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Professione: diplomatico



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Si chiama S.I.O.I., Società italiana per l’organizzazione internazionale, ed è la più antica scuola di formazione per aspiranti diplomatici. Fondata nel lontano 1944, dal 48 organizza corsi di formazione per personale d’ambasciata e operatori O.N.U. Pensate che i suoi fondatori, personalità di varia estrazione politica, sensibili alle questioni internazionali, presenziarono persino alla firma della Carta delle Nazioni Unite, a San Francisco, nell’Aprile 1945.

Oggi esistono anche altre scuole che formano e preparano i futuri diplomatici, ma le statistiche affermano che il 40% dei vincitori al concorso per la carriera diplomatica proviene proprio da questa prestigiosa società (nel 2000, 23 dei 58 vincitori): “Un successo e una bella conquista - afferma Annamaria Riccardi, direttore del settore Formazione, alla quale ci rivolgiamo per saperne di più - La S.I.O.I. vuole essere una scuola di cultura internazionale. Col tempo i corsi sono aumentati, sia quelli istituzionali che i vari seminari. Uno degli scopi che ci prefiggiamo è quello di mettere in relazione le materie principali dei corsi - il diritto e l’organizzazione internazionali, le relazioni e l’economia internazionali - per far capire ai giovani laureati nostri allievi che si tratta di materie e settori interdisciplinari che spesso si collegano e si intersecano fra loro. Altra meta nuova e interessante è la formazione dei funzionari pubblici che lavorano o che ambiscono a lavorare nel settore internazionale del proprio ente o ministero e che vengono ai nostri corsi per aggiornarsi su queste questioni”.

Qual è il corso più antico della Società?

Quello di preparazione alla carriera diplomatica, che è anche il corso più ambito, grazie al fatto che immettiamo il maggior numero di persone nel mondo della diplomazia. Non è obbligatorio, ma vivamente consigliato dal Ministero degli Esteri, dura otto mesi per circa 500 ore di lezione, e prepara i giovani laureati nelle discipline richieste dal Ministero degli Esteri per la preparazione al concorso diplomatico: diritto internazionale, storia dei trattati, economia politica, politica economica e due lingue, l'inglese e un'altra a scelta del candidato, solitamente il francese. Ogni anno abbiamo 35, 40 persone che seguono il nostro corso dopo aver superato una selezione scritta e orale, alla presenza di funzionari del ministero degli esteri: una specie di concorso in miniatura.

Quali sono le altre vie d’accesso alla carriera diplomatica?

Per accedere alla carriera non si può non superare il concorso diplomatico bandito ogni anno dal Ministero degli Esteri, che offre 35 posti. Normalmente la prova scritta si svolge nel mese di settembre, e quella orale in dicembre. Le lauree ammesse sono diverse, da qualche anno sono accettate anche Lettere, Lingue, Sociologia, Filosofia, ma le più consigliate sono Scienze Politiche, Giurisprudenza, Economia e Commercio, Scienze statistiche e attuariali perché nel loro percorso di studi prevedono le stesse materie richieste per il concorso. Nel nostro corso ammettiamo le stesse facoltà previste dal Ministero.

Oltre alla preparazione nelle varie discipline giuridico-storico-politico-internazionali, il concorso alla carriera diplomatica prevede prove particolari?

Spesso il diplomatico, sia prima che dopo essere diventato ambasciatore, deve fare i conti con una sezione commerciale dell’ambasciata che deve mettere in contatto le imprese italiane con le opportunità di quel dato Paese. Per questo si è resa necessaria al concorso anche una prova facoltativa dedicata alla tecnica degli scambi commerciali internazionali. Capita poi che i temi d’economia riguardino argomenti che fanno parte del programma di tecnica degli scambi: le teorie del commercio internazionale, la globalizzazione, tutta una serie di materie che non sono economia pura. Noi organizziamo un corso inerente abbinato a quello della carriera diplomatica.


E’ vero che la carriera diplomatica spesso si tramanda di padre in figlio?

