Un Piano Marshall per i Balcani Michael Emerson
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Una volta finita la guerra servira' un Piano Marshall per il Balcani
per assicurare la pace e la stabilita' in Europa. L'Unione Europea dovrebbe cominciare a
prepararsi subito.
Piu' va avanti la guerra della Nato nei confronti di Milosevic e piu'
diventa urgente per l'Unione Europea dare corpo alla promessa di formulare un patto per la
stabilita' dei Balcani.
Bisogna essere realistici, e compiere il passo con cui potremmo
ottenere il nostro vero obiettivo politico, che e' quello di includere l'Albania, la
Macedonia, la Croazia, la Bosnia e la Yugoslavia nell'ordine europeo prima che esse lo
rompano.
Ai Balcani serve un piano d'azione paragonabile al Piano Marshall. Per
renderlo possibile, all'Unione Europea servono nuove politiche.
Tradizionalmente, i nuovi Stati membri hanno dovuto portare i loro
sistemi economici e politici praticamente i piena sintonia con quelli dei paesi
dell'Unione prima di poter accedere al club. Queste regole feree per l'adesione hanno
funzionato bene in passato. Ma se non vengono allentate, gli Stati dei Balcani non
potranno accedere all'Unione in tempi ragionevoli.

Serve un nuovo approccio che garantisca un sostegno ai fragili sistemi
di governo di questi paesi sin dall'inizio, altrimenti non ci sara' nessun inizio.
Il Centre for European Policy Studies (CEPS) propone il seguente piano
in 10 punti per il dopoguerra nell'Europa sud-orientale:
1. L'offerta di associazione all'UE per l'Albania, la
Bosnia-Erzegovina, la Croazia, la FYR Macedonia e la Yugoslavia, con l'inizio dei
negoziati nel gennaio del 2000 per quei paesi che ottemperano a fondamentali condizioni
politiche.
In aggiunta, l'avvio dei negoziati per la piena adesione di Bulgaria e
Romania, oltre a Lettonia, Lituania, Slovacchia e Malta, anch'essi nel gennaio del 2000.
2. Assistenza di tipo emergenziale. Compensi ai cittadini privati e
alle autorita' locali che ospitano profughi permettendo a loro di lasciare le tendopoli;
la costruzione immediata da parte della Nato di tre ponti a chiatta sul Danubio tra la
Bulgaria e la Romania. Programmi speciali di ricostruzione per il Kosovo una volta finita
la guerra.
3. L'eliminazione delle tariffe doganali, sostituendo il regime attuale
con un'unione doganale dell'UE allargata ai nuovi paesi accompagnata da garanzie di
compensi per la perdita di entrate doganali.
4. Si puo' creare un'area dell'euro piu' ampia accompagnandola con un
"menu" di regimi di cooperazione monetaria a partire da un sistema a tasso di
cambio fisso ("currency board") per arrivare alla piena inclusione nell'area
dell'euro a partire dal 2003. Le Banche centrali verrebbero ricompensate per la perdita
dei diritti di coniazione della moneta.
5. La creazione di un'agenzia per la ricostruzione dell'Europa
sud-orientale quale sussidiaria della Banca Europea per gli Investimenti, che possa
assumere quote azionarie nei progetti infrastrutturali.
6. La creazione di una fondazione per la democrazia nell'Europa
sud-orientale e di una simile fondazione per l'istruzione.
7. Il rafforzamento della sicurezza dei civili, per esempio attraverso
il controllo delle dogane da parte dell'Unione laddove fosse necessario.
8. In prospettiva, la sicurezza militare dovrebbe essere garantita da
una forza di pace a guida dell'UE laddove fosse necessario.
9. La graduale integrazione istituzionale nell'Unione Europea.
10. Il rinnovamento gestionale della Commissione e del Consiglio
dell'Unione per velocizzare le loro funzioni esecutive.

Per quanto riguarda l'Albania e la Macedonia, l'UE potrebbe avviare sin
d'ora i negoziati per la loro nuova associazione. La Croazia potrebbe poi seguire in tempi
rapidi se le elezioni previste per il prossimo dicembre portassero a un governo che prenda
sul serio le norme politiche europee.
Per quanto riguarda la Bosnia, c'e' bisogno di una "strategia
d'uscita" dal presente regime di protettorato che poi sarebbe anche una
"strategia d'entrata" nell'UE. Anche per la Yugoslavia e' ipotizzabile una
"strategia d'entrata" nell'UE appena vi sia un governo democratico al potere.
Chiaramente, l'Unione non puo' offrire una piena adesione a paesi che
non sono ancora delle democrazie stabili. Non deve in nessun modo diluire quelli che sono
i propri valori fondamentali. Tuttavia, nessuna delle parti puo' permettersi di prolungare
l'attuale situazione di stallo, che vede l'Unione consapevole del fatto che debba aprire
la proprie porte ai Balcani non potendo pero' farlo con le attuali regole.
Vi sono modalita' innovative con cui l'Unione potrebbe progressivamente
inserire gli Stati Balcani nelle istituzioni dell'Unione dapprima in organi consultivi e a
seguito nel vero e proprio processo legislativo. Un'appartenenza "virtuale"
all'Unione e' sia possibile che auspicabile, e aprirebbe la prospettiva di una piena
adesione di quei paesi all'UE possibilmente entro un'arco di tempo generazionale.
Per avviare bene questa operazione, l'UE dovrebbe ricompensare
attraverso dei stanziamenti ad hoc quelle famiglie di albanesi che nell'interesse
del bene comune hanno trasformato le loro case in alberghi per i rifugiati. Anche la
Macedonia, la Bulgaria, la Romania e il Montenegro dovrebbero poter usufruire di questi
stanziamenti, visto che stanno attualmente ospitando rifugiati e potrebbero fornire
alloggi in alternativa alle attuali tendopoli.

Con la costruzione di tre ponti a chiatta sulla frontiera tra Bulgaria
e Romania da parte di ingegneri della Nato si potrebbero alleviare le gravi perdite
causate dai bombardamenti sul Danubio. Gli imprenditori nella regione sollecitano
urgentemente che cio' sia fatto al piu' presto.
L'inclusione nell'unione doganale dell'UE e nell'area dell'euro sono
condizioni essenziali per l'avvio di riforme economiche di tipo strutturale.
Come puo' testimoniare un qualsiasi imprenditore presente nella
regione, gli ostacoli maggiori all'investimento e alla crescita nei Balcani sono la
corruzione - sia nelle finanze pubbliche che nel commercio tra paesi - e le deboli
condizioni dei mercati monetari e finanziari.
L'adozione di sistemi di cambio a tasso fisso come quelli gia'
utilizzati in Bosnia e in Bulgaria sarebbe un primo passo utile per ridare credibilita'
alla monete locali. Eventualmente questi regimi monetari potrebbero essere incorporati
nell'area dell'euro prima di una piena adesione di questi paesi all'Unione Europea.
L'autore e' Senior Research Fellow al Centre for European Policy
Studies di Bruxelles e alla London School of Economics. Il testo "Un sistema per
l'Europa sud-orientale" e' ottenibile come Documento di Lavoro 131 dal CEPS.
(traduzione di Marco Bianchini)
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