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I molti rivoli che alimentano l'insicurezza

Marzio Barbagli con Antonio Carioti

 


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Confrontare i luoghi comuni con la realtà effettiva, esaminata attraverso un metodo scientifico, è un compito di ogni studioso. Il sociologo Marzio Barbagli, dell'Università di Bologna, lo ha fatto sul problema scottante del rapporto tra delinquenza, immigrazione e allarme sociale. Ne sono scaturiti vari lavori, tra cui un volume appena edito dal Mulino, intitolato "Egregio signor sindaco", che raccoglie lettere e petizioni inviate al primo cittadino di Bologna sul tema della sicurezza urbana dal 1990 al 1998.

 

Professor Barbagli, lei ha scritto mesi fa che in Italia negli ultimi anni i reati principali sono in diminuzione. Come mai allora la gente si preoccupa tanto per il dilagare della delinquenza?

Il calo dei delitti nel nostro paese è incontestabile, anche se il messaggio non riesce a passare sui mass media. Quanto alla percezione del crimine da parte dei cittadini, l'Istat ha raccolto dati sull'argomento solo a partire dal 1993. Io li ho pubblicati nell'introduzione del mio ultimo libro: ne risulta che in questi cinque anni la preoccupazione degli italiani per la loro sicurezza è rimasta pressoché invariata.

 

Non si direbbe, a giudicare da quello che scrivono i giornali. Sembra una vera e propria emergenza.

Non sempre la stampa è uno specchio fedele della società. In materia bisogna distinguere fra paura personale e preoccupazione sociale. Si può temere la delinquenza senza rendersi conto che si tratta di un problema sociale. Magari un anziano esita a uscire di casa perché teme di essere scippato, ma vive la cosa come un fatto puramente personale, non come una questione di rilievo politico. Invece l'allarme sociale è quello che si avverte quando la popolazione indica la diffusione del crimine come uno dei problemi nazionali più rilevanti. Per farla breve, la mia impressione è che la paura personale sia aumentata molto tempo fa, all'inizio degli anni '70, quando si è registrata una forte crescita dei reati. Solo vent'anni più tardi quel timore diffuso, rimasto sempre elevato, è divenuto preoccupazione sociale ed ha acquistato una valenza politica.

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Ma non è singolare che l'allarme permanga, e apparentemente aumenti, mentre alcuni reati tendono a calare?

Va considerato che l'insicurezza, una volta raggiunti certi livelli, decresce molto lentamente. L'esempio più significativo sono gli Stati Uniti, dove per un trentennio, nonostante le oscillazioni del tasso di criminalità, l'allarme sociale è rimasto stabile. Solo negli ultimi quattro anni ha cominciato a diminuire, per via del forte calo dei delitti che si è verificato.

 

E in Italia?

Anche in Italia, dal 1991 in poi, è sceso il numero dei reati commessi, ma non si è trattato di una diminuzione così forte da modificare l'orientamento dell'opinione pubblica. Va poi considerato che, come emerge dalle lettere raccolte nel libro, sul senso d'insicurezza dei cittadini non influiscono solo i crimini propriamente detti, ma anche le cosiddette "inciviltà", i segni del degrado urbano. Si tratta di fenomeni che non sempre comportano violazioni del codice penale, ma compromettono il decoro e la tranquillità degli spazi pubblici.

 

Facciamo qualche esempio.

I bolognesi si lamentano perché trovano siringhe in terra, incontrano barboni che dormono per strada, vengono importunati da questuanti e tossicodipendenti, notano le conseguenze di atti vandalici, s'imbattono in persone dedite alla prostituzione. Tutto ciò accentua l'insicurezza, perché spesso si tratta di fenomeni più visibili degli stessi reati. Se un appartamento viene svaligiato, solo una cerchia ristretta di conoscenti del derubato viene a saperlo. Ma se viene sfasciata una cabina telefonica, chiunque passa accanto se ne accorge.

 

Tra l'altro la linea della "tolleranza zero", adottata a New York dal sindaco Rudolph Giuliani, si basa proprio sulla severa punizione delle trasgressioni minori.

Sì, Giuliani si è ispirato a un famoso articolo uscito nel 1992 su "The Athlantic Monthly" e intitolato "Broken Windows" ("Finestre rotte"). I due autori, J. K. Wilson e G. Kellinge, sostenevano che quando in un quartiere vengono rotti a sassate i vetri di una finestra, senza che si proceda subito a sostituirli, ben presto tutte le altre finestre subiscono la stessa sorte, perché la gente ha l'impressione che a nessuno importi il mantenimento dell'ordine. Secondo questa teoria, gli atti di inciviltà non creano solo insicurezza nei cittadini, ma incentivano anche la crescita del crimine, perché un rione degradato viene percepito dai delinquenti come una sorta di zona franca. Ne consegue che usando il massimo rigore verso teppismo e vandalismo, si possono ridurre anche i delitti più gravi. In alcune città americane la ricetta sembra aver funzionato, ma certamente il regresso della criminalità negli Usa è dovuto anche ad altri fattori.