Adesso è un po’ falso. Come il figlio dell’ingegnere è più avvantaggiato qualora volesse intraprendere la carriera del padre, così è vero che i figli di diplomatici sin da piccoli vivono in un contesto in cui respirano già parole e argomenti riguardanti le questioni diplomatiche. Spesso e volentieri hanno frequentato scuole internazionali per cui conoscono molto bene due o tre lingue, e quindi hanno questo tipo di vantaggio. Tuttavia abbiamo avuto esempi eclatanti di persone che venivano da quel mondo, che hanno avuto una buona riuscita in altri campi, ma non nella carriera diplomatica.

Quindi la carriera diplomatica viene "ereditata di padre in figlio" in una percentuale molto piccola, così come avviene che il figlio di un magistrato diventi un po' più facilmente magistrato o quello di un notaio diventi notaio. Inoltre le assicuro che il concorso alla carriera diplomatica è se non il più “pulito”, sicuramente ai primissimi posti in questa classifica e ci sono degli esempi che avvalorano davvero la tesi della non-ereditarietà: figli di persone che fanno professioni lontanissime da quelle del mondo diplomatico, e che sono riusciti brillantemente in questa carriera. Il che per noi è una grossa soddisfazione.

Ci ricorda qualche nome illustre fra coloro che hanno seguito il corso?

Per fare un esempio, il direttore del centro Nazioni Unite, il dott. Staffan De Mistura. Il nostro presidente, l’ambasciatore La Rocca, ora in pensione, è stato segretario generale alla Farnesina, e nel suo ultimo incarico rappresentante d’Italia alle Nazioni Unite. Ci sono stati persino dei monsignori che poi evidentemente hanno seguito un altro tipo di vocazione.

Quali sono i requisiti per diventare un diplomatico o un operatore comunitario, oltre la laurea?

Una forte motivazione a questo tipo di carriere, che spesso e volentieri portano i candidati all’estero. La conoscenza di almeno due lingue, che non è una condicio sine qua non, ma è fortemente consigliata perché non si può girare il mondo sapendone solo una. E infine lo spirito di intraprendenza e la curiosità, perché le “materie” di insegnamento sono in continua evoluzione, e bisogna aggiornarsi e avere la curiosità di andare a vedere come funziona il mondo, quali sono le strategie che ciascun paese e organizzazione mettono in atto.

Quali altri corsi istituzionali organizzate per preparare alle carriere internazionali?

Il corso per le funzioni internazionali, che comprende all’interno un’ampia parte sul diritto umanitario; il corso per le relazioni internazionali ,che è fortemente orientato verso i concorsi banditi dalle organizzazioni internazionali in senso lato - O.N.U., O.C.S.E., F.A.O. E poi c’è il filone comunitario: il corso per operatore comunitario da cui escono diversi consulenti che poi sono diventati funzionari della Commissione Europea, di agenzie che gravitano intorno all’UE, o che lavorano presso strutture pubbliche oppure presso agenzie di supporto tecnico ai ministeri proprio riguardo ai programmi comunitari, ai famigerati fondi strutturali.


Di che cosa si tratta?

L’Unione Europea mette a disposizione dei propri Paesi membri delle cospicue risorse finanziarie a favore di quelle regioni che si devono dotare di infrastrutture, dalle autostrade agli ospedali, e che hanno un reddito pro capite inferiore al 75% della media europea. Vi rientrano Campania, Sicilia, Sardegna, Puglia e Calabria. Noi S.I.O.I. contribuiamo informando i funzionari della pubblica amministrazione a livello centrale e periferico, provenienti dai ministeri o dalle regioni e dai comuni, su come si accede e si gestiscono questi fondi strutturali e quindi questi soldi, come si riescono a far arrivare in Italia dall’UE, e quindi come seguire l’iter dei progetti.

Il che può sembrare una banalità ma non lo è, tant’è vero che due anni fa l’Italia aveva l’obiettivo dello sfruttamento del 38% dei fondi: c’erano centinaia di migliaia di miliardi che non si riusciva a spendere per intero, perché non si sapeva bene come gestirli. Uno dei nostri corsi riguarda proprio la ricerca di finanziamenti europei, quindi tutte le opportunità sia a livello privato che a livello pubblico per usufruire di questi finanziamenti. E dopo questo corso, gli allievi seguiranno uno stage presso imprese, enti pubblici o privati di chiara fama, con buone probabilità di impiego.

