura vanità, incrementando ulteriormente i già iniqui
vantaggi derivanti dalla ricchezza. (Quanti inorridiscono di fronte alla prospettiva della
clonazione citano spesso lo spettro di migliaia di Rupert Murdoch o, ancor peggio, di
Donald Trump).
La terza obiezione si potrebbe spiegare con una valutazione estetica.
Qualora fossero disponibili, le scoperte dellingegneria genetica potrebbero essere
utilizzate per perpetuare le caratteristiche oggi più desiderabili per quanto riguarda
laltezza, lintelligenza, il colore della pelle e la personalità, privando
così il mondo di quella varietà che è essenziale per avere novità, originalità e
fascino.
A mio parere, né prese separatamente né insieme queste tre obiezioni
giustificano lenergia della reazione descritta sopra.
Prendiamo la questione della sicurezza fisica. Non cè motivo di
pensare che la clonazione o la manipolazione genetica produrrebbero un danno genetico
ereditario tale da minacciare di deformità le generazioni future. In ogni caso tali
rischi non sarebbero sufficienti, da soli, a giustificare la proibizione a proseguire una
ricerca che potrebbe aiutarci a comprendere meglio i rischi effettivi. Si potrebbe
regolamentarne lo studio, affidandone il controllo ai guardiani della clonazione
destinati prima o poi a fare la loro comparsa sulla scena senza proibirlo
completamente.
Ma se è giusto preoccuparsi dei rischi comportati dalla ricerca e
dalla sperimentazione, dovremmo però anche prendere in considerazione la speranza che dal
progresso e dallaffinamento delle tecniche dellingegneria genetica possa
derivare una drastica diminuzione dei difetti e delle deformità congenite o che si
sviluppano nel corso degli anni. È assai probabile che il piatto della bilancia
penderebbe in favore della sperimentazione.
E che dire della questione della giustizia? È facile immaginare
lingegneria genetica divenire un privilegio dei ricchi. Ma queste tecniche hanno
utilizzi che vanno oltre la semplice vanità. I parenti di un bambino malato senza
speranze potrebbero volerne un altro, che amerebbero allo stesso modo, ma il cui sangue o
midollo potrebbe salvare anche la vita del bambino da cui il secondo è stato clonato.
La clonazione di singole cellule umane, anziché dellintero
organismo, potrebbe comportare benefici ancor più evidenti. Per esempio, una cellula
modificata geneticamente e poi clonata, prelevata da un paziente malato di cancro,
potrebbe rivelarsi una cura efficace contro il tumore stesso, una volta reintrodotta
nellorganismo.
Potrebbero esserci anche benefici che vanno al di là delle questioni
strettamente mediche. Coppie senza figli o donne singole potrebbero desiderare di
procreare attraverso la clonazione, che potrebbero giudicare unalternativa migliore
di quelle attualmente disponibili. O potrebbero ritenere di non avere alternative.

Il rimedio allingiustizia è la distribuzione delle risorse, non
il rifiutare ad alcune categorie di persone determinati benefici, con un divieto da cui
nessuno potrebbe trarre alcun vantaggio.
Che dire infine dellobiezione estetica? I cloni esistono già
le nascite gemellari geneticamente identiche sono cloni e i gemelli, i
bambini geneticamente identici dimostrano che un identico patrimonio genetico non produce
fenotipi identici. Forse in passato abbiamo sottovalutato la natura; tuttavia anche
leducazione ha una grande importanza, che la reazione alle manipolazioni genetiche
sembra avere a sua volta sottovalutato.
In ogni caso, la gente teme che, se sostituiamo alla
"lotteria" genetica della natura la riproduzione ingegneristica, la splendida
varietà dei tipi umani sarà progressivamente sostituita da una uniformità dettata dalla
moda. Da un certo punto di vista, una maggior uniformità è decisamente auspicabile: non
cè alcun valore, estetico o di altro genere, nel fatto che alcune persone siano
destinate a una vita breve e terribile. E non è detto che lingegneria genetica,
anche se fosse disponibile liberamente e accessibile a tutti, davvero minaccerebbe la
diversità positiva.
