Film oxymoron,
fin dal titolo. Occhi aperti chiusi. Film doppio, fin dal racconto di Schnitzler. Film che
divide. Fascino o rifiuto, emozioni simultanee talvolta. Film che si può amare e
detestare nello stesso momento, per i suoi piani narrativi o figurativi divergenti o
conflittuali. Si può restare folgorati dallo splendore visivo di certe sequenze e
contemporaneamente infastiditi da un tipo di recitazione o di dialogo non in linea con il
resto.
Film dunque imperniato sull'ambivalenza, sulla coesistenza di emozioni
e impulsi contraddittori verso un "oggetto". Maschera e volto, individuo e
collettivo. Si ha l'impressione che Kubrick abbia cercato di controllare e rappresentare
l'ambivalenza, a cominciare da quella sua personale verso un oggetto film che non è
riuscito a definire per tanti anni. Come se le contraddizioni formali interne all'opera
fossero ricercate per rappresentare il tema di fondo: l'ambivalenza nei confronti del
sesso.

Giudicare il film di Kubrick secondo criteri di realismo estetico fa
pensare ai bravi borghesi spiazzati davanti al cubismo. No, le Demoiselles D'Avignon non
sono così fedeli al vero come certi dipinti di mucca e vitellino nella stalla! Kubrick
non mi sembra ricercare una rappresentazione fotografica del reale. La sua ricerca è
un'altra. Il realismo diventa per lui materiale da utilizzare per raccontare qualcosa di
irrappresentabile. Ambivalenza, appunto, e incapacità di risolvere altrimenti la pulsione
sessuale, il rapporto con la sessualità.
La sessualità è la reazione della materia vivente contro la morte.
Non solo la sessualità agìta, il rapporto fisico fra donna e uomo, ma anche la
sessualità mentale, la creatività artistica, la stessa organizzazione e strutturazione
della società. La sessualità impregna e condiziona la nostra vita in maniera perfino
più massiccia di quello che appare. Sessualità è la spinta verso l'individuazione
personale e nello stesso tempo il legame con il grande flusso collettivo della vita.
Questo doppio livello, spesso conflittuale, Kubrick lo percepisce con
grande chiarezza. Dal "mondo ordinario" dei due protagonisti emerge l'incidente
scatenante che mette in azione il plot: Alice confessa a suo marito un'intensa emozione
sessuale verso uno sconosciuto. Per lui, se me lo avesse chiesto - confessa Alice - avrei
lasciato te e nostra figlia. Non è l'espressione di una fantasia, ma qualcosa di più
profondo: la percezione di una grande onda nascosta, di una grande spinta collettiva che
può travolgere l'individuo e tutti i suoi valori consolidati.
Per Bill Harford quest rivelazione (c'è sempre una rivelazione che
conduce al cuore di tutte le storie) è un trauma che lo sposta in un "mondo
straordinario", in un mondo cioè di cui non conosce le regole, un territorio
sconosciuto e inquietante dove tutto può ferire e uccidere.

L'occhio di Kubrick, così apparentemente levigato, è in realtà la
lama che squarcia un velo. Bill comincia a vedere i mondo nei suoi connotati sessuali.
Viaggio interiore rappresentato come viaggio in una città notturna. Ogni incontro di Bill
mostra come la sessualità sia pervasiva e onnipresente: la figlia del paziente deceduto,
la giovane prostituta, i ragazzi che lo insultano ritenendolo omosessuale, il
"costumista" e la sua vera o presunta figlia, gli invitati dell'orgia, il
portiere gay dell'albergo del musicista.
Il trauma nato dalla confessione della moglie genera ambivalenza,
produce regressione nei diversi livelli della sessualità fino a incontrare
inevitabilmente la morte.
Il realismo è solo apparenza. Perfino certe scene irrisolte, come
quella con il miliardario amico e lo stesso finale con la moglie, segnalano che il vero
discorso si svolge altrove, dove alle domande semplicemente non si può rispondere.
Perchè la sessualità stessa è un mistero senza rsposta del quale riusciamo a cogliere
appena qualche riflesso.