Da quando è
stata generata la pecora Dolly, trasferendo il nucleo di una cellula adulta in un ovulo
svuotato di tutto il materiale genetico, la parola clonazione è entrata nel vocabolario
comune. E subito si è alzato un poderoso fuoco di sbarramento contro questa pratica,
consistente nel creare un individuo dotato del medesimo patrimonio genetico di un soggetto
preesistente.
Nel nostro paese l'ipotesi che siano prodotti cloni umani è stata
accolta con orrore. Il ministro della Sanità, Rosy Bindi, ha emanato una circolare per
vietare ogni ricerca in materia di clonazione, anche animale. E la Camera, nel testo di
legge sulla procreazione assistita ora all'esame del Senato, ha fissato una pena da dieci
a vent'anni di carcere per "chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere
umano da un'unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio
genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto".
In prima fila nell'opporsi a questa pratica si sono schierati cattolici
ed ecologisti, adducendo soprattutto ragioni di ordine etico. E proprio a esponenti di
queste due aree "Caffè Europa" si è rivolto per approfondire i termini del
loro rifiuto.

"Mi sembra necessario chiarire preliminarmente a che cosa ci si
riferisce" sostiene Gianni Tamino, dirigente dei Verdi, docente di biologia
all'Università di Padova e membro del Comitato nazionale sulla biosicurezza e le
biotecnologie. "Sono dei cloni, cioè individui dotati di un identico corredo
genetico, anche i gemelli mono-ovulari che nascono a volte da gravidanze naturali. E
alcune tecniche usate per aiutare le coppie poco fertili a procreare favoriscono il
verificarsi di questo fenomeno. Ma tutto ciò, dal mio punto di vista, non crea alcun
problema, anche se si tratta di vera e propria clonazione umana".
"La questione diventa invece a dir poco controversa" prosegue
Tamino "quando si vuole generare, a partire da una singola cellula di un individuo,
un altro essere umano, che diventa così contemporaneamente 'figlio' e 'gemello' della
prima persona. Si tratta di un fenomeno che non esiste assolutamente in natura per gli
animali superiori, mentre lo conservano alcune specie di animali inferiori e di vegetali.
E ciò fa pensare che la perdita di questo processo sia stata un passaggio necessario, nel
corso dell'evoluzione biologica, per evitare problemi".
"Ad esempio" ricorda l'esponente ecologista "nel caso
della pecora Dolly si è constatato che, usando a fini procreativi il nucleo cellulare di
un soggetto adulto, si produce un individuo neonato, ma dotato di un patrimonio biologico
già invecchiato. E questo è solo il primo dei tanti inconvenienti che potrebbero sorgere
e non possiamo prevedere".
Riserve altrettanto gravi vengono avanzate dal professor Francesco
Compagnoni, ordinario di Teologia morale presso la Pontificia Università San Tommaso di
Roma. "Secondo la tradizione morale dell'Occidente" osserva "la persona
umana è un 'assoluto'. Cioè è il soggetto e il termine di tutti i diritti/doveri sia
morali che giuridici. La possibilità - per ora teorica - di produrre persone,
spiazza ogni etica che faccia parte di tale tradizione. Pertanto possiamo solo avanzare,
più che argomenti pro o contro, congetture, schizzi di pensieri".
"La pratica della clonazione" sottolinea Compagnoni
"implica nello stadio attuale della ricerca la possibilità - moralmente
inaccettabile - di fare molti errori e di produrre esseri umani a scopo sperimentale. Ma
anche se si arrivasse, e non è certo, ad una vera clonazione umana, ci troveremmo di
fronte a domande sconcertanti come: a quale scopo essa viene fatta? Il bimbo che
nasce a chi verrà affidato per il suo necessario sviluppo psico-fisico? Siamo certi di
non produrre un essere in qualche modo 'anormale', date le nostre limitate conoscenze
attuali della genetica umana?"
Sul nodo degli scopi della clonazione insiste anche Tamino: "Dal
punto di vista etico, la possibilità di creare gemelli sfasati nel tempo può dare adito
a diverse aberrazioni. Qualcuno potrebbe illudersi di conquistare una sorta di
immortalità producendo una perfetta copia di se stesso, alla quale lasciare i propri beni
in eredità. Ma sarebbe assurdo: la costituzione finale di ogni individuo deriva da
un'interazione continua tra geni e ambiente, quindi non è affatto detto che il clone
avrebbe le medesime caratteristiche dell'originale. Anche i gemelli cresciuti nella stessa
famiglia sono spesso assai diversi tra loro. E lo stacco temporale tra la nascita del
primo soggetto e quella del clone accentuerebbe la divaricazione".
Compagnoni richiama a sua volta l'aspetto sociale del problema:
"Il nascere da un uomo e da una donna rende il bimbo figlio della comunità umana.
L'ipotetico figlio clonato da me è un replicante mio e può facilmente essere prodotto
per autoaffermazione egoistica. Non essendoci per ora una necessità impellente per il
genere umano di assicurarsi la sopravvivenza in tale nuova maniera, ritengo moralmente
obbligante astenerci dal clonare persone umane, in quanto il risultato sarebbe ancora
troppo problematico".