Possiamo presumere che tutti i genitori, potendo scegliere,
desidererebbero per i loro figli quel livello di intelligenza e di altre capacità che
oggi consideriamo normale. Ma questo non è di per sé negativo: dopo tutto,
lobiettivo delleducazione, ordinaria e di recupero, è proprio quello di
migliorare intelligenza e capacità.
Ci sono buone ragioni per pensare che, potendo scegliere tra
riproduzione tramite rapporti sessuali e clonazione, i genitori opterebbero per la
seconda? Appare improbabile.
Abbiamo motivo di temere che i genitori farebbero modificare
geneticamente uno zigote allo scopo di generare un maschio anziché una femmina? È vero
che in certe comunità dellIndia settentrionale, ad esempio, i maschi sono preferiti
alle femmine. Ma è una preferenza che appare legata alle circostanze economiche e a
pregiudizi culturali che si stanno evolvendo, e che non lasciano seriamente immaginare che
si possano estendere improvvisamente in tutto il mondo, dando vita a una generazione
dominata dagli uomini. Laborto selettivo in base al sesso è praticabile già da
diverso tempo, grazie allamniocentesi e alle leggi che liberalizzano laborto,
ma non ci pare che si vada affermando alcuna tendenza in tal senso.
Ma questo timore va ben oltre la paura di unaccentuata asimmetria
sessuale: è il timore che un unico fenotipo diciamo biondo, bello in modo
convenzionale, non aggressivo, alto, dotato di talento musicale e spiritoso - finisca per
dominare quelle culture in cui tale fenotipo è particolarmente apprezzato.
Dovremmo fermarci a riflettere sulle basi scientifiche di tali timori:
essi danno per scontato non soltanto che sia possibile un intervento genetico complessivo,
ma che le varie caratteristiche del fenotipo preferito possano essere assemblate in una
stessa persona.
In realtà si tratta di un evento improbabile. Ci sembra assai più
probabile che anche i genitori che potessero accedere alle più recenti scoperte nel campo
dellingegneria genetica dovrebbero compiere delle scelte e accettare i rischi
comportati dallimpatto con leducazione e lesperienza e che le
loro scelte corrisponderebbero a quelle stesse differenze che già oggi esistono tra loro,
e che riteniamo giustamente preziose. Limpatto di scelte personali diverse per la
propria prole, con lobiettivo di distinguerla dagli altri, favorirebbe ulteriormente
tali diversità.
Molti esaltano il mistero della riproduzione. Molti, forse quasi tutti,
rifiuterebbero le manipolazioni genetiche con leccezione di quelle volte a cercare
di eliminare i difetti e gli handicap più ovvi. Se così è, lobiezione estetica
viene a cadere e comunque appare prematura.
Avremmo bisogno di molta più informazione, di un genere che può
venire soltanto dalla ricerca e dalla sperimentazione, prima di poter anche solo
cominciare a giudicare le affermazioni su cui tale obiezione si basa. Ci sembra quindi
irrazionale fondarci su di essa per impedire ogni ulteriore ricerca in questo campo.
Tutte queste argomentazioni e obiezioni non sembrano costituire quello
che T. S. Eliot definì "correlativo oggettivo" per la repulsione che ho
descritto prima. La ripugnanza provata dalla gente ha una motivazione più profonda e meno
definibile, anche se chi la sente non riesce ad esprimerla se non con un linguaggio dalla
logica inadeguata come il bizzarro riferimento ai "diritti umani
fondamentali" nella risoluzione del Parlamento Europeo. Ma dietro a tanta ostilità
ci pare essere lobiezione al tentativo di "sostituirsi a Dio".
Sostituirsi a Dio è considerata cosa sbagliata in sé,
indipendentemente dalle conseguenze negative che ciò comporta o potrebbe comportare per
un singolo essere umano. Ma non è affatto chiaro il significato di tale proibizione
non è chiaro né che cosa significhi "sostituirsi a Dio", né cosa ci
sia in questo di tanto sbagliato.
Non può voler dire che gli esseri umani non dovrebbero mai opporre
resistenza alle catastrofi naturali, o cercare di migliorare le carte che la natura ha
distribuito loro nella partita della vita. Sono cose che tutti fanno e hanno sempre
fatto di continuo.
