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I veleni di un clima pesante

Pierluigi Battista

 


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Questo articolo è stato pubblicato su La Stampa (www.lastampa.it) del 23 settembre

Sono arrivati con catene e bastoni a sfasciare vetri, adorando il nuovo ma antichissimo feticcio del farsi "giustizia" da sé. A Torino si sono riuniti in branco per punire, senza le lungaggini della giustizia normale, l’albanese minorenne e ubriaco che aveva ingiuriato una ragazza e hanno colpito con bombe Molotov un centro di accoglienza per extra-comunitari.

Tra le parole e le cose, beninteso, non c’è coincidenza assoluta. Ma nell’enfasi politico-mediatica sulll’"emergenza criminalità", nei modi concitati e persino isterici con cui è oramai uso generalizzato descrivere una comunità inerme angariata senza respiro da bande di malfattori, in questa sindrome dell’assedio che sembra accomunare maggioranza e opposizione in un fronte unico della "sicurezza" purchessia c’è qualcosa che può attizzare incendi incontrollabili e inoculare un duplice veleno nelle fibre profonde di un Paese terrorizzato.

Il primo veleno è la smania del "fare qualcosa" per contrastare, in qualsiasi modo, l’"emergenza". Dall’invocazione dei leggendari braccialetti alla chimera del pm sceriffo, dalla faccia feroce della destra sulla "tolleranza zero" alla nuovissima idolatria del law and order esibita dalla sinistra, dalla richiesta di abbassare le garanzie della difesa nei processi a quella della compressione dei princìpi della legge Gozzini a favore dei detenuti fino agli inviti a sparare agli scafisti, tutto questo rischia di edificare sull’"emergenza criminalità" un circo dell’esternazione vana ed esibizionista che è il luogo più propizio per la diffusione di un secondo veleno. Il veleno dell’inconcludenza, la percezione che non ci sia altro da fare che "muoversi", farsi giustizia, sostituirsi agli organi di sicurezza, diventare sceriffi, giocare la carta del bricolage dell’ordine pubblico. I giustizieri della notte di Torino avevano anche questo veleno in corpo. E’ urgente una cura disintossicante.


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