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Letta: “Prodi, D’Alema, l’Ulivo: non e’ detto che finisca in uno sfascio”

V.R.

 

 

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Qualificato come “prodiano”, uomo di frontiera fino all'ultima ora nello strappo fra il Ppi e il Professore, Enrico Letta, ministro popolare alle Politiche comunitarie, non smentisce l'ispirazione nemmeno adesso che ai nastri di partenza si dispone una corsa europea dura, in cui anche fra “alleati” saranno bandìte le cortesie. Ci si sente soli? No, dice Letta. “Condivido tutto quel che sta facendo Veltroni in questo periodo - spiega -. Anche se lui ha maggiori difficoltà di me. In fondo io non ho molto da perdere. Veltroni, invece...”.

Ministro: l'Ulivo pare quasi archiviato, ora c'è il centrosinistra con l'Udr.
“La terminologia è cosa assai complicata, nel nostro caso. Tutti insieme, in questi due anni e mezzo, abbiamo mantenuto - anche giustamente - una certa indefinitezza intorno al concetto di Ulivo. Alla fine, l'Ulivo è stato un po' sinonimo di Prodi, un po' sinonimo del governo, un po' sinonimo di centrosinistra, un po' dell'incontro fra Moro e Berlinguer; un po' infine è stato sinonimo dei movimenti che superano i partiti e dell'incontro fra i due partiti maggiori della coalizione. Un bel caleidoscopio, in cui si sono riferiti all'alleanza, e hanno identificato l'Ulivo come soggetto di appartenenza, persone che al fondo avevano idee diverse: idee in quel momento convergenti, ma con sfondi differenti”.

Ambiguità svelate dall'avvento del governo D'Alema?
“Certo, si può dire così. Prima, l'Ulivo era una somma di definizioni diverse. In quanto tale, aveva un piccolo tasso di indefinitezza che consentiva a tutti di riconoscersi. E che consentiva di considerare l'Ulivo stesso - come dire - sospeso a un metro da terra, per certi versi oggetto un po' mitico. Dopo, si è aperta una fase - e il fatto centrale saranno le elezioni europee, i numeri delle elezioni europee - in cui si devono dare nomi nuovi ai seguenti termini: che cos'è la coalizione? Chi ne fa parte? Che cosa è la leadership della coalizione, quali i metodi di funzionamento? E - dentro la coalizione - qual è il rapporto fra partiti e ciò che partito non è?”.

E il giudice, dice lei, sarà il peso elettorale.
“È uno degli elementi. L'altro è il rapporto fra l'Udr, i comunisti e i tradizionali partiti dell'Ulivo. Detto con chiarezza, io credo che quella distinzione nell'arco del '99 sarà scomparsa. Mi sembra difficile immaginare che Cossutta e l'Udr, che i sondaggi più ottimistici danno al due per cento a testa, possano mantenere vita autonoma in vista delle prossime elezioni politiche”.

Quali saranno le chiavi per capire i prossimi mesi? Il conflitto tra ulivisti e partitisti? Il conflitto tra centro e sinistra della coalizione?
“Il punto importante sarà il rapporto fra partiti e ciò che partito non è. La forza dell'Ulivo è stata nel mantenere una complementarità fra questi due modi di essere della politica. E in fondo la ragione per cui l'Ulivo ha vinto sul Polo è proprio questa: che è riuscito ad essere il meglio dei partiti italiani storicamente organizzati e però nello stesso tempo emendati dai vizi dei partiti, sublimati invece attraverso l'adesione di movimenti, singole persone, forme di partecipazione anche nuove. In più, il fatto che il governo funzionasse non per delegazioni di partito”.

Il che però è stata la sua debolezza, sembra pensare Prodi.
“Beh, due anni e mezzo è durato. Ma quel che voglio dire è: con l'avvento del governo D'Alema si è avuta l'impressione di un oggettivo abbassamento di peso di una delle due parti, cioè quella non organizzata nei partiti. Invece sono convinto che quella sia stata il fattore più importante nell'esperienza dll'Ulivo. La nascita della nuova lista di Prodi, il conflitto tra le varie anime della coalizione, ci fanno correre il rischio che si crei una dialettica non più riconducibile a sinergia, una dialettica distruttiva. È una reazione, quella di chi non si è riconosciuto direttamente nei partiti, molto forte rispetto all'espunzione di logiche non partitiche che ha segnato il secondo semestre dell'anno scorso. Dopo reazione e controreazione, tesi e antitesi, bisogna cercare una sintesi”.

Come si fa a tenere insieme le due “ottimalità” dell'Ulivo?
“Bisogna fare quel che non si è fatto in due anni e mezzo. L'Ulivo a un metro da terra non c'è più. L'idea che quel soggetto mantenga una mitica equidistanza fra i contraenti non c'è più. Quindi bisogna mettere mano a un'idea di coalizione che abbia regole di funzionamento. In particolare, io sono da sempre un tifoso accanito delle primarie. Le considero l'unico, vero modo per far funzionare la coalizione. Per esempio al prossimo giro amministrativo già saremo nelle condizioni di dire che il centrosinistra può indicare i suoi candidati a sindaco con le primarie. Sarebbe un fatto positivo, ed è chiaro che lo estendo fino alla designazione del premier”.

Designazione che a oggi rischia di essere quasi una corsa fra
le due “anime”, partito e non-partito.
“Io sono davvero convinto che la coalizione per vincere abbia bisogno della sinergia fra due strategie: una eccessiva sottolineatura del ruolo dei partiti o del ruolo di forme di partecipazione apartitiche sarebbero entrambe foriere di sconfitta. La competizione per la leadership tra Prodi e D'Alema, o una terza leadership in vista delle politiche, non la si può giocare sul fatto che l'uno è il campione dei partiti e l'altro degli antipartito. Questo è il limite che vedo. La competizione, invece, deve esercitarsi su una concezione unitaria della coalizione, e sul terreno programmatico”.

Detto in prosa, che cosa significa "darsi regole"?
“Intanto, ci vogliono strutture di coalizione meno fatiscenti del coordinamento dell'anno scorso. Ci vuole il conferimento di poteri reali. Il fatto che queste strutture siano state sempre riunite solo dopo che, per tramite di interviste, si era evidenziato un accordo su qualcosa, accordo che il coordinamento doveva solo ratificare, beh, non va. Le strutture di coalizione devono essere come organi di partito, che si riuniscono periodicamente per discutere e decidere”.

Per voi di frontiera, diciamolo, è dura. Dovrebbero vincere tutti gli alleati, per poter essere soddisfatti.
“Bisogna assumere l'ottica dell'interesse generale di coalizione. È necessario che tutti - anche chi milita in un partito - capiscano che la logica del maggioritario, oltretutto rafforzata dal referendum, non consente la salvezza del proprio particolare dentro la sconfitta della coalizione. Se Prodi e Di Pietro prendono il dodici per cento ma questo terremota la coalizione, non c'è successo per loro. Vale anche per i Popolari e per tutti. Nessuno si salva, dentro una coalizione allo sbando”.



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