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Immorale e rischioso giocare con i cloni

Francesco Compagnoni e Gianni Tamino con Antonio Carioti


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Da quando è stata generata la pecora Dolly, trasferendo il nucleo di una cellula adulta in un ovulo svuotato di tutto il materiale genetico, la parola clonazione è entrata nel vocabolario comune. E subito si è alzato un poderoso fuoco di sbarramento contro questa pratica, consistente nel creare un individuo dotato del medesimo patrimonio genetico di un soggetto preesistente.

Nel nostro paese l'ipotesi che siano prodotti cloni umani è stata accolta con orrore. Il ministro della Sanità, Rosy Bindi, ha emanato una circolare per vietare ogni ricerca in materia di clonazione, anche animale. E la Camera, nel testo di legge sulla procreazione assistita ora all'esame del Senato, ha fissato una pena da dieci a vent'anni di carcere per "chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano da un'unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto".

In prima fila nell'opporsi a questa pratica si sono schierati cattolici ed ecologisti, adducendo soprattutto ragioni di ordine etico. E proprio a esponenti di queste due aree "Caffè Europa" si è rivolto per approfondire i termini del loro rifiuto.

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"Mi sembra necessario chiarire preliminarmente a che cosa ci si riferisce" sostiene Gianni Tamino, dirigente dei Verdi, docente di biologia all'Università di Padova e membro del Comitato nazionale sulla biosicurezza e le biotecnologie. "Sono dei cloni, cioè individui dotati di un identico corredo genetico, anche i gemelli mono-ovulari che nascono a volte da gravidanze naturali. E alcune tecniche usate per aiutare le coppie poco fertili a procreare favoriscono il verificarsi di questo fenomeno. Ma tutto ciò, dal mio punto di vista, non crea alcun problema, anche se si tratta di vera e propria clonazione umana".

"La questione diventa invece a dir poco controversa" prosegue Tamino "quando si vuole generare, a partire da una singola cellula di un individuo, un altro essere umano, che diventa così contemporaneamente 'figlio' e 'gemello' della prima persona. Si tratta di un fenomeno che non esiste assolutamente in natura per gli animali superiori, mentre lo conservano alcune specie di animali inferiori e di vegetali. E ciò fa pensare che la perdita di questo processo sia stata un passaggio necessario, nel corso dell'evoluzione biologica, per evitare problemi".

"Ad esempio" ricorda l'esponente ecologista "nel caso della pecora Dolly si è constatato che, usando a fini procreativi il nucleo cellulare di un soggetto adulto, si produce un individuo neonato, ma dotato di un patrimonio biologico già invecchiato. E questo è solo il primo dei tanti inconvenienti che potrebbero sorgere e non possiamo prevedere".

Riserve altrettanto gravi vengono avanzate dal professor Francesco Compagnoni, ordinario di Teologia morale presso la Pontificia Università San Tommaso di Roma. "Secondo la tradizione morale dell'Occidente" osserva "la persona umana è un 'assoluto'. Cioè è il soggetto e il termine di tutti i diritti/doveri sia morali che giuridici.  La possibilità - per ora teorica - di produrre persone, spiazza ogni etica che faccia parte di tale tradizione. Pertanto possiamo solo avanzare, più che argomenti pro o contro, congetture, schizzi di pensieri".

"La pratica della clonazione" sottolinea Compagnoni "implica nello stadio attuale della ricerca la possibilità - moralmente inaccettabile - di fare molti errori e di produrre esseri umani a scopo sperimentale. Ma anche se si arrivasse, e non è certo, ad una vera clonazione umana, ci troveremmo di fronte a domande sconcertanti come: a quale scopo essa viene fatta? Il bimbo che nasce a chi verrà affidato per il suo necessario sviluppo psico-fisico? Siamo certi di non produrre un essere in qualche modo 'anormale', date le nostre limitate conoscenze attuali della genetica umana?"

Sul nodo degli scopi della clonazione insiste anche Tamino: "Dal punto di vista etico, la possibilità di creare gemelli sfasati nel tempo può dare adito a diverse aberrazioni. Qualcuno potrebbe illudersi di conquistare una sorta di immortalità producendo una perfetta copia di se stesso, alla quale lasciare i propri beni in eredità. Ma sarebbe assurdo: la costituzione finale di ogni individuo deriva da un'interazione continua tra geni e ambiente, quindi non è affatto detto che il clone avrebbe le medesime caratteristiche dell'originale. Anche i gemelli cresciuti nella stessa famiglia sono spesso assai diversi tra loro. E lo stacco temporale tra la nascita del primo soggetto e quella del clone accentuerebbe la divaricazione".

Compagnoni richiama a sua volta l'aspetto sociale del problema: "Il nascere da un uomo e da una donna rende il bimbo figlio della comunità umana. L'ipotetico figlio clonato da me è un replicante mio e può facilmente essere prodotto per autoaffermazione egoistica. Non essendoci per ora una necessità impellente per il genere umano di assicurarsi la sopravvivenza in tale nuova maniera, ritengo moralmente obbligante astenerci dal clonare persone umane, in quanto il risultato sarebbe ancora troppo problematico".

