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Guerra/In arrivo da Yonkers, New York, 300 volontari dell'Uck

 

Giancarlo Mola

 

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C’erano trecento albanesi kosovari in quel parcheggio alla periferia di Yonkers, poco distante da New York, sabato 10 aprile. La piu’ giovane era una studentessa di diciassette anni che abita nel Bronx. Il piu’ anziano un uomo di sessanta anni. Si sono incontrati per arruolarsi nella "Brigata della diaspora", per imboccare quella strada che li portera’ dall’aeroporto "John Fitzgerald Kennedy" di New York a Tirana e da qui al Kosovo, la terra dei loro padri. Li’ si uniranno all’Uck, l’esercito di liberazione del Kosovo che da mesi sta conducendo un’interminabile guerriglia contro le milizie serbe di Slobodan Milosevic.

Volontari, pronti ad attraversare l’oceano e combattere. Per una terra che probabilmente non e’ piu’ loro e mai piu’ lo sara’. Volontari, che dall’America e dall’Europa, stanno dando vita ad un vero e proprio controesodo. Che nulla ha a che fare per proporzioni con quello dei profughi che ogni giorno varcano il confine con l’Albania e la Macedonia. Ma che descrive bene l’orgoglio di questo piccolo popolo albanese e dei suoi figli, anche lontani.

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Sarebbero oltre tremila i kosovari che hanno lasciato le loro residenze piu’ o meno stabili nei paesi europei per rispondere alla chiamata alle armi fatta dall’Uck lo scorso 3 aprile. Arrivano dall’Italia in traghetto, o attraverso l’Austria in camion o autobus. Partono dalla Germania, dalla Francia, dalla Spagna. Persino dalla Svezia: durante la scorsa settimana oltre cento rifugiati politici hanno lasciato Stoccolma per raggiungere il Kosovo. Sono uomini e donne. Ma soprattutto ragazzi. Partono gia’ con la divisa e col berretto con lo stemma dell’aquila rossa. Vanno in Albania per farsi addestrare dai sergenti dell’Uck, per essere preparati alla guerra.

"Sognavo un futuro da carpentiere e non da soldato, ma il destino ha voluto cosi’ e non voglio sottrarmi alle mie responsabilita’, anzi come tutti sarei orgoglioso di morire per il mio popolo", ha detto Makar, 18 anni, scendendo dal traghetto appena attraccato nel porto di Durazzo. E’ di Pec, e due mesi fa era partito a cercare fortuna in Germania. La guerra lo ha convinto a tornare indietro: c’e’ sua madre ancora a Pec, e da tre settimane non ha piu’ sue notizie. "Ha vissuto solo per me e i miei fratelli. Spero solo che adesso sia viva e non soffra". Makar e’ allora sceso in Italia e il 6 aprile, con molti altri compagni, si e’ imbarcato sul "Palladio". Con il biglietto Bari-Tirana sola andata in tasca. Adesso e’ una recluta dell’Uck e si sta addestrando. Fra pochi giorni sara’ anche lui nel mezzo della guerriglia.

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Non ce l’hanno fatta a raggiungere il Kosovo, invece, i 135 kosovari in divisa partiti da Solingen in Germania che il 9 aprile – a bordo di tre autobus - hanno cercato di varcare la frontiera tedesca. E come loro i sedici fermati dalla polizia austriaca al valico del Tirolo. Non avevano documenti validi per l’espatrio. "Ci riproveremo appena possibile", hanno detto agli agenti che li hanno rimandati indietro.

Nessun problema invece per gli albanesi d’America. I loro documenti erano tutti a posto perche’ negli Stati Uniti quasi tutti ci risiedono da anni. Alcuni non hanno mai messo piede nel Kosovo. Altri non ci tornano da anni e anni. Come Agin Gjevukaj, 26 anni, pizzaiolo nel Bronx. E’ arrivato a New York dieci anni fa e si e’ rifatto una vita. Che oggi e’ pronto a lasciarsi alle spalle. "Stiamo andando alla guerra, ha detto al raduno di Yonkers. "Qualcuno di noi sara’ ucciso. Ma io amo la mia terra, e la nostra gente e’ molto forte: sono molto contento di partire".

La comunita’ albanese degli Stati Uniti conta almeno 500mila persone. Piu’ della meta’ vivono nell’area compresa tra New York, New Jersey e Connecticut. Il loro legame con la terra d’origine e’ rimasto sempre molto forte. E da quando, nel marzo 1998, sono cominciati gli scontri tra l’Uck e l’esercito di Belgrado hanno contribuito alla causa dell’indipendenza del Kosovo rimettendo ai guerriglieri parte dei loro risparmi. "Hanno versato decine di migliaia di dollari", ha spiegato Hysni Syla, portavoce dell’Uck in America.

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Adesso i soldi non bastano piu’. E quando l’escalation di violenza nei Balcani ha raggiunto l’apice, quando sono iniziati i raid della Nato, e’ partita la coscrizione volontaria generale per tutti i kosovari del mondo. Tre settimane fa i giornali americani in lingua albanese hanno pubblicato un comunicato dell’Uck, che sollecitava a fare il grande passo. "L’Esercito di liberazione del Kosovo ci ha sempre chiesto soprattutto denaro", dice Shaban Brahimaj, un programmatore di computer, passaporto americano ma sangue albanese. "Ora ci stanno dicendo: Aiutate il nostro paese in questo momento. O il Kosovo non esistera’ mai piu’".

 

Link a cura di Ludovica Valori

BBC News
TIME
Kosova Crisis Center

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