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Guerra/Diario di A. G., regista indipendente a Belgrado

 

Ludovica Valori

 

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Quella che segue e' la ricostruzione, disarticolata e frammentaria come possono esserlo i pensieri in tali condizioni, delle giornate di un intellettuale dissidente a Belgrado in questi giorni

 

A.G. e' un regista indipendente di Belgrado, ha trentaquattro anni. Comincia a scrivere il suo diario all'inizio dei bombardamenti NATO in Serbia. Lavora in uno studio che appartiene a Radio B92.

Gia' dal 24 marzo, con i colleghi, prepara l'inventario dei materiali. La sera cominciano i bombardamenti. Il Primo Ministro jugoslavo dichiara lo stato di guerra.

A. e' ossessionato dalla mancanza di informazioni che non siano quelle ufficiali. "Salto da un canale all'altro di radio e TV, come un folle, ma non trovo altro che propaganda, notizie quasi niente. Film di guerra, film di guerra e film di guerra. Quindi vado a dormire".

Racconta il suo vagare estraniato per la citta', con la sua telecamera. Passa attraverso il parco nel centro di Belgrado, lo trova pieno di militari. La notte si trova, con un suo amico, nel bel mezzo di un bombardamento: tornano a casa e accendono la TV, che parla di "molte vittime civili in altre citta', ma non a Belgrado. E di molti aerei NATO abbattuti. Ma qual'e' la verita'? Chissa'..."

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Mancano le sigarette per qualche giorno, cominciano i concerti rock nel cuore della citta'. I primi giorni di guerra sembrano a molti "come un weekend lungo, un'avventura interessante e neanche troppo paurosa... ma sono curioso di vedere cosa rimarra' di questo tra dieci giorni...". Le scuole e le facolta' sono chiuse.

Alla TV danno 'Wag The Dog', "una copia pirata di pessima qualita' ". Nei giorni seguenti si susseguiranno altri film americani come 'Hair', 'Born on the 4th of July', 'Balla con i Lupi', la trilogia di 'Guerre Stellari' ("Ma perche'?" si chiede A: "Forse la lotta tra Davide e Golia?"), perfino 'Soldato Blu' ("probabilmente ora i serbi si sentono come gli Indiani").

A. cerca di leggere la posta elettronica: cinquantasei messaggi, la maggior parte vengono dai suoi colleghi americani. La connessione e' lenta, faticosa.

Riesce a montare un documentario che ha girato pochi giorni prima, quando il suo amico M. ha accopagnato la moglie e il figlio di tre anni al loro villaggio, in campagna. Lo ha chiamato 'Nikola who doesn't watch the sky'. Va avanti fino alle 5 del mattino. Dorme per terra, nello studio.

 

Il 30 marzo, quando riesce finalmente ad ascoltare Radio Free Europe, le notizie dal Kosovo sono terribili. Ma a Belgrado arriva Primakov, per oggi niente sirene. Almeno fino al tardo pomeriggio.

Presi da un'ispirazione improvvisa, A. e i suoi amici girano un breve video in studio, seguendo le regole di Dogma 99 (la loro ironica risposta al manifesto 'Dogma 97' di Lars Von Trier): durata un minuto, ripresa unica, nessun movimento di macchina. Titolo: 'No Justification'.

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"Oggi la polizia e' andata a Radio B92 e ha preso i nomi di tutti quelli che ci lavorano..." L'indomani, A. e gli altri portano via dallo studio sei dei dieci computer con i quali lavorano.

Ancora notizie angosciose da Radio Free Europe. "Vedo la Serbia e il Kosovo come il reattore di Chernobyl, appena esploso, che comincia a irradiare orrore in tutta Europa. L'Europa. Lars Von Trier ha ragione - "l'Europa e' in crisi profonda. L'epicentro della crisi e della cattiva coscienza e' proprio qui" - e' cosi' che dopo l'esplosione di questa Chernobyl quest'area verra' sigillata, tutta intera, in un sarcofago di cemento, per essere dimenticata, perche' non possa piu' diffondere le sue radiazioni letali... questa guerra e' lontana da voi, comodamente seduti nelle vostre case, ma sono sicuro che sperimenterete assai presto le sue radiazioni.

Dalla Prima Guerra Mondiale venne fuori il Dadaismo, per reazione alla sua insensatezza. Dopo i campi di sterminio della Seconda Guerra Mondiale, niente e' stato piu' lo stesso di prima per la nostra civilta'. E questa guerra sara' anch'essa un punto di svolta. Il modo ideale di concludere il millennio.

Ma comunque vada a finire, diventera' incredibilmente difficile vivere in Serbia. Sara' una terra completamente isolata, deserta, priva di ogni cosa che non sia l'amarezza della sconfitta".

A. e il suo amico M. decidono di lasciare la Serbia. E' una decisione sofferta, che subisce diversi rivolgimenti. Andare dove? E le famiglie?

Si danno appuntamenti, fanno e disfano pacchi, trasportano mobili da un posto all'altro, cambiano idea mille volte, specialmente M.. Per lui e' piu' difficile; non riesce a pensare di allontanarsi dalla moglie e dal figlio (il bimbo del video).

 

Venerdi' 2 aprile. Radio B92 e' definitivamente chiusa, server compreso. Niente piu' Internet.

I cortometraggi che A. stava raccogliendo dai giovani registi serbi sono stati sistemati a casa di un amico. E' il lavoro di due anni, tutto in due buste di plastica.

