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Le ambizioni del Soros politico

Giancarlo Bosetti

 

 

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Piu’ di una recensione
La nomina di Fraga Neto al vertice della banca brasiliana vale per George Soros certamente molto piu’ di una recensione favorevole al suo ultimo libro, ma in un certo senso e’ anche una recensione, ammettiamolo favorevolissima, dal momento che un uomo che gli e’ stato vicino, avendo diretto il suo mitico Quantum Fund, e’ stato scelto per tentare di mettere rimedio alla catastrofe finanziaria che ha travolto il real e l’economia di quel paese. E questa situazione il libro l’aveva decisamente prennunciata. “La crisi del capitalismo globale” esce infatti in Italia in questi giorni, ma e’ stato scritto prima che la crisi di San Paolo precipitasse e gli errori del Fondo monetario vi sono descritti con cura. Con la stessa cura che il finanziere aveva posto gia’ nella deposizione davanti al Congresso americano in cui invocava una “regolazione” per i mercati finanziari, senza la quale la catena dei disastri non si fermerebbe piu’. Un altro capitolo si aggiunge alla saga dell’uomo piu’ “liquido” del mondo. Il minimo che si possa dire e’ che il centro della saga si sta spostando sempre di piu’ dalla pura attivita’ finanziaria verso la politica. Ed e’ la politica che conta nelle questioni dell’economia internazionale. Per i detrattori di Soros nuove occasioni di sospetto.

Assolto sulla Russia da TNR
Ma a proposito di malignita’ sul ruolo del finanziere di New York la buona notizia (un’altra) per George Soros e’ che il settimanale “The New Republic” ha fatto analizzare la sua condotta in Russia e ne ha tratto le conclusioni che non ha colpe nel crollo del rublo. Chi lo ritiene un professionista che manda in rovina le economie per aumentare le sue fortune personali, qui come in Asia e in Europa negli anni dei cambi roventi, e’ dunque smentito. La notizia cattiva e’ che invece lo stesso settimanale stronca l’ultimo suo libro con una recensione affidata niente meno che al Nobel per l’economia Robert Solow. Sarebbe troppo malizioso pensare che Soros avrebbe preferito il contrario, una bocciatura etica (un demone della finanza) contro una promozione scientifica e intellettuale (un grande del pensiero sociale), ma non poi cosi’ strano, se consideriamo le sincere ambizioni teoriche che da sempre accompagnano la vita e la carriera del finanziere piu’ famoso del mondo.

Fastidioso per i neoliberali
Con “La crisi del capitalismo globale”, pubblicato in Italia da Ponte alle Grazie, Soros sintetizza le sue teorie sui cicli dell’economia e della finanza e la sua visione della societa’ in generale accompagnandole a progetti di riforme che ritiene necessarie e urgenti su scala internazionale se vogliamo evitare che il ciclo perverso boom/crolli continui a mietere vittime: la Corea, la Russia, l’Indonesia, ultimo il Brasile. Sotto a chi tocca.
Questo supertalento della finanza venuto dall’Ungheria, passato da Londra dove fece i primi soldi e studio’, prima di trasferirsi a New York nel 1956, alla London School con Karl Popper da cui trasse il tenace amore per l’idea della “societa’ aperta”, non e’ uno di quegli gnomi annidati nel cielo astratto dei flussi elettronici bancari e valutari; bisogna riconoscergli una certa sensibilita’ (e’ anche una dote professionale) per i processi economici reali che sottostanno ai movimenti finanziari, e ai concreti fattori umani che vengono travolti dalle crisi. Naturalmente, che a parlare di valori umani sia colui che ha il record mondiale del cash, cosi’ tanto - ha confessato piu’ volte - da non riuscire neanche a immaginare il modo di spenderlo per se’ e per i suoi cari, e’ un fatto che non finisce di irritare molta gente a cominciare dai governi che, a torto o a ragione, si sentono sotto il tiro della sua massa d’urto speculativa (i malesi hanno sopra tutti il dente avvelenato). E poi che a tentare una critica dell’economia del mercato globale sia proprio il titolare del Quantum Fund, la piu’ colossale delle imprese speculative, e’ urticante per gli apologeti neoliberali del mercato.