Quali sono le altre figure lavorative in espansione che voi preparate?

Una figura richiesta è il documentalista europeo, che non è la figura classica del bibliotecario, perché deve saper mettere le mani nella documentazione che viene prodotta e catalogata ogni giorno dalle Nazioni Unite, dalle altre organizzazioni internazionali e dai centri di documentazione europei internazionali secondo codici particolari. Ogni giorno l’UE pubblica gazzette di diverse serie, quella legislativa, quella delle comunicazioni, e i bandi di gara. A questa documentazione cartacea si aggiunge anche tutta l’informazione che proviene da banche date e Internet. Quindi il documentalista deve tenersi costantemente aggiornato sui nuovi sistemi di ricerca che possono essere molto utili soprattutto al sistema Italia, dove le imprese devono poter sapere in tempo reale quali sono le opportunità di espandersi altrove.

Quelli per documentalisti sono corsi brevi di circa una settimana ma molti intensi che riguardano tutti i sistemi di ricerca della documentazione necessaria sia agli studiosi che agli imprenditori. Un’altra possibilità per i giovani laureati è data dai bandi di concorso che la Commissione europea periodicamente indice su tutto il territorio dell’UE in seguito ai pensionamenti o perché aumenta il lavoro. Sono concorsi generali, che hanno caratteristiche diverse dai concorsi ai quali siamo abituati in Italia, per cui la nostra società prepara a queste diverse tipologie. Questi concorsi sono banditi sulla gazzetta ufficiale dell’UE, i corsi della S.I.O.I. vengono invece annunciati tramite il Ministero degli Esteri.

Alla fine di quasi tutti i corsi sono previsti viaggi-studio facoltativi: quali sono le mete più gettonate?

Ci piace dare ai partecipanti dei nostri corsi l’opportunità di vedere da vicino e dialogare con le organizzazioni internazionali presenti in Europa. Andiamo alla NATO, dove, ora che la minaccia sovietica non c’è più, è possibile osservare la riconversione dell’organizzazione che porta aiuti e intelligence, mantiene la pace, e interviene al posto delle forze di pace dell’Onu laddove quest’ultime risultano inefficaci. Poi si va al Parlamento europeo, l’organo politico dell’UE. Andiamo anche alla Commissione Europea a intervistare alti funzionari per capire quali sono i programmi rispetto alla politica sociale, finanziaria, alle relazioni esterne, come si pone l’UE rispetto agli altri Paesi e alle altre organizzazioni. Andiamo anche alla Corte di giustizia della comunità europea, a Lussemburgo, per studiare come il cittadino si può rivolgere a questa corte per veder i propri diritti rispettati e se può farlo singolarmente o attraverso il proprio Stato. E ancora, andiamo al Consiglio d’Europa, al quale aderiscono anche Nazioni che non fanno parte dell’UE e che si interessano di diritti umani.

A proposito di diritti umani, voi organizzate anche un corso di aggiornamento su come ‘insegnare i diritti umani’.

In occasione del cinquantesimo anniversario dei diritti umani, tramite diversi convegni, pubblicazioni e corsi, ci premeva far conoscere i grandi passi avanti compiuti rispetto ai temi umanitari. E’ molto importante conoscere per esempio perché l’UE prevede di non avere rapporti commerciali con quei Paesi nei quali i diritti umani non vengono rispettati. Sembra una banalità, ma può mettere in ginocchio un Paese; è una sorta di costrizione. Tante volte gli operatori che vanno in un Paese diverso dal nostro si scontrano con tradizioni culturali religiose di anni e anni, per cui per quei popoli agire in una certa maniera non è una mancanza di rispetto di diritto umano, fa parte della loro cultura. In questi casi bisogna veramente insegnar loro che c’è una dignità umana, dei canoni minimi da rispettare.

A noi occidentali del primo mondo sembra assurdo che non si possano comprendere queste regole minime, mentre invece adesso, come si vede soprattutto per le religioni e gli integralismi, i canoni di rispetto dei diritti umani sono veramente molto differenti dai nostri, per cui c’è assolutamente bisogno di far capire che è necessario interagire con questi popoli nel rispetto anche della loro cultura.


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