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Il metodo Soros contro il collasso

Silvia Boba

 

 

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Questo articolo è apparso su "il manifesto" il 3 febbraio 1999



Dal mare di cose che, con determinazione o di passata, riesce a dire George Soros nelle 245 pagine del suo The Crisis of Global Capitalism (New York, Public Affairs, ora tradotto da Ponte alle Grazie, "La crisi del capitalismo globale") emergono alcuni filoni che vale la pena di notare tenendo presente la posizione dell'autore.

Fallacia e riflessi

1) Il capitalismo, si afferma, è un sistema incapace di autoregolarsi. Si ha quindi la fallacia (fallibility) del mercato: il quale opera secondo un gioco di riflessi che si autoalimentano (reflexivity) e che allontanano da un percorso di equilibrio. I proprietari del capitale tendono solo a massimizzare i profitti accumulando capitali all'infinito. Sotto questo rispetto, afferma Soros, l'analisi di Marx ed Engels è migliore della teoria dell'equilibrio dell'economia classica.

2) Il mercato è intrinsecamente instabile. Oggi si sta diffondendo un "fondamentalismo del mercato" che è da considerarsi nemico di un buon sistema capitalista quasi quanto lo era il comunismo. Pretendere di affidare tutto al mercato significa imporre e diffondere l'instabilità. Ma, si chiede l'autore, quanta instabilità può sopportare una società? Se ci si salva è grazie agli interventi politici di contrasto (countervailing) che si operano nei paesi democratici e che costituiscono la parte non-mercato della società.

3) Segue l'analisi dei modi in cui si è formata la crisi asiatica: la quale non nasce, come è stato ripetuto fino alla noia, dalla svalutazione del Baht thailandese nel luglio '97, ma da un preesistente squilibrio delle bilance commerciali: cosa che riporta in evidenza l'economia reale e la presenza di una sovrapproduzione, come era stato messo in evidenza su queste pagine già nel settembre del '97.

Su questa sovraproduzione si può ulteriormente discutere (per Graziani essa è dipesa da un apprezzamento del dollaro verso lo yen): essa è comunque caratteristica intrinseca di economie extravertite lanciate in una concorrenza esasperata. Ma la discussione ci porterebbe lontani rispetto al libro in esame: poiché per Soros il mercato è quello finanziario né è mai chiarito come esso entri in rapporto con quello della produzione. Segue l'analisi della crisi russa, quella che più brucia a Soros, perché per la costruzione di una "società aperta" in Russia egli aveva creato un Fondo "filantropico" che ha perso in pochi giorni un paio di miliardi di dollari. Da ciò l'autore sembra ricavare una convinzione saggia: vale a dire che non basta l'apporto di quattrini per mettere in piedi un'economia ove manchino strutture istituzionali e sociali.

Banalmente si potrebbe dire che qualcuno l'ha preso al suo stesso giuoco e gli ha sfilato i soldi dalle tasche così come egli ammette di aver fatto nei confronti dei contribuenti inglesi quando mise alle corde la sterlina nel 1992.

Il controllo necessario

4) La parte più importante del libro riguarda sicuramente l'azione di controllo che Soros considera necessaria: essa riguarda l'intervento dei singoli stati e delle istituzioni internazionali, in primo luogo il Fondo monetario internazionale, per farne uno strumento di regolazione preventivo e non solo una crocerossa. Accanto ad osservazioni ovvie per chi non soffra del "fondamentalismo del mercato", vi sono alcune cose interessanti che vedremo più avanti.

5) L'obiettivo strategico, per l'autore, è la costruzione di una "società aperta", versione riveduta della Open Society and its Enemies di Karl Popper, suo punto di riferimento fin dai suoi giovani anni ma che adesso ritiene di dover completare tenendo conto che le società umane non possono essere trattate con i metodi delle scienze naturali.

Soffermiamoci su alcuni punti che illustrano nella pratica le convinzioni espresse. Ripetutamente l'autore scaglia i suoi strali contro la Malaysia, paese di soli 20 milioni di abitanti, economia industrializzata, o "tigre", di seconda generazione, messasi in moto solo dieci-quindici anni fa con risultati sorprendenti (crescita a due cifre, piena occupazione ecc). Colpita dalla speculazione quasi in contemporanea con la Thailandia, la Malaysia ha rifiutato l'aiuto del Fmi insieme con le note condizioni-capestro, prendendo invece misure in proprio come quella di bloccare per un anno la fuga di capitali stranieri e nazionali. Inoltre, il governo, prendendo atto dei gravi squilibri intervenuti nell'economia reale, aveva operato nell'immediato drastici tagli nelle spese per infrastrutture nonché nelle strutture produttive che avevano perso rapporto con la domanda reale: anche a costo di scontentare gli investitori stranieri.

Il caso cinese

A rigore questo sarebbe da considerare uno di quegli interventi countervailing, di natura politica, volto a proteggere la popolazione da prevedibili, ulteriori sconvolgimenti. Perché dunque prendersela tanto con la Malaysia? Intanto perché il premier Mahatir Mohammed aveva pubblicamente accusato Soros e le sue speculazioni di aver messo in moto la crisi asiatica (Soros se ne difende con, tuttavia, una ricostruzione dei fatti che conferma l'accusa, indicando fra l'altro un'operazione valutaria allo scoperto a crisi aperta). Ma soprattutto perché la Malaysia costituisce un esempio pericoloso. Che accadrebbe, infatti, se ciascun paese provvedesse in proprio a strumenti anticrisi?