Propensioni progressiste
Quanto alla tesi, sostenuta dai suoi nemici, che le preoccupazioni di Soros per le sorti dell’economia mondiale siano dovute alle recenti disavventure del suo fondo, non sta in piedi, perche’ la sua esposizione pubblica sui temi politici e teorici risale a molti anni fa ed ha accompagnato la lunga ascesa delle fortune finanziarie delle sue societa’. C’e’ una continuita’ nel tempo delle propensioni progressiste di Soros cosi’ come del suo schema intellettuale e filosofico. La sua teoria della riflessivita’ - basata sull’idea che in economia i fattori soggettivi e le aspettative influiscono in misura determinante producendo uno scarto rispetto alla realta’ oggettiva, per esempio nel valore dei titoli, che diventa esplosivo e provoca sia le impennate che i collassi, e basata sulla critica del principio classico dell’equilibrio - potra’ non convincere gli economisti e forse non e’ neanche cosi’ originale. Soros cita comunque onestamente le fonti: Thomas Merton per le profezie autoconvalidanti e l’effetto bandwagoning (tutti sul carro del vincitore), Alfed Schutz per la sociologia dell’intersoggettivita’. Ma penso che prenda un abbaglio chi ci vede soltanto delle cortine fumogene per nascondere il desiderio di proseguire nei traffici finanziari. Queste idee sono la cornice teorica di uno sforzo attraverso il quale il finanziere ambisce sinceramente ad affermare una sua funzione pubblica, non solo di tipo filantropico come e’ avvenuto attraverso le fondazioni intitolate alla Societa’ aperta, ma decisamente politica in una fase in cui negli uomini di governo scarseggia, per molte ragioni, una visione globale e competente dei problemi economici.


Mercati come palle d’acciaio
In un precedente saggio aveva gia’ annunciato il carattere “minaccioso” del capitalismo contemporaneo. Qui stava preparando una analisi sistematica della sua natura che avrebbe voluto completare con piu’ calma, ma la crisi russa dell’estate scorsa ha spinto l’autore ad accelerare i tempi. “Di colpo il mio libro assumeva un carattere di urgenza”. Per inciso il libro preannunciava, come abbiamo detto, il collasso brasiliano e criticava gli errori del Fondo monetario. E il senso della sua deposizione davanti al Congresso americano, nel settembre scorso, era quello di convincere la politica che viviamo dentro un sistema economico che si basa sulla convinzione che i mercati finanziari, lasciati a se stessi, tendono all’equilibrio, mentre e’ vero esattamente il contrario: sono intrinsecamente instabili, prediligono gli eccessi, “ultimamente non agiscono come un pendolo ma come una di quelle palle d’acciaio usate per demolire gli edifici, abbattendo un’economia dopo l’altra”. Per preservare la societa’ aperta globale sono indispensabili percio’ istituzioni sovranazionali che regolino i mercati, che mettano degli argini, e incorporino le competenze e le conoscenze che spesso sono mancate.


Convochiamolo a Montecitorio
La “riflessivita’” di Soros e’ quel fenomeno per cui un banchiere che presta su garanzia tende a sopravvalutare i beni dati in garanzia per la stessa ragione per cui tiene al suo posto: l’eventuale errore non viene riconosciuto ma tenuto nascosto. Questo genere di errori si accumula a catena fino a che lo scarto tra valori attesi e valori reali provoca il crollo. I fondamentalisti del libero mercato globale sono coloro che non capiscono che esso porta con se’ questo vizio e che proiettandolo su scala planetaria produce disastri di costo molto elevato. Soros spiega nel libro come vorrebbe non certo abolire il capitalismo ma essenzialmente impedire al sistema di autodistruggersi. Ed ha anche qualche idea sull’Euro e sui rischi di una costruzione europea priva di qualche base fiscale e di controlli democratici diretti. Forse non sarebbe una cattiva idea, un giorno o l’altro, chiamarlo a deporre anche a Montecitorio.


George Soros, La crisi del capitalismo globale, Ponte alle Grazie, pp. 306, L.25.000

Questa e’ una nuova versione di un articolo apparso sull’Unita’ di lunedi’ 1 febbraio 1999


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