 

Nel suo libro "Immigrazione e criminalità in Italia", pubblicato dal Mulino l'anno scorso, lei notava che si rileva un aumento dei reati compiuti da stranieri. Si potrebbe però spiegare il fenomeno come conseguenza del fatto che gli extracomunitari sono presi di mira con più assiduità dalle forze dell'ordine.

E' un'ipotesi smentita dalle statistiche. Ovviamente gli stranieri soffrono di alcuni svantaggi, rispetto agli italiani, nei loro rapporti con il sistema penale. Ma nel decennio 1988-98, preso in considerazione dalla mia indagine, queste difficoltà non si sono accentuate, mentre sono cresciuti di parecchio i reati commessi da immigrati. Nel 1988 la loro propensione a delinquere era inferiore, in media, a quella degli italiani, ma la situazione è mutata radicalmente nel decennio successivo.

 

Per quali ragioni?

Il fenomeno si è verificato in tutti i paesi europei, naturalmente in grande anticipo rispetto all'Italia, che è divenuta assai più tardi un paese d'immigrazione. In Germania, in Francia, in Svezia, gli immigrati commettono molti più reati degli autoctoni, mentre fino al 1975 avveniva esattamente l'opposto. E la ragione mi sembra collegata al passaggio, di cui parlano gli economisti, da un'immigrazione da domanda a un'immigrazione da offerta.

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Che caratteristiche ha questa trasformazione?

Un tempo i paesi del Nord Europa cercavano di propria iniziativa la manodopera straniera per le loro industrie. Quindi gli immigrati venivano reclutati e selezionati con attenzione. Ora invece l'offerta di braccia risulta di gran lunga sovrabbondante rispetto alla richiesta del mercato e le difficoltà d'integrazione aumentano. Gli immigrati irregolari ci sono sempre stati, ma un tempo erano sostanzialmente tollerati, perché il sistema produttivo ne aveva bisogno. Oggi la condizione di clandestino è molto più difficile, anche dove non è considerata un reato vero e proprio. Di conseguenza è cresciuta la marginalità degli irregolari, che li porta spesso a violare la legge.

 

Nel suo libro lei insiste anche sui mutamenti culturali che sono intervenuti nella mentalità degli extracomunitari.

Sono cambiate le aspirazioni e le aspettative degli immigrati. Oggi chi arriva nei paesi dell'Unione Europea conosce già le nostre società attraverso la televisione, che ne mostra l'aspetto più attraente e opulento: non ha quindi l'idea fissa di tornare in patria, ma semmai quella di entrare ad ogni costo nel circuito del benessere materiale. Poiché però la scalata al successo economico si rivela assai difficile, spesso queste persone si convincono che il modo più rapido e facile per far soldi è dedicarsi ad attività illegali. Senza contare poi che esiste una piccola quota d'immigrati il cui intento è sin dall'inizio quello di arricchirsi con il traffico della droga o lo sfruttamento della prostituzione.

 

Si può fare qualcosa per combattere fenomeni del genere?

Regolare i flussi migratori è un'impresa molto complicata. Tra l'altro fino all'anno scorso sono rimaste in vigore le norme inadeguate della legge Martelli, che nasceva da buone intenzioni, ma rendeva pressoché impossibile l'espulsione degli elementi indesiderabili. Ora quelle regole sono state modificate e qualche passo avanti è stato fatto: ad esempio i recenti accordi con la Tunisia e il Marocco, che fanno seguito a quello stipulato con l'Albania, dovrebbero facilitare la lotta all'immigrazione clandestina.

 

Le pare che la sinistra sia in ritardo?

Direi di sì, anche se bisogna considerare che il problema è assai delicato. Indubbiamente le forze progressiste hanno il timore di alimentare l'ostilità degli italiani verso gli stranieri, per cui la loro autocritica su questi temi è più che altro implicita. D'altronde anche la destra, se eccettuiamo gli oltranzisti della Lega, prova un certo imbarazzo, perché teme l'accusa di razzismo.

 

Però la xenofobia sembra in aumento.

Non credo che tra i cittadini ci sia un'avversione pregiudiziale verso gli stranieri, dovuta a ragioni etniche o religiose. E' indubbio tuttavia che sulla sensazione di insicurezza diffusa incide molto la presenza degli immigrati. In alcune zone del paese essi creano realmente problemi di ordine pubblico. In altre realtà sono comunque un elemento di disturbo: sporcano, si ubriacano, provocano alterchi o piccoli tafferugli. E abbiamo visto che queste forme di disordine hanno un peso notevole nel suscitare allarme tra i cittadini.


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