Dove sta, in fondo, la differenza tra linvenzione della
penicillina e luso di geni clonati o manipolati per curare malattie ancor più
spaventose di quelle curate dalla prima? Che differenza cè tra limporre ai
propri figli faticosissimi esercizi per perdere peso o migliorare la propria forma fisica
e lalterare i loro geni, quando sono ancora embrioni, avendo in mente lo stesso
obiettivo? Per cercare di rispondere a questi interrogativi, occorre partire da un
po più lontano, dalla struttura complessiva della nostra esperienza morale.
Tale struttura dipende dalla distinzione fondamentale tra quello di cui
siamo responsabili, con le nostre azioni e le nostre decisioni, in quanto individui o in
quanto collettività, e ciò che ci viene dato in partenza, contro il quale possiamo agire
o decidere, ma che non abbiamo il potere di cambiare. Per i greci, era questa la
distinzione tra loro e il fato o destino, che riposava nel grembo degli Dei.
Anche oggi, per le persone religiose in senso convenzionale, si tratta
della differenza tra il modo in cui Dio ha organizzato il mondo, ivi compresa la nostra
condizione naturale allinterno di esso, e lobiettivo del libero arbitrio, che
è anchesso una creazione divina.
Persone più sofisticate usano il linguaggio della scienza allo stesso
scopo: per loro la distinzione di fondo è tra ciò che è creato dalla natura, compresa
levoluzione, tramite particelle, energia e geni, e ciò che noi facciamo di quei
geni.
Per tutti, la distinzione segna il confine tra ciò che siamo
che ne sia responsabile il volere divino o un cieco processo naturale e ciò che
noi facciamo di quella eredità, azioni la cui responsabilità è soltanto nostra.
Questo confine cruciale tra scelta e fatalità costituisce
limpalcatura della nostra moralità, e qualunque cambiamento di una certa rilevanza
apportato a quel confine causa un forte disorientamento.
La nostra concezione di quella che è una vita vissuta bene, per
esempio, è modellata su presunti postulati riguardanti i limiti estremi della durata
della vita stessa. Se improvvisamente la durata della vita media si decuplicasse, ci
troveremmo costretti a modificare le nostre opinioni su quella che possiamo considerare
una vita attraente, nonché su quali attività che comportano dei rischi per la vita
altrui, come per esempio guidare la macchina, siano moralmente accettabili.
La storia ci offre diversi esempi di come le scoperte scientifiche
possano modificare i nostri valori. Le convinzioni comuni riguardo alle responsabilità
dei comandanti che hanno il dovere di proteggere, a qualsiasi costo, i loro soldati in
tempo di guerra, sono cambiate quando gli scienziati hanno imparato a dividere
latomo, incrementando a dismisura lentità dei massacri che quelle convinzioni
avrebbero potuto giustificare. Le opinioni più diffuse circa leutanasia sono
cambiate quando la medicina che si occupa dei malati terminali ha aumentato enormemente il
potere dei medici di prolungare una vita ben oltre il punto in cui la vita stessa ha un
qualunque significato per il paziente.
In ciascuno di questi casi, un periodo di stabilità morale è stato
sostituito da uno di incertezza, ed è rivelatore che in entrambi gli episodi si sia fatto
ricorso allespressione "sostituirsi a Dio".
La scienza genetica ci ha reso coscienti della possibilità di un
disorientamento morale simile, ma di dimensioni ancor maggiori. La prospettiva di un
gruppo di persone in grado di progettare altre persone ci terrorizza, perché la
possibilità stessa di un simile evento sposta quel confine tra fatalità e scelta su cui
si fondano i nostri valori.
Il nostro essere fisico il cervello e il corpo che costituiscono
il nostro substrato materiale è da tempo il paradigma assoluto di ciò che è, al
tempo stesso, spaventosamente importante per noi e impossibile da alterare, sia a livello
individuale che collettivo. La popolarità del concetto di "lotteria genetica"
mostra da sola la centralità delle nostre convinzioni riguardo a quella che è per
eccellenza una questione di fatalità, non di scelta.