C'è poi l'ipotesi estrema di clonare individui con particolari
qualità per riprodurle all'infinito, una prospettiva giudicata "abominevole" da
Tamino: "Siamo alla follia. Così si apre uno scenario simile a quello ipotizzato
dallo scrittore Aldous Huxley nel romanzo 'Il mondo nuovo', in cui s'immagina che anche la
riproduzione umana, in una logica fordista, assuma i tratti della produzione in serie, per
cui ci sono gli individui Alfa, Beta, Gamma e così via, selezionati geneticamente a
seconda del gradino che sono destinati a occupare nella piramide sociale".
"Anche senza arrivare all'utopia negativa paventata da
Huxley" aggiunge "si rischia di accreditare la convinzione che sia utile avere
individui tutti identici, mentre dal punto di vista biologico è vero il contrario.
Proprio la diversità genetica permette alle specie di adattarsi alle epidemie, ai
mutamenti di clima o ad altri eventi traumatici. Se tutti fossimo uguali, un nuovo virus
potrebbe facilmente sterminarci fino all'ultimo. Ma se invece siamo diversi, almeno una
parte della popolazione riuscirebbe a sopravvivere".

"Un altro punto a favore della biodiversità" insiste Tamino
"è che non esistono geni dannosi e geni utili in senso assoluto. Anche quelli
apparentemente deleteri possono avere aspetti benefici in determinate situazioni. Per
esempio l'anemia mediterranea è molto diffusa come malattia ereditaria in alcune zone
d'Italia, un tempo malariche, perché il suo gene, se lo si riceve da un solo genitore,
fornisce una resistenza alle conseguenze più nefaste della malaria".
Ma tutte queste obiezioni sono sufficienti a giustificare la messa al
bando degli esperimenti in materia di clonazione? Compagnoni ritiene di sì: "Sono
contrario alla sperimentazione in questo campo. Ritengo però che sia molto difficile fare
rispettare per via legislativa tale divieto morale e non mi faccio illusioni sulla
applicabilità di una tale legislazione, perché troppi interessi (umani e troppo umani)
sono in gioco".
"Certamente" prosegue "la ricerca ne trarrebbe grandi
benefici; ma non tutto ciò che utile è anche permesso. Pensiamo alla rinuncia italiana
alle centrali atomiche, dalle quali la Francia trae gran parte della copertura del proprio
fabbisogno energetico. Eppure noi abbiamo ritenuto la scelta negativa moralmente sensata.
Ugualmente, non si somministrano a persone malate - se non con grandi cautele e raramente
- molte terapie sperimentali che potrebbero essere utili ma danneggerebbero i
malati".
Compagnoni pone anche una questione di priorità: "In un mondo
dove non si è ancora risolto il problema Aids, e quello di altre malattie comuni nel
terzo e nel primo mondo, come la malaria e molte forme di neoplasie, penso che le risorse
economiche, tecnologiche ed umane della ricerca biomedica abbiano ben altri campi
sui quali essere impegnate. In linea generale la biomedicina d'élite non ha una ricaduta
proporzionale adeguata a livello sociale e internazionale. Penso quindi che nell'immediato
futuro sarebbe necessario interessarsi più dell'aspetto sociale piuttosto che di
altri, dei quali ben pochi beneficerebbero anche nei paesi più ricchi e sviluppati".
Più possibilista è invece il suo atteggiamento circa la possibilità
di ottenere attraverso la clonazione organi da trapiantare. "La clonazione di tessuti
e organi" afferma Compagnoni "non pone problemi morali, a meno che non vengano
prodotte 'persone' come riserve d'organi. In tale caso cadremmo nell'uso illegittimo di
persone umane e quindi cozzeremmo sia contro l'imperativo kantiano che contro quello
cristiano".
Quest'ultima ipotesi suscita l'indignazione di Tamino: "Considero
inaccettabile creare 'gemelli di riserva', da congelare allo stato embrionale, per poi
svilupparli, in caso di bisogno, allo scopo di ottenere organi da trapiantare
sull'individuo originale. Mi sembra un'idea raccapricciante, perché un clone è comunque
un essere umano, sia pure in una fase di sviluppo iniziale. Si potrebbe obiettare che
anche l'aborto comporta l'eliminazione di un feto, ma in quel caso ci troviamo in una
condizione estrema di rifiuto di un evento indesiderato, mentre è ben diverso produrre
deliberatamente un embrione il cui destino è comunque quello di essere distrutto".
"Il discorso naturalmente cambia" conclude l'esponente dei Verdi "se si
parla dello sviluppo di tessuti da cellule particolari, che si trovano ad esempio dal
cordone ombelicale. Anche in questo caso l'obiettivo è arrivare a disporre di pezzi di
ricambio, ma ricavati dall'individuo interessato e non da un altro embrione creato
appositamente".