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Letti per voi/Le feluche nell'urna



Maurizio Molinari




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Questo articolo è apparso su la Stampa  del 26 ottobre

Esclusa dai seggi non permanenti del Consiglio di Sicurezza, sconfitta nella corsa all’Alto Commissariato per i Rifugiati, costretta a repentine marce indietro dalle gaffes di alcuni dei diplomatici più in vista e bersagliata dalle polemiche in Parlamento: al termine dei suoi cento giorni più neri la politica estera italiana non sembra neanche lontana parente di quella con cui il centrosinistra dal 1996 ha affrontato crisi difficili (Albania, caso-Ocalan e Kosovo) e conquistato spazio su scenari di primo piano (Iran, Algeria, Corea del Nord e Libia), grazie a sostegni anche del centrodestra.

Dopo aver visto profilarsi - per la prima volta dal dopoguerra - una diplomazia bipartisan di maggioranza e opposizione, tutto sembra svanito. Le ragioni sono due. Primo. L’equilibrio fra Palazzo Chigi e Farnesina è peggiorato rispetto al periodo Prodi-D’Alema. Amato e Dini hanno avuto due candidati diversi all’Alto Commissariato per i Rifugiati - Emma Bonino e Gian Giacomo Migone - e hanno sovrapposto messaggi diversi su temi delicati come le riforme europee: il premier è stato più attento alle posizioni di Gran Bretagna e Stati minori, il ministro degli Esteri a quelle franco-tedesche.



Doppi orientamenti e doppie candidature hanno disorientato sia i partner europei che le feluche nostrane. In balia di troppi registi la politica estera si è ridotta a tatticismi, dimenticando le questioni di fondo: non si può puntare alla guida dell’Alto Commissariato se il nostro Paese è la maglia nera dell’intero Pianeta per l’accoglienza ai rifugiati. Secondo. La politica estera bipartisan è la prima vittima della campagna elettorale. La maggioranza ha mostrato troppa fretta nel voler cogliere un risultato di prestigio. Prodi colse il suo successo internazionale con l’“Operazione Alba”, D’Alema con la guerra in Kosovo. Amato ha cercato di non essere da meno.

Ma la fretta non giova in politica estera: la corsa al seggio non permanente dell’Onu era già iniziata in ritardo rispetto a Norvegia e Irlanda (che l’hanno vinta) ma è stata conclusa “con arroganza”, come ha ammesso l’ambasciatore a New York Sergio Vento; la spettacolare offerta di ospitare il summit sul Medio Oriente non è vissuta lo spazio di un mattino. Anche l’opposizione ha mostrato troppa fretta nel crucifiggere la maggioranza per le sconfitte subite, facendo prevalere sull’analisi delle cause (non tutte imputabili al governo) l’interesse immediato di trovare armi appuntite per la campagna elettorale.

Una politica estera davvero bipartisan si fa anche evitando di strumentalizzare a fine interni le sconfitte subite dal Paese sulla scena internazionale. Le indiscrezioni che trapelano dalla Farnesina su candidature eccellenti alle prossime elezioni confermano che in Italia quando si avvicinano le urne la diplomazia si allontana. E questo non promette bene per la prossima battaglia all’Onu, quella decisiva sulla riforma del Consiglio di Sicurezza.


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