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Fenomenologia dell'eroe borghese

Antonio Carioti

 

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Raramente una definizione e’ apparsa efficace e calzante quanto quella di "eroe borghese", coniata da Corrado Stajano per l'avvocato Giorgio Ambrosoli. Tanto piu’ efficace in quanto per molti versi si tratta di una formula paradossale, se non proprio contraddittoria. Insomma, come si usa dire, un ossimoro.

Pensiamoci un attimo. Il borghese e’ per antonomasia colui che coltiva valori prosaici come l'ordine, la rispettabilita’, la meritocrazia, la famiglia. In fondo la sua aspirazione maggiore e’ condurre una vita tranquilla e laboriosa, far studiare i figli e lasciar loro in eredita’ un cospicuo patrimonio. Il borghese accetta il mondo cosi’ com'e’, non sogna di cambiarlo, tiene sempre i piedi ben piantati per terra. Si puo’ immaginare un personaggio meno eroico?

Tutto questo varrebbe, pero’, se non vivessimo in Italia. Se sulle nostre spalle non gravassero eredita’ negative quali la lunga dominazione straniera, la mancanza di una riforma religiosa, l'incompiutezza del Risorgimento come rivoluzione liberale. Se il rispetto delle regole fosse davvero un principio condiviso. Se disponessimo di un'autentica classe dirigente dotata di senso dello Stato. Purtroppo non e’ cosi’. Quanto meno non ancora. E il passato recente sta li’ a gridarcelo.

E' trascorso appena un quarto di secolo da quando Ambrosoli venne nominato liquidatore della Banca privata italiana, condotta al disastro da Michele Sindona. Apparentemente solo un incarico professionale prestigioso e impegnativo, un tipico cimento da borghese. In realta’ un percorso di guerra, che sarebbe durato cinque anni, tra inganni, lusinghe, minacce, per concludersi in una notte di luglio del 1979, sotto i colpi di una pistola 357 Magnum.

Ambrosoli non aveva fatto nulla di rivoluzionario. Al contrario, aveva dato la priorita’ alla tutela di due figure conservatrici per eccellenza: il contribuente che paga le tasse e il risparmiatore che deposita il suo denaro in banca. Ma nel paese della finanza allegra e truffaldina questo significava sfidare non solo interessi consolidati, ma anche potenti settori delle istituzioni. Comportarsi da eroe, insomma, e subirne le conseguenze.

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Non e’ un caso limite, purtroppo. E non c'e’ bisogno, per trovare uomini da accomunare ad Ambrosoli, di ricordare coloro che hanno dato la vita per un ideale politico, ne’ i magistrati o gli agenti dell'ordine che si sono immolati al servizio dello Stato. Gli eroi borghesi sono una categoria diversa. Sono coloro per i quali la rigorosa osservanza delle piu’ semplici norme di comportamento da persona per bene ha comportato la necessita’ di affrontare il martirio. Facciamo qualche esempio.

L'imprenditore e’ il mestiere borghese per eccellenza. Infatti non ha nulla di eroico: consiste nel combinare al meglio i fattori produttivi per ricavarne il massimo profitto. E fino a qualche tempo fa un certo populismo italico bollava chi lo esercita con l'appellativo infamante di "padrone".

Libero Grassi, in effetti, non pretendeva altro che di essere il solo padrone della sua fabbrica tessile, di tenersene per intero gli utili invece di versarne una parte alla mafia di Palermo. Non era un guerriero, ma, come lui stesso dichiarava, "un mercante". "E un mercante" aggiungeva con orgoglio "non affida ad altri la sua merce".

Lo uccisero per questo, il 29 agosto 1991, dopo che aveva denunciato ai carabinieri, mesi prima, il ricatto di Cosa nostra. Era anche apparso in Tv e bisognava farlo tacere. Rischiava di diventare un simbolo, per i tanti altri operatori economici costretti a subire le estorsioni.

Giuseppe Taliercio non aveva fatto nulla per essere considerato un simbolo. Lo divenne suo malgrado. Direttore del Petrolchimico di Porto Marghera, agli occhi delle Brigate rosse era l'incarnazione del male, un "servo delle multinazionali imperialiste", un "lurido porco" da rinchiudere in una "prigione del popolo" e sottoporre al "giudizio del proletariato".

In realta’ si trattava di un dirigente pacato, ragionevole, messo proprio per questo dalla Montedison a capo di uno stabilimento particolarmente caldo, sia per la nocivita’ delle lavorazioni sia per le avvisaglie dello sfacelo verso cui si avviava la chimica italiana.

Taliercio non aveva alcuna vocazione al martirio. Temeva le minacce di cui era oggetto. Aveva anche chiesto il trasferimento e stava per essere accontentato. Ma una volta rapito diede una straordinaria prova di fermezza e dignita’. Per quarantasette interminabili giorni non collaboro’, non riconobbe ai suoi carcerieri il diritto di processarlo. Non chiese nemmeno pieta’ in nome dei suoi cinque figli

Lo restituirono crivellato di colpi, il 6 luglio 1981, chiuso nel bagagliaio di un'auto come Aldo Moro. L'autopsia rivelo’ che aveva subito maltrattamenti durante la prigionia. Pochi lo ricordano, tanto che di recente, nell'anniversario dell'agguato di via Fani, si e’ detto che Moro fu l'unico sequestrato a non uscire vivo dalle mani dei brigatisti.

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Enzo Tortora, al contrario, se lo ricordano tutti. Chi piu’ borghese di lui? La sua trasmissione "Portobello" era una formidabile vetrina del ceto medio italiano, con i suoi sogni nel cassetto, i suoi buoni sentimenti, i suoi tic a volte grotteschi.

Fini’ nel tritacarne giudiziario e mediatico il 18 giugno 1983, nell’ambito di quella che fu presentata come la Waterloo della camorra. Esposto platealmente in manette davanti ai fotografi, per sette mesi rimase in carcere, protestandosi disperatamente innocente, mentre su di lui piovevano le accuse di criminali e calunniatori della peggiore specie, spesso enfatizzate dalla stampa con colpevole superficialita’. Tradito da una giustizia propensa a farsi spettacolo, seppe riscoprire per reazione il valore del diritto formale, dell’obbedienza quasi socratica alle leggi.

Recuperata la liberta’ grazie all’elezione al Parlamento europeo nelle liste radicali, si comporto’ all’opposto di come aveva fatto il suo predecessore Toni Negri, eletto a Montecitorio l’anno prima. Mentre il sedicente rivoluzionario aveva pensato prima di tutto a mettersi in salvo, il borghese Tortora reclamo’ la concessione dell’autorizzazione a procedere. E dopo la condanna di primo grado si consegno’ spontaneamente alla polizia. Poi sarebbero arrivate le assoluzioni a catena.

Nel frattempo qualcosa si era spezzato dentro di lui. Mori’ di tumore, il 18 maggio 1988, da cittadino libero, che si era riconquistata pezzo per pezzo la sua rispettabilita’ trascinata nel fango.

L’elenco qui abbozzato, parziale e personalissimo, potrebbe continuare a lungo. E non c’e’ da rallegrarsene. Si puo’ condividere o meno la nota opinione di Bertolt Brecht, che commiserava le terre bisognose di eroi, ma il fatto che in Italia diventino eroiche anche le piu’ elementari virtu’ borghesi certo non depone a favore della fibra morale di questo paese.

 

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