 

5 aprile. La gente continua ad andare ai concerti di mezzogiorno, ma l'entusiasmo e' passato, il pubblico diminuisce: "Solo gli insulti sono gli stessi, fondamentalmente sullo scandalo 'orale' di Clinton. Tuttavia vedo qualcosa di nuovo: un'immagine di Stalin, con un testo che dice 'Lui ha sconfitto Hitler, noi sconfiggeremo Clinton'. Questa e' per me l'ulteriore prova che e' il partito ultracomunista della moglie di Milosevic a organizzare questi concerti".

Tra gli amici, qualcuno vuole restare, dar vita a una sorta di 'movimento di resistenza artistica'. Altri sono piu' scettici.

"Il danno fatale e' stato fatto, ormai: per quelli come noi, non e' piu' possibile vivere a Belgrado. La gente in grado di pensare e' stata messa a tacere, cancellata dal primo 'tomahawk' che ha colpito la Serbia. Noi siamo la 'Reset Generation' : se riusciremo a lasciare il paese, dovremo dimenticare tutto il nostro passato. Tutto dovra' ricominciare da zero. Qualcuno ha bruscamente 'resettato' le nostre vite".

Riflette, A., sulla situazione degli artisti, dei giornalisti indipendenti, delle persone che si occupavano di attivita' non strettamente commerciali. "Non possono lavorare altrove, e ora nessuno ha bisogno di loro". Un amico, V., ex chitarrista in una delle rock bands piu' famose della Jugoslavia, sostiene che potrebbe benissimo starsene in una baracca sul fiume, a pescare: "Ma pochi tra noi potrebbero fare lo stesso".

C'e' parecchia gente in giro. Molti si ubriacano.

Un barista, "totalitario", copre con della carta rossa tutti i marchi della Coca Cola visibili nel locale. "Nessuno gliel'ha ordinato, fa solo quello che crede sia giusto in questo momento. Forse e' davvero convinto, forse e' spinto a farlo dalla paura di sembrare 'diverso' - comunque sia, e' evidente che la lobotomia e' avvenuta con successo. E' questa la Serbia, ora. Questo il risultato piu' vistoso dei bombardamenti, per adesso".

A. continua ad attaccarsi al computer in casa degli amici.

Vorrebbe andare a ritirare i documenti necessari per partire. Ma si sveglia tardi, oppure la fila e' troppo lunga. C'e' sempre qualcosa che glielo impedisce.

 

10 aprile. A. saluta infine il suo amico M., che ha deciso di non partire. Gli lascia la maggior parte dei suoi libri.

Il diario di A. termina qui, almeno per ora. Forse e' riuscito a partire, forse sta continuando a pensare di farlo.

 

  

GLI ARTISTI MULTIMEDIALI E IL CONFLITTO NEI BALCANI

Ma come reagiscono alla situazione gli artisti del 'resto del mondo' ?
Molti di loro sono gia' al lavoro.

La galleria virtuale che ospita le loro opere si chiama 'Weak Blood': per ora se ne possono vedere una cinquantina, tra poesie visive, immagini animate e altri esempi di arte interattiva. Trentacinque artisti hanno aderito al progetto, che e' ovviamente ancora in corso.

Chiunque voglia partecipare puo' farlo direttamente dall'indirizzo: http://members.tripod.com/~repoem
/blood/weak.html.

Reiner Stresser, artista e insegnante di Wiesbaden, in Germania, ha creato questo sito il 27 marzo scorso, e intende aggiungere almeno un paio di lavori al giorno, "finche' andranno avanti bombardamenti e massacri".

Un altro artista tedesco, Klaus-Dieter Michael, ha aperto 'Virtual Heatwave 2: Anti.War.Art' , che contiene otto lavori suoi e di altri.

Michael, con le sue 'immagini di un ponte' ('Pictures from a bridge'',), parte da una cartolina del ponte di Novi Sad per giungere attraverso una sequenza di dettagli-shock alla sua disgregazione completa, l'ultima immagine - il ponte distrutto dai bombardamenti il primo aprile 99 - sovrastata dalla parola 'Disconnected'.

Vuk Kosic, sloveno, realizza invece una serie di collages di schermate televisive, per mostrare il tipo di copertura dato dai media balcanici allo svolgersi degli eventi (http://www.ljudmila.org/~woelle/
lajka/war/
).

Certo, alcune tra queste opere non sono molto piu' che degli 'slogan illustrati', secondo alcuni critici. E' anche vero che non molti artisti sono abituati a lavorare cosi' velocemente. I lavori 'esposti' in rete stanno comunque aumentando sia in quantita' che in qualita'.

Gli autori vengono soprattutto dagli USA e dall'Europa Occidentale. "Ma in questo momento gli artisti che vivono nei Balcani hanno ben altre cose a cui pensare" dice Stresser.

La storia di A. ne e' probabilmente la dimostrazione.

 

Fonti:

Il diario di A.G. e' reperibile all'indirizzo http://www.webcinema.org/wardiaries.html oppure http://www.eGroups.com/list/wardiary

Il suo video e' reperibile all'indirizzo http://www.webcinema.org/
serbianshorts/wardiaries.ram

Le iniziative in corso, gli artisti coinvolti, i links
NY Times "arts@large.Kosovo conflict inspires digital art projects"

Il progetto Weak Blood

Anti.War.art - Virtual heatwave 2

'Pictures from a bridge' di Klaus-Dieter Michael

Il 'collage online' di Vuk Kosic

 

 

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