Einaudi/Parla Foa: "E' stato un editore
di razza: le accuse di settarismo politico sono infondate"
Antonio Gnoli
Articoli collegati:
Una vita felice nel mondo delle idee
Parla Bobbio: "Costrui' la casa
dell'antifascismo"
Parla Foa: "E' stato un editore di razza: le accuse di
settarismo politico sono infondate"
L'articolo che qui di seguito pubblichiamo e' apparso su "La
Repubblica" del 6 aprile.
"Non so se sia giusto parlare di una persona appena
scomparsa, onorarla con discorsi che rischiano essere di circostanza, quando proprio non
finiscono nella retorica più smaccata. E poi raccontare un amico, e Giulio Einaudi lo
diventò, mi dà la sensazione di un rituale prevedibile, forse intimamente doveroso, ma
anche leggermente stonato".
In questo momento, Vittorio Foa sembra combattuto fra l'esigenza di
testimoniare e il desiderio di tacere. In fondo, gli dico, Einaudi ha rappresentato
qualcosa che è andato al di là della cultura in senso stretto. Gli ricordo gli attacchi
che il catalogo della casa editrice ha subito, le accuse di filocomunismo, le critiche per
le autocensure alle quali l'editore si sarebbesottoposto. Insomma un processo in piena
regola, che assomigliava in qualche modo a un regolamento di conti. E in fondo, per quanto
snob questo editore sia stato, almeno agli occhi dei detrattori, ha pur sempre mantenuto
un legame vivo e costante con la sinistra. "Credo sia stato uno dei legami della sua
vita".

Immagino che vi conoscevate da molto tempo, a quando risale il vostro
primo incontro?
"Ci siamo conosciuti al liceo D'Azeglio di Torino, anche se
Einaudi era più giovane di me di un anno. Poi ci frequentammo per un po'. Mi capitava di
andare a volte in casa editrice, quando allora c'era quel personaggio straordinario, vero
motore culturale dell'Einaudi, che fu Leone Ginzburg. Poi io venni arrestato e nella
retata organizzata dai fascisti cadde anche Einaudi. Se non ricordo male, mi pare,
viaggiammo sullo stesso cellulare che da Torino ci portò a Roma. Poi nel 1943, quando fui
liberato, andai a trovarlo in casa editrice e dopo di allora per lungo tempo ci siamo
visti solo di rado".
Però a un certo punto le vostre strade si sono nuovamente
incrociate...
"E' una cosa che è accaduta negli ultimi tempi. Sono diventato un
autore dopo i settant' anni e il fatto di aver cominciato a pubblicare per Einaudi ha
permesso che ultimamente ci vedessimo anche spesso. L'ultima volta che ci siamo incontrati
è stata una settimana fa, a una cena in cui c'era anche Antonio Gilitti. Mi pareva che si
fosse ripreso da alcuni problemi cardiaci che lo avevano afflitto. Eravamo a casa sua, e
lo trovammo che stava cercando di dare un ordine ai suoi libri".
I libri sono stati la sua vita. Quale immagine ha serbato di lui
come editore?
"Mi capitava di dire, scherzando con i nostri comuni amici, che
lui i libri non li leggeva, piuttosto li annusava. Aveva il dono dell'intuizione e una
curiosità sorprendente. Doti che credo appartengano solo all'editore di razza".

C'era anche l'aspetto politico che ha segnato lo sviluppo e l'identità
della casa editrice. Che cosa pensa in proposito, anche alla luce delle critiche che gli
sono state rivolte?
"Le sue scelte editoriali sono state usate ingiustamente come un
atto di accusa contro di lui. Si è arrivati perfino a parlare di Einaudi come di un
corruttore della cultura italiana. Credo che chiunque oggi sfogli il catalogo della casa
editrice vedrebbe quanto infondate siano quelle critiche. Le sue scelte editoriali hanno
coinvolto autori internazionali e di diversa fede. Altro che settarismo culturale!".
Tuttavia fu un editore che a suo modo fece politica...
"La fece cercando di sposare la tradizione liberale - che gli
veniva direttamente da suo padre - con i nuovi impegni sociali che gli provenivano
dall'esperienza comunista".
Le sembra un matrimonio possibile?
"Per come la vedo io erano scelte che arricchivano un paese che
culturalmente brillava poco. E trovo sinceramente avvilente che con il crollo del
comunismo qualcuno si sia accanito contro di lui".
E lei non ha nulla da rimproverargli?
"Sbagli ne ha commessi. Giudico per esempio molto riduttivo che
lui scegliesse fra i cattolici solo quelli di estrazione comunista. Considero negativa
l'influenza di Balbo. Avrebbe potuto cogliere la ricchezza del dossettismo, dei popolari,
ma non l' ha fatto. Ecco un suo limite".
Lei, come autore, si è avvicinato tardi alla casa editrice. Ma come
pensa abbia vissuto Giulio Einaudi la crisi che lo stava per travolgere?
"Una volta gli ho chiesto se, secondo lui, era ancora possibile
che una grande casa editrice avesse ancora un'anima. Se ancora si poteva lasciare un segno
culturale profondo che costringesse i lettori a cercare ciò che si pubblicava. "E'
ancora possibile?", gli chiesi. E lui malinconicamente rispose: "Sai, Vittorio,
ora tutto dipende dal fatturato, di anima ne è rimasta ben poca".
Articoli collegati:
Una vita felice nel mondo delle idee
Parla Bobbio: "Costrui' la casa
dell'antifascismo"
Parla Foa: "E' stato un editore di razza: le accuse di
settarismo politico sono infondate"
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete
dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
attualità
|