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Se 200.000 morti vi sembran pochi

Isabella Angius

 

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"Nel grande libro del mondo, Timor Est ha la rilevanza di una nota a pie' di pagina, la mera metà di un'isola che è diventata una nazione dalla vita breve, nata nella guerriglia fratricida e alla fine inghiottita dal suo gigantesco vicino, l'Indonesia". Così "Time" riassumeva la situazione del minuscolo stato che da oltre vent'anni vive in libertà vigilata sotto il giogo oppressivo e sanguinoso del governo di Giakarta e che in questi giorni è tornato tragicamente alla ribalta delle cronache internazionali.

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Una storia di dominazioni

I primi coloni erano i portoghesi (1520), seguiti a due anni di distanza dagli spagnoli. Poi fu la volta degli olandesi che occuparono la parte occidentale dell'isola nel 1613. Gli inglesi subentrarono dal 1812 al 1815. Seguì una lotta per la supremazia tra olandesi e portoghesi che si risolse a favore di questi ultimi assicurando loro un dominio lungo 450 anni.

Durante la seconda guerra mondiale l'isola fu occupata dalle forze giapponesi. La provincia di Timor Est, compresa l'enclave che circondava la città di Okussi, rimase sotto la dominazione portoghese sino al 28 novembre 1975 quando il partito di liberazione Fretilin dichiarò l'indipendenza del territorio. Nove giorni più tardi il paese appena nato fu invaso dall'esercito di Giakarta e nel 1976 venne annesso alla Repubblica di Indonesia come sua ventisettesima provincia (sebbene l'Onu non abbia mai riconosciuto la legalità di tale manovra).

Violazioni e Nobel per la pace

Per troppo tempo le sorti di questo paese martoriato erano state appannaggio esclusivo di specialisti di diplomazia che citavano l'"annessione" di Timor Est come caso emblematico di violazione dei diritti umani (vedi i numerosi rapporti di Amnesty International in questo senso) e come triste riprova dell'inefficacia dell'operato delle Nazioni Unite. Sino a quando la giuria del Nobel per la pace non ha deciso nel 1996 di assegnare l'ambitissimo premio a due personaggi chiave per la lotta per l'indipendenza timorese: Jose Ramos Horta, allora quarantaseienne ambasciatore all'estero delle ragioni del Fretilin, il partito indipendentista, e Carlos Filipe Ximenes Belo, di due anni più anziano, coraggioso vescovo cattolico sfuggito per ben due volte ad attentati da parte dei servizi militari indonesiani che volevano mettere a tacere le sue scomode verità.

Che cosa raccontava di tanto fastidioso? Parlava degli oltre 200 mila abitanti dell'isola uccisi dal 1975 ad oggi (ovvero un terzo della popolazione). Delle torture, degli abusi di ogni tipo che uomini e donne timoresi hanno subito. Dei desaparecidos che non hanno mai fatto ritorno a casa. Insomma, della storia cupa e colpevolmente ignorata di un paese che ha cambiato troppi padroni.

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Le stragi degli ultimi giorni

Le violenze di questi ultimi giorni sono iniziate dopo l'annuncio dei risultati del referendum del 30 agosto in cui la popolazione timorese aveva votato in massa per l'indipendenza dall'Indonesia. Il bilancio delle vittime è altissimo: agli inizi di questa settimana si parlava di 200 persone uccise. Le strade della capitale Dili sono in mano alle milizie indonesiane che stanno compiendo una sorta di pulizia etnica, massacrando indistintamente, nelle maniere più efferate, indipendentisti e civili.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha mandato a Giakarta una delegazione di cinque ambasciatori stigmatizzando il comportamento delle autorità indonesiane che, pur non prendendo attivamente parte all'eccidio, stanno facendo ben poco per evitarlo. Si è poi riunito per prendere in considerazione l'invio dei Caschi blu, evenienza che però, al momento, non sembra probabile. La Casa Bianca ha lanciato mercoledì un ultimatum al governo indonesiano: se non riuscirà a riportare l'ordine a Timor Est, verrà inviata in loco una forza militare internazionale in grado di portare a termine il lavoro. La Commissione europea, dal canto suo, ha annunciato la sospensione dei programmi umanitari.

Ma il tempo stringe. Lo ricorda con urgenza il vescovo portoghese di Bacau, Basilio do Nascimento, ferito mercoledì a coltellate da miliziani filo indonesiani: "L'Onu deve intervenire subito con una forza di pace, altrimenti ci uccideranno tutti".

 

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