Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della
sera(www.corriere.it) del 16 luglio
Teheran - Il tramonto si fa color piombo, da violaceo che era visto
dall'aeroporto, e un improvviso diluvio estivo infradicia la cittadella universitaria sul
viale Enghelab, cioè della Rivoluzione, immerso in una quietissima notte. E' giovedì
sera, vigilia del venerdì festivo islamico, e a chi arriva verso sera Teheran appare come
una qualsiasi città pronta alla vacanza: ingorghi, clacson che suonano, famigliole
stipate in automobile, coppie più povere strette su uno scooter (e col nero chador di lei
che sventola come una bandiera), negozi di alimentari aperti fino a tardi. Di temporali,
nelle afose estati iraniane, se ne vedono pochi. E così fa impressione veder cadere tutta
quell'acqua sull'università buia, accaldata e deserta. Sarebbe ovvio aspettarsi un clima
da assedio: posti di blocco, uomini armati, magari qualche blindato. Invece, almeno a
sera, non c'è nessuno. Non ci sono gli studenti, che si sono ritirati mantenendo la loro
promessa ("niente manifestazioni fino a sabato").

Non c'è la polizia regolare. Non c'è traccia dei Pasdaran della
rivoluzione, che un anno fa si infuriarono per quel milione di concittadini scesi per le
vie a festeggiare la vittoria in Francia della squadra dell'Iran contro gli Usa ai
Mondiali di calcio. Non si vedono nemmeno i temutissimi miliziani dell'Ansar-e Hezbollah:
corrono su moto giapponesi di grossa cilindrata armati di spranghe di legno o di ferro e
si muovono come i guerrieri medioevali nei tornei, con la differenza che agiscono in
coppia e colpiscono, quando è "necessario", chi è disarmato e se ne sta per
strada a piedi: per esempio gli studenti che protestano. I Pasdaran compaiono più in là,
nella zona del dormitorio universitario, altro teatro di incidenti. Ma di sera sono rari.
Altre tracce degli sconquassi dei giorni scorsi sono ben visibili. Per esempio quella
serie di striscioni gialli che la pioggia sta incollando sulla cancellata
dell'università. Le grate proteggono la cittadella e quindi anche la tribuna usata nella
preghiera del venerdì, da sempre trasmessa in diretta tv (impossibile capire, è troppo
buio, se sia stata danneggiata negli scontri): e proprio oggi, venerdì, si aspetta un
messaggio del regime nel discorso di mezzogiorno. Lo striscione più grande recita:
"Il nemico vuole fare in modo che gli studenti si rivoltino contro il nostro
sistema". Ce n'è un altro: "In una università islamica non ci sarà mai posto
per i traditori". Ovviamente non sono slogan degli studenti. Sono invece la prova che
la manifestazione filo-Khamenei di mercoledì ha lasciato un segno visibile e forse
permanente in quei viali conquistati dai ragazzi solo per un pugno di giorni.
"Il nemico", nel linguaggio della Guida Suprema Khamenei, sta
per Occidente, Stati Uniti, Israele: coloro che avrebbero fomentato la rivolta nel campus
universitario. Colpa del "nemico" se la futura classe dirigente e intellettuale
di uno dei Paesi anagraficamente più giovani del mondo (il 54% della popolazione ha meno
di 18 anni e il 65% meno di 25 anni) ha provato a rivoltarsi contro un sistema che ai loro
occhi ha forse poco di "rivoluzionario"? Secondo Khamenei sì. Ma chi ha
protestato non ha mai vissuto sotto lo Scià, perché è nato e cresciuto sotto lo
stendardo della Repubblica Islamica. Chi è sceso in piazza e occupato l'università ha
protestato contro "questo" Potere.
L'altro segno di scarsa normalità è la grande fontana di piazza della
Rivoluzione priva di luce. C'è solo buio tra l'acqua e il bassorilievo che ritrae un
Khomeini corrucciato ma benedicente, chissà che fine ha fatto il gioco di colori che di
solito lo rischiara. Ma per il resto tutto è tranquillo, anzi tranquillissimo. Forse
troppo, e con qualche conseguenza economica che non passerà inosservata: gran parte del
Bazar è rimasta chiusa per il terzo giorno consecutivo dopo le manifestazioni degli
studenti e il contro-corteo degli integralisti che mercoledì si sono simbolicamente
ripresi la piazza.
Qualcosa avviene anche nell'etere. Le normali comunicazioni telefoniche
continuano a essere difficili e il sistema dei telefoni cellulari è saltato. Su certi
giornali si legge che è tutta colpa "delle troppe telefonate fatte all'estero dai
rivoltosi e dirette ai loro suggeritori stranieri" (Teheran Times). Non per niente il
Teheran Times se la prende in un editoriale con la Gran Bretagna e l'Italia. Il nostro
governo sarebbe "colpevole" di aver sollecitato l'accelerazione delle riforme di
Khatami: "Ma chi dà il diritto a Gran Bretagna e Italia di ingerirsi negli affari
iraniani? Abbiamo un governo costituzionale sorretto dal voto dei cittadini, la Nazione è
responsabile dei propri affari...".

La preghiera del venerdì di oggi forse porterà qualche annuncio. A
Teheran dicono che gli studenti avrebbero voluto che a parlare fosse Khatami. Ma forse,
chissà, a prendere la parola e a commentare il Corano sarà Hashemi Rafsanjani, ex
presidente della Repubblica e ora presidente del Consiglio delle opportunità, l'organo
arbitro tra istituzioni governative e religiose, uomo di mediazione tra conservatori e
porgressisti. Ma sono solo illazioni, supposizioni, che lasciano col fiato sospeso gli
studenti e soprattutto quei cento e forse più arrestati che rischiano la pena di morte.
Aspettano anche le giovani donne che già protestarono in piazza con
gli uomini proprio all'università nell'aprile '98 contro l'arresto del progressista
Gholam-Hossein Karabaschi, allora sindaco di Teheran. Donne che sempre più coprono la
testa con i foulard colorati e buttano via il tradizionale chador nero. E che questa
estate (così raccontano le ragazze di Teheran) hanno adottato una nuova moda: sandali
aperti che mostrano il piede e, addirittura, le unghie smaltate di rosso e di rosa. Il
trucco sul viso e lo smalto per le mani era tollerato da tempo. Ma la faccenda dei piedi,
così giurano le interessate, è una novità assoluta. Chissà: un pezzo di rivoluzione
può cominciare anche da quelle unghie color carminio e così scandalosamente
"occidentali".
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