C'è poi l'ipotesi estrema di clonare individui con particolari qualità per riprodurle all'infinito, una prospettiva giudicata "abominevole" da Tamino: "Siamo alla follia. Così si apre uno scenario simile a quello ipotizzato dallo scrittore Aldous Huxley nel romanzo 'Il mondo nuovo', in cui s'immagina che anche la riproduzione umana, in una logica fordista, assuma i tratti della produzione in serie, per cui ci sono gli individui Alfa, Beta, Gamma e così via, selezionati geneticamente a seconda del gradino che sono destinati a occupare nella piramide sociale".

"Anche senza arrivare all'utopia negativa paventata da Huxley" aggiunge "si rischia di accreditare la convinzione che sia utile avere individui tutti identici, mentre dal punto di vista biologico è vero il contrario. Proprio la diversità genetica permette alle specie di adattarsi alle epidemie, ai mutamenti di clima o ad altri eventi traumatici. Se tutti fossimo uguali, un nuovo virus potrebbe facilmente sterminarci fino all'ultimo. Ma se invece siamo diversi, almeno una parte della popolazione riuscirebbe a sopravvivere".

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"Un altro punto a favore della biodiversità" insiste Tamino "è che non esistono geni dannosi e geni utili in senso assoluto. Anche quelli apparentemente deleteri possono avere aspetti benefici in determinate situazioni. Per esempio l'anemia mediterranea è molto diffusa come malattia ereditaria in alcune zone d'Italia, un tempo malariche, perché il suo gene, se lo si riceve da un solo genitore, fornisce una resistenza alle conseguenze più nefaste della malaria".

Ma tutte queste obiezioni sono sufficienti a giustificare la messa al bando degli esperimenti in materia di clonazione? Compagnoni ritiene di sì: "Sono contrario alla sperimentazione in questo campo. Ritengo però che sia molto difficile fare rispettare per via legislativa tale divieto morale e non mi faccio illusioni sulla applicabilità di una tale legislazione, perché troppi interessi (umani e troppo umani) sono in gioco".

"Certamente" prosegue "la ricerca ne trarrebbe grandi benefici; ma non tutto ciò che utile è anche permesso. Pensiamo alla rinuncia italiana alle centrali atomiche, dalle quali la Francia trae gran parte della copertura del proprio fabbisogno energetico. Eppure noi abbiamo ritenuto la scelta negativa moralmente sensata. Ugualmente, non si somministrano a persone malate - se non con grandi cautele e raramente - molte terapie sperimentali che potrebbero essere utili ma danneggerebbero i malati".

Compagnoni pone anche una questione di priorità: "In un mondo dove non si è ancora risolto il problema Aids, e quello di altre malattie comuni nel terzo e nel primo mondo, come la malaria e molte forme di neoplasie, penso che le risorse economiche, tecnologiche ed umane della ricerca biomedica  abbiano ben altri campi sui quali essere impegnate. In linea generale la biomedicina d'élite non ha una ricaduta proporzionale adeguata a livello sociale e internazionale. Penso quindi che nell'immediato futuro sarebbe necessario interessarsi più dell'aspetto sociale  piuttosto che di altri, dei quali ben pochi beneficerebbero anche nei paesi più ricchi e sviluppati".

Più possibilista è invece il suo atteggiamento circa la possibilità di ottenere attraverso la clonazione organi da trapiantare. "La clonazione di tessuti e organi" afferma Compagnoni "non pone problemi morali, a meno che non vengano prodotte 'persone' come riserve d'organi. In tale caso cadremmo nell'uso illegittimo di persone umane e quindi cozzeremmo sia contro l'imperativo kantiano che contro quello cristiano".

Quest'ultima ipotesi suscita l'indignazione di Tamino: "Considero inaccettabile creare 'gemelli di riserva', da congelare allo stato embrionale, per poi svilupparli, in caso di bisogno, allo scopo di ottenere organi da trapiantare sull'individuo originale. Mi sembra un'idea raccapricciante, perché un clone è comunque un essere umano, sia pure in una fase di sviluppo iniziale. Si potrebbe obiettare che anche l'aborto comporta l'eliminazione di un feto, ma in quel caso ci troviamo in una condizione estrema di rifiuto di un evento indesiderato, mentre è ben diverso produrre deliberatamente un embrione il cui destino è comunque quello di essere distrutto".

"Il discorso naturalmente cambia" conclude l'esponente dei Verdi "se si parla dello sviluppo di tessuti da cellule particolari, che si trovano ad esempio dal cordone ombelicale. Anche in questo caso l'obiettivo è arrivare a disporre di pezzi di ricambio, ma ricavati dall'individuo interessato e non da un altro embrione creato appositamente".

 

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