Paolo Flores dArcais,
direttore della rivista "MicroMega", ha accolto con indignazione la notizia che
alla cerimonia per il ventennale dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli ha partecipato il
presidente del Consiglio comunale milanese, Massimo De Carolis di Forza Italia. Un
personaggio che a suo tempo ha avuto rapporti con il bancarottiere siciliano Michele
Sindona, mandante del delitto Ambrosoli.
"Giudico un'ignominia" dichiara Flores d'Arcais "la
presenza di De Carolis, cosi' come l'assenza del sindaco di Milano, che ha preferito
incontrare il fondatore dell'ospedale San Raffaele, don Verze'. E' l'ennesima
dimostrazione che oggi nella vita civile lo spartiacque della legalita' conta, o dovrebbe
contare, infinitamente di piu' del discrimine tradizionale fra conservatori e
progressisti".
Vuole spiegarci meglio questo concetto?
L'avvocato Ambrosoli era un uomo di destra, con tratti ideologici quasi
reazionari, che aveva frequentato in gioventu' circoli monarchici. Ma interpretava l'idea
conservatrice con un senso dello Stato rigorosissimo, secondo il principio per cui la
legge e' uguale per tutti. Esattamente l'opposto della concezione tipica delle forze
politiche conservatrici di ieri e di oggi, nonche' di gran parte dell'opinione pubblica
che in esse si riconosce. E' il problema gia' messo in luce oltre 70 anni fa da un
liberale di sinistra, Piero Gobetti, quando denunciava l'incapacita' della borghesia
italiana di svolgere il suo ruolo di classe dirigente.
Dunque Ambrosoli e' stato un personaggio del tutto anomalo?
La figura di Ambrosoli rappresenta la borghesia quale dice di essere:
ancorata a valori come il mercato e soprattutto la legge, senza la quale anche le regole
della competizione economica vengono vanificate. Al contrario uomini come De Carolis e il
suo leader Silvio Berlusconi rappresentano la maggioranza della borghesia italiana reale,
che fugge la concorrenza per cercare posizioni di monopolio garantite dalla politica e
vuole una giustizia a due gironi: uno per il cittadino comune, costretto a rispettare le
leggi, e uno per i potenti, che possono violarle nella piu' totale impunita'. Cosi' il
furto di una mela e' considerato cosa gravissima, mentre il falso in bilancio per miliardi
di mele "non viene avvertito come crimine", come dice Berlusconi, da una certa
imprenditoria.
Quindi resta attuale il pessimismo con cui Giampaolo Pansa
commemorava Ambrosoli dieci anni fa?
Lo hanno scritto molto bene Giorgio Bocca su "Repubblica" e
Corrado Stajano sul "Corriere della Sera", parlare di amarezza e' poco. I fatti
dimostrano che la lezione di Ambrosoli non e' stata semplicemente dimenticata, ma viene
proprio rifiutata da coloro che dovrebbero rappresentare la sua parte politica. L'Italia
sarebbe un paese civile se la destra fosse costituita da gente come Ambrosoli, che invece
i conservatori di ieri e di oggi vedono come un nemico irriducibile. C'e' stato per la
verita' un momento, quando Mani pulite scoperchio' Tangentopoli, in cui una parte
consistente della cittadinanza conservatrice si e' riconosciuta nell'esigenza di legalita'
che le inchieste sulla corruzione esprimevano. Purtroppo quella speranza e' durata poco,
anche per responsabilita' della sinistra.
Quali errori ha compiuto lo schieramento progressista?
La colpa straordinaria del gruppo vicino a Massimo D'Alema e' stata
quella di voler rilegittimare come un padre della patria Berlusconi, un individuo
inquisito e condannato per reati molto gravi. Cosi' e' stata accantonata la questione
legalita', cioe' il fattore storico decisivo da cui dipende l'arretratezza dell'Italia. Si
e' quindi rinunciato all'obiettivo fondamentale di arrivare all'alternanza con una destra
anche radicale dal punto di vista politico, ma pienamente inserita in quel sistema di
legalita' che in molti altri paesi e' l'orizzonte comune di tutti i partiti.
A suo avviso si tratta di una prospettiva definitivamente
tramontata?
Allo stato attuale sembra venuta meno, ma io non credo che la partita
sia finita, anche se la si gioca in condizioni sempre piu' precarie. Tuttavia rimango
dell'idea che la transizione continuera' finche' non sara' sciolto il nodo dello scontro
tra i due veri schieramenti trasversali oggi in campo: il partito della legalita' e il
partito dell'impunita'.
Ma oggi chi rappresenta il partito della legalita'?
Nel mondo politico pochissimi. A destra praticamente nessuno, malgrado
la legittimazione democratica degli ex neofascisti debba inevitabilmente passare per
un'assunzione convinta del principio di legalita'. Oltretutto c'era in quell'area un uomo
simbolo cui far riferimento, Paolo Borsellino, che era molto vicino al Msi. Purtroppo ha
prevalso l'opportunismo che impedisce ad Alleanza nazionale di emanciparsi da Berlusconi.
E a sinistra?
Ci sono a macchia di leopardo gruppi consapevoli del problema, ma mi
sembrano in questa fase decisamente minoritari. I Democratici di Romano Prodi a mio parere
potrebbero rappresentare la speranza di riprendere i motivi fondamentali dell'Ulivo, tra
cui la lotta alla corruzione e quindi la prosecuzione in politica di Mani pulite. Ma anche
li' il riciclaggio di personale politico chiacchierato e', a livello locale, un fenomeno
diffuso, che il gruppo dirigente nazionale tende a trascurare, se non addirittura a
coprire, nonostante le denunce provenienti dalla base del movimento.
Insomma, gli eredi politici di Ambrosoli scarseggiano ovunque.
Purtroppo si'. Ma mentre a destra sono pressoche' inesistenti, a parte
forse qualche germe che sopravvive in clandestinita', a sinistra la sensibilita' verso la
questione morale non e' scomparsa. In fondo pochi giorni fa il Parlamento, con il voto del
solo centrosinistra, ha consentito l'utilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche
riguardanti Marcello Dell'Utri. In altri paesi sarebbe stata una decisione ovvia, visto
che si tratta di fare chiarezza su collusioni con il crimine organizzato, e la destra
sarebbe stata la prima a sostenerla. Vorrei ricordare che in America i repubblicani hanno
preteso la piu' assoluta trasparenza su fatti riguardanti non reati penali, ma la vita
privata, e non di un semplice deputato, ma del presidente in persona.