Già vi è il caso della Cina, che si sottrae alla liberalizzazione finanziaria, ma di cui non bisogna parlar male perché è un mercato troppo importante ed ha un peso strategico che la rende determinante, pro o contro; e soprattutto perché se dovesse andare in crisi, o anche solo svalutare, costringerebbe interessi enormi a ristrutturarsi.

La preoccupazione principale di Soros è che, se il caso Malaysia dovesse dimostrare che un singolo paese può difendersi in proprio, e l'esempio dovesse essere seguito, si creerebbero dei vuoti in quel "gigantesco sistema circolatorio" che è il capitalismo globale. Il caso è emblematico poiché nel sistema delineato da Soros, ma non certo inventato da lui, la funzione dello "stato sovrano" in quanto regolatore della politica economica, da cui dipendono investimenti e occupazione, e organizzazione del welfare state, non esiste: anzi, disturba. La dimensione nazionale non tanto non può arginare la globalizzazione, quanto non deve farlo.

Le indicazioni più sorprendenti si ritrovano comunque dove Soros avanza le proposte per evitare il collasso del sistema. Poiché l'autore è convinto che, proseguendo sugli attuali binari il sistema capitalista è destinato a rapida rovina. Per correggere la rotta oggi diffusamente si chiede maggiore trasparenza e maggiori informazioni specie nel settore bancario, Fmi e Banca mondiale compresi, nonché regole per gli hedge funds e i capitali a breve. Ma occorre ben altro, secondo Soros, poiché con le misure restrittive imposte ai paesi colpiti dalla crisi vi è il pericolo di una depressione prolungata per mancanza di liquidità. Occorre ovviare con, per esempio, uno schema di "assicurazione internazionale al credito", ovviamente calibrato; pensare a trasformare il debito estero in azioni; ovvero trasformare il debito di stato a breve in titoli vincolati a lungo termine e a minore rendimento, come è stato fatto in Ucraina.

I creditori imprudenti

Questa inaspettata ispirazione keynesiana si spiega in realtà con la preoccupazione di non penalizzare i fornitori internazionali di capitali. Ma vi è qualche cosa di più. Occorre riflettere, afferma, prima di correre in aiuto degli investitori imprudenti. L'incubo della crisi messicana del '94-'95 è ricorrente. Infatti, il governo messicano aveva emesso titoli ad un anno, in dollari, per finanziare le spese correnti; ma quando i detentori di questi tesobonos, in genere statunitensi, fiutarono il pericolo, decisero "con comportamento a gregge", di liquidare e il governo messicano andò sotto. Sarebbe il caso, aggiungiamo noi, di ricordare le componenti politiche determinanti della vicenda, legate alla costituzione del Nafta e alla condotta criminale del presidente Salinas: ma questo, evidentemente, non è di buon gusto. Il Fmi intervenne allora per salvare il governo messicano raccogliendo un fiume di quattrini.

Come mai in quel caso, come in altri analoghi, il Fmi fu così sollecito? Qui Soros affianca gli economisti più radicali: vi è, egli afferma, un'asimmetria di fondo nel mercato finanziario attuale poiché i detentori di capitali sono in sostanza paesi del centro del sistema mentre i prenditori sono di norma paesi della periferia. Pertanto i salvataggi del Fmi sono in pratica salvataggi dei capitali del centro cioè dagli "azionisti di maggioranza" del Fondo stesso. Il Fmi non potrebbe agire contro di loro. Ancora: attenzione, perché è proprio la sicurezza di essere salvati che induce i prestatori ad agire in modo irresponsabile esponendosi in situazioni palesemente insostenibili.

Secondo Soros diventa necessario penalizzare i creditori quando agiscono in modo imprudente. Così come sarebbe necessario lasciar fallire fondi di rischio o banche di investimento in condizioni analoghe. (D'altra parte, aggiungiamo noi, l'istituto del fallimento non è proprio quello che si pretende dalle cosiddette "economie in transizione" a riprova della loro determinazione nel perseguire il mercato e ridurre l'intervento dello stato?).

A questo punto si vorrebbe sapere perché Soros ha scritto questo libro, e con tanta premura. In sostanza si tratta di un atto di accusa contro il sistema finanziario globale che per lui coincide con il sistema capitalista. E di una sollecitazione a correggere e regolamentare proprio per salvare il sistema.

Sarebbe poco di nuovo, dopo la "scuola della regolamentazione" e la pratica dell'interventismo statale. Forse le regole attuali non consentono di salvare i Fondi di Soros. O forse, semplicemente, egli doveva trovare un modo per spiegare al colto e all'inclita perché ha perso dai due ai quattro miliardi di dollari in parte suoi in parte a lui affidati per ottenere profitti da speculazione. Soros aveva bisogno di ristabilire la propria autorevolezza, tanto più che non ha alcuna intenzione di cambiare mestiere: pochi mesi dopo aver scritto il libro, nei giorni stessi del lancio dell'euro, egli interveniva alla grande per salvare lo yen da una brutta scivolata.

Comunque vale la pena di ritenere alcune delle cose da lui dette: a futura memoria.


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