Se dovessimo prendere sul serio la possibilità che stiamo esplorando
che cioè gli scienziati abbiano veramente acquisito la capacità di creare un
essere umano secondo un qualsiasi fenotipo scelto dallo scienziato stesso o dai genitori
dellessere che nascerà allora dovremmo mettere in conto la distruzione di
atteggiamenti morali dati per acquisiti da tempo, una distruzione che potrebbe iniziare in
qualsiasi momento.
Non usiamo la distinzione tra fatalità e scelta soltanto per stabilire
le responsabilità di determinate situazioni o eventi, ma anche per misurare la stima che
abbiamo di noi stessi, ivi compresa la stima per i doni fattici dalla natura.
È un fenomeno curioso, quello per cui la gente si inorgoglisce per
attributi o abilità fisiche come la bellezza o la forza fisiche che non ha
potuto né scegliere né creare, mentre lo stesso non vale quando gli stessi attributi si
possono considerare frutto degli sforzi di altre persone, in cui lindividuo stesso
non ha avuto parte attiva.
Una donna che si affida alle mani di un chirurgo estetico può essere
felice dei risultati ottenuti, ma non ne va orgogliosa; certo non prova lo stesso orgoglio
che proverebbe se fosse nata altrettanto bella. Che cosa accadrebbe al nostro orgoglio per
il nostro aspetto fisico, se esso fosse linesorabile risultato non di una natura
della quale ci è consentito gloriarci e in un certo senso partecipare, ma di una
decisione presa dai nostri genitori e dai genetisti da loro pagati?
Inoltre, noi accettiamo la situazione in cui nasciamo come un parametro
della nostra responsabilità, ma non come un elemento su cui gettare eventuali colpe (se
non nei casi, la cui scoperta è relativamente recente, in cui il comportamento altrui
può aver alterato il nostro sviluppo embrionale il fumo, ad esempio, o
labuso di droghe). In caso contrario, anche se possiamo maledire la sorte per il
modo in cui siamo fatti, come Richard Crookback, non diamo la colpa a nessun altro.
La stessa distinzione vale per la responsabilità sociale. Ci sentiamo
più responsabili e in dovere di aiutare le vittime degli incidenti sul lavoro o dei
pregiudizi razziali piuttosto che quanti sono nati con delle malformazioni genetiche o
sono stati colpiti da un fulmine o da quelli che i legali e le compagnie di assicurazione
chiamano, con espressione illuminante "atti divini".
In che modo tutto questo potrebbe cambiare se quello che siamo
dipendesse dalla decisione consapevole di altre persone? Lorrore che molti di noi
provano al pensiero delle manipolazioni genetiche non è la paura di una cosa sbagliata:
è il terrore di perdere la nostra capacità di stabilire che cosa sia sbagliato. Abbiamo
paura che ne verranno minate le nostre convinzioni più salde, che ci troveremo in una
sorta di caduta libera della morale, che saremo costretti a ripensare tutto ex novo, in un
nuovo contesto, e con esiti incerti. Sostituirsi a Dio significa giocare col fuoco.
Supponiamo che questa ipotesi sia corretta, e che serva a spiegare la
profonda reazione emotiva di fronte allingegneria genetica. Avremo allora scoperto,
oltre alla spiegazione, anche la giustificazione di tale ripulsa? No. Avremo scoperto una
sfida che dobbiamo assumerci, anziché una ragione per voltarle le spalle.
Lipotesi qui avanzata spiega soltanto i motivi per cui i nostri
valori attuali possono rivelarsi sbagliati o da ripensare. Se vogliamo essere moralmente
responsabili, non possiamo tornare indietro se scopriamo, come abbiamo scoperto, che
alcuni dei presupposti fondamentali per quei valori sono errati.
Sostituirsi a Dio significa davvero giocare con il fuoco. Ma è quel
che i mortali hanno sempre fatto, dai tempi di Prometeo, il santo patrono delle scoperte
pericolose. Noi giochiamo col fuoco e ne accettiamo le conseguenze, perché
lalternativa è una irresponsabile vigliaccheria di fronte allignoto.