Questo articolo è stato pubblicato su
La Stampa (www.lastampa.it) del 23 settembre
Sono arrivati con catene e bastoni a sfasciare vetri, adorando il nuovo ma antichissimo
feticcio del farsi "giustizia" da sé. A Torino si sono riuniti in branco per
punire, senza le lungaggini della giustizia normale, lalbanese minorenne e ubriaco
che aveva ingiuriato una ragazza e hanno colpito con bombe Molotov un centro di
accoglienza per extra-comunitari.
Tra le parole e le cose, beninteso, non cè coincidenza assoluta. Ma
nellenfasi politico-mediatica sulll"emergenza criminalità", nei
modi concitati e persino isterici con cui è oramai uso generalizzato descrivere una
comunità inerme angariata senza respiro da bande di malfattori, in questa sindrome
dellassedio che sembra accomunare maggioranza e opposizione in un fronte unico della
"sicurezza" purchessia cè qualcosa che può attizzare incendi
incontrollabili e inoculare un duplice veleno nelle fibre profonde di un Paese
terrorizzato.
Il primo veleno è la smania del "fare qualcosa" per contrastare, in
qualsiasi modo, l"emergenza". Dallinvocazione dei leggendari
braccialetti alla chimera del pm sceriffo, dalla faccia feroce della destra sulla
"tolleranza zero" alla nuovissima idolatria del law and order esibita dalla
sinistra, dalla richiesta di abbassare le garanzie della difesa nei processi a quella
della compressione dei princìpi della legge Gozzini a favore dei detenuti fino agli
inviti a sparare agli scafisti, tutto questo rischia di edificare
sull"emergenza criminalità" un circo dellesternazione vana ed
esibizionista che è il luogo più propizio per la diffusione di un secondo veleno. Il
veleno dellinconcludenza, la percezione che non ci sia altro da fare che
"muoversi", farsi giustizia, sostituirsi agli organi di sicurezza, diventare
sceriffi, giocare la carta del bricolage dellordine pubblico. I giustizieri della
notte di Torino avevano anche questo veleno in corpo. E urgente una cura
disintossicante.