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Privacy/Il Grande Fratello Elettronico

 

Giovanni Buttarelli, segretario generale dell’Autorita’ garante per la riservatezza dei dati personali intervistato da Giancarlo Mola

 

 

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"La tecnologia non puo’ essere una causa di contrazione della privacy dei cittadini". Il principio e’ chiaro secondo Giovanni Buttarelli, segretario generale dell’Autorita’ garante per la riservatezza dei dati personali: nessun dato puo’ essere raccolto o elaborato senza motivi ben determinati e soprattutto senza che i cittadini ne siano informati. E questo vale per ogni forma di comunicazione, anche elettronica. Dai telefonini a Internet.

 

Il recente caso dei telefonini ha dimostrato pero’ che le violazioni del principio sono in agguato.

"E infatti ai gestori della telefonia mobile abbiamo fatto domande precise precise: vogliamo sapere se la localizzazione degli utenti avviene anche quando non e’ imposta da funzionalita’ specifiche. Se dovessimo scoprire che si verifica anche per le schede prepagate o quando i telefonini sono in stand by, allora non potremmo non constatare una violazione della privacy".

 

Ma le norme esistenti sono sufficienti?

"Si’, il quadro normativo e’ completo. Esiste per esempio una direttiva europea che obbliga i gestori di servizi di telefonia a permettere che da qualsiasi stazione si possano fare chiamate non monitorate ai fini della fatturazione. Tutti cioe’ hanno diritto di utilizzare il telefono fisso o mobile, o anche solo per connettersi a Internet, senza per questo essere automaticamente individuati. Ma non c’e’ bisogno di andare in Europa…".

 

Cosa intende dire?

"Che la stessa legge italiana sulla privacy contiene principi immediatamente applicabili all’ipotesi dei telefonini. Perche’ la sostanza e’ che i dati personali possono essere trattati solo per determinati scopi e nel rispetto di una serie di norme di garanzia, prima fra tutte l’informativa precisa da dare agli utenti. Le norme ci sono, quindi. Si devono solo fare progressi sulla loro applicazione".

 

Ma i telefonini non sono l’unico caso. C’e’ per esempio il caso Intel III, o quello di Microsoft. Cosa puo’ fare il Garante in casi del genere?

"Abbiamo gia’ fatto. Rodota’ ha partecipato ad una valutazione comune con le Autorita’ analoghe degli altri paesi che si sono riunite a Bruxelles a fine febbraio. E si e’ parlato esplicitamente del caso Intel. Poi sono stati avviati contatti con il produttore di microprocessori, che e’ stato invitato a fornire tutte le delucidazioni del caso. Le renderemo note prima che della commercializzazione in Italia di Intel III".

La societa’ di Santa Clara dira’ probabilmente che il codice di identificazione serve per garantire la sicurezza delle operazioni economiche in Rete.

"Questa argomentazione pero’ da sola non basta. Nelle transazioni e’ sufficiente essere certi della genuinita’ dell’utente, non della stazione da cui opera. Il timore e’ che dietro questi tentativi si nasconda dell’altro".

 

Come lo studio delle abitudini della gente a fini di marketing?

"Non e’ un aspetto che puo’ essere trascurato. Il dubbio e’ stato espresso soprattutto dalla stampa. Ma posso dire che se ne e’ parlato anche a Bruxelles nell’incontro fra i Garanti".

E all’estero come si pongono di fronte al problema della privacy telematica?

"In Francia hanno avviato da tempo un monitoraggio dei provider, per capire come i fornitori di accessi a Internet trattano la grande quantita’ di dati che sono in loro possesso. E hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione degli utenti di Internet per aumentare la loro consapevolezza sui rischi di un controllo telematico".

 

Che in futuro potrebbe aumentare. Basti pensare all’ipotesi della carta d’identita’ elettronica.

"Beh, anche di questo ci siamo gia’ occupati. Sul disegno di legge abbiamo espresso una serie di critiche costruttive. E abbiamo detto che un codice fiscale e’ meglio di uno individuale. Che i livelli di accesso ai dati devono essere molto controllati e la riservatezza va garantita come bene primario. Che nella smart card bisogna distinguere tra dati obbligatori, da inserire comunque, e facoltativi, che possono essere registrati solo se il cittadino lo desidera".

 

Tutti sforzi lodevoli. Ma non le sembra che la societa’ tecnologica lasci poco spazio alla privacy?

"Direi di no. Certo viviamo in un mondo in cui le informazioni circolano ad una velocita’ tale che non e’ piu’ possibile tornare indietro. Ma sono ottimista. La tecnologia puo’ essere un nostro grande alleato. E aiutarci a difendere la privacy".

 

Come?

"Per esempio realizzando software che evitino che i nostri dati possano lasciare il computer a nostra insaputa. O che ci segnalino quando navighiamo all’interno di siti che non sono in regola con il rispetto delle norme a tutela della riservatezza dei naviganti. Se qualcuno insomma pensa di combattere chi ha a cuore la privacy accusandolo di essere nemico dell’innovazione, commette un grosso errore. Che cambi argomento. E’ meglio".

 

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