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Einaudi/Una vita felice nel mondo delle idee

 

Alberto Papuzzi

 

 

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L'articolo che di seguito pubblichiamo è apparso su "La Stampa" del 6 aprile.

 

 L'editore Giulio Einaudi e' morto il 5 aprile nella sua casa di campagna vicino a Roma. Lo ha ucciso un infarto. Aveva 87 anni.

Nelle famose riunioni dei mercoledi' einaudiani, l'editore sedeva al centro del lato lungo del tavolo ovale, fra Italo Calvino a destra e Norberto Bobbio a sinistra, personificazioni delle due culture che convivevano nella casa editrice. Di fronte stava Giulio Bollati, attorno c'erano Massimo Mila e Cesare Cases, Enrico Castelnuovo e Paolo Fossati, Daniele Ponchiroli e Corrado Vivanti, da Roma veniva Paolo Spriano, talvolta in compagnia di Natalia Ginzburg, di lato si metteva, in religioso silenzio, Roberto Cerati, il potente capo del settore commerciale. Quindi tanti giovani intellettuali: l'en fant prodige Claudio Magris o il futuro editore Carmine Donzelli. Si diceva dunque che il vero merito di Giulio Einaudi come editore fosse quello di sapersi circondare di collaboratori di valore, fin da quando, nel novembre del 1933, la casa editrice apre la redazione in via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato la storica sede dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci.

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Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Massimo Mila, Norberto Bobbio, Franco Venturi, Elio Vittorini, e Paolo Boringhieri e Luciano Foa', costole che si staccano dando vita a altre due grandi imprese (Boringhieri e Adelphi), i redattori eccellenti Fruttero & Lucentini, il mitico capo dell'ufficio tecnico Oreste Molina, sono alcuni dei nomi che hanno fatto la storia dello Struzzo einaudiano. - Esiste una ricca aneddotica sul fiuto di Einaudi per i collaboratori e sui trucchi per farli rendere al meglio, mettendo in competizione maestri e allievi, comunisti e liberali. Non leggeva quasi mai i libri che doveva pubblicare. In ogni caso mai per intero: dal fondo, o a meta'. Si fidava ostinatamente delle sue intuizioni, ricevendo negli Anni Quaranta stizziti biglietti di Pavese. Ma aveva quasi sempre ragione, come quando nel 1947 decide di scommettere sul primo libro di Calvino, il Sentiero dei nidi di ra gno, pubblicizzandolo con manifesti nell'Italia del dopoguerra. Ai manifesti si affida anche nel 1974, quando lancia a un prezzo popolare La Storia di Elsa Morante, vendendone seicentomila copie. Nato nel gennaio del 1912, figlio del futuro Presidente della Repubblica, allievo al Liceo D'Azeglio della Scuola di liberta' di Monti, Giulio Einaudi era destinato a fare il medico, ma non arrivo' alla laurea, perche' poco piu' che ventenne si lancia nell'editoria, con due riviste: La Riforma sociale, che rispecchia gli interessi del padre, e La Cultura, affidata alla direzione di Pavese. Il primo libro e' una traduzione firmata dallo stesso babbo Einaudi: Che cosa vuole l'America? di Henry Agard Wallace. Ma il modello culturale che ispira Einaudi, e soprattutto Ginzburg, e' il liberalismo gobettiano, radicato nell'antifascismo, tanto e' vero che nel maggio del 1935 la retata contro il gruppo torinese di Giustizia e Liberta', spiato da Pitigrilli, porta in carcere quasi tutti i collaboratori della neonata casa editrice.

Carattere timido, di condizione privilegiata, fin da allora Giulio Einaudi si presentava come un indecifrabile mix di ostinazione e snobismo. Si raccontava che l'8 settembre, fuggito in Svizzera con un gruppo di antifascisti, quando arrivo' in un casolare affollatissimo chiese educatamente ai contadini, in mezzo al fuggi fuggi, un te' al limone. Per questo suo distaccato narcisismo, piu' tardi lo chiameranno il Principe. Ma anche perche' dominava la sua casa editrice come una corte, impaziente alle critiche. L'unico che poteva permettersi di contraddirlo, dopo Pavese, era Calvino, che nella sede di via Biancamano aveva un piccolo ufficio giusto a fianco dello studio dell'editore. Mentre Giulio Bollati, l'alter ego editoriale, quando tento' di deporre il monarca venne costretto all'esilio dopo un braccio di ferro di alcuni anni.

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Un posto fondamentale, nella biografia di Einaudi, occupa il rapporto con il partito comunista negli Anni Cinquanta. Appena finita la guerra, nel vento che soffiava dall'Est, realizzo' con Vittorini la straordinaria rivista Poli tecnico, su un'idea grafica di Albe Steiner. Nel primo numero un'inchiesta sul lavoro alla Fiat e la traduzione, alla buona, di Per chi suona la campana. Ma il progressismo del giornale si scontro' con lo zhdanovismo che ispirava il pci: Togliatti attacco' la linea di Vittorini, che si rifiuto' di suonare il piffero per la rivoluzione. Einaudi chiuse Il Politecnico fra polemiche che si protrassero per anni. In seguito dira' sempre che la decisione era stata presa esclusivamente per ragioni economiche. Pero' e' anche vero che la sua anima imprenditoriale aveva intuito nel popolo comunista un - grande potenziale mercato di lettori.

Sapeva sicuramente coniugare le ragioni della cultura e della politica. Se negli Anni Cinquanta si incontrava segretamente con Togliatti a colazione, nel 1975 pubblica, sotto il titolo La proposta comunista, la relazione di Enrico Berlinguer allo storico XIV congresso. D'altronde dopo la caduta del Muro sfidera' l'opinione pubblica dichiarandosi "da sempre comunista". All'epoca aveva gia' superato la drammatica crisi degli Anni Ottanta, quando la casa editrice si salva dal fallimento grazie a una leggina Prodi e lui viene processato per bancarotta. Tuttavia sopravvive, da vecchio piemontese, con radici langarole e quando Mondadori compra l'Einaudi accoglie col sorriso il cavalier Berlusconi, convinto di poter manovrare i politici.

In realta' l'epoca einaudiana era finita da tempo. Chi dice con il Sessantotto, quando s'innamora della contestazione, e perde Venturi come collaboratore, chi dice con il Settantasette, quando e' affascinato dall'Autonomia. Chi dice con le grandi opere: il successo della Storia d'Italia si rivelo' un boomerang. Certamente la funzione storica dello Struzzo che "durissima coquit" si colloca nelle pieghe delle grandi modernizzazioni economiche e sociali che trasformano l'Italia nei primi vent'anni del dopoguerra. E' allora che i libri di Einaudi cambiano la cultura italiana, con l'editore che si prendeva il lusso di rifiutare Il gattopardo per coerenza con la linea vittoriniana. Ieri invece e' morto un elegantissimo vecchio signore, addolcitosi con gli anni.

 

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