Ottobre nero al Palazzo di vetro
Francesco Paolo Fulci con Antonia Anania
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Inizierà a novembre una nuova battaglia per l’Italia all’Onu
(ed è strano parlare di “battaglia” all’interno dell’organizzazione
del peacekeeping mondiale): far passare una riforma del Consiglio di
sicurezza il più possibile favorevole al nostro Paese, che esce da un
“Ottobre nero”, come è stato definito dall’ex ambasciatore all’Onu
Francesco Paolo Fulci.
Su tutti i giornali si è scritto dell’Italia sconfitta all’elezione
per un seggio non permanente all’interno del Consiglio di sicurezza
Onu (vinto invece da Norvegia e Irlanda); su tutti i giornali adesso
si scrive della sconfitta delle candidature italiane (Emma Bonino e
Gian Giacomo Migone) all’Alto commissariato per i rifugiati. Che
cosa sta succedendo? Siamo davvero così invisi?
Abbiamo incontrato Francesco Paolo Fulci nel suo ufficio romano a
poche centinaia di metri dal Quirinale. Ci accoglie in un ambiente
luminoso dove l’attenzione e la curiosità cadono anche su alcune
foto importanti, che segnano le tappe della carriera diplomatica di
Fulci. In una appare accanto a Madeleine Albright che sigla: “Your
diplomacy is a legend”; altre riprendono alcuni ‘suoi’ ministri
degli Esteri: l’ultimo è Dini, che dedica: “All’ambasciatore di
ferro”. E poi c’è una bella foto che raffigura Gaetano Martino
(padre dell’onorevole Antonio Martino di Forza Italia), ministro
degli Esteri negli Anni 50 e organizzatore della Conferenza di Messina
da cui prese le mosse la Comunità Europea. La memoria di Martino
viene celebrata in questi giorni con alcune manifestazioni e con l’uscita
di un francobollo che riprende proprio la foto che Fulci ha nel suo
ufficio.
Tra le parole e i toni che l’ex-ambasciatore usa in questa
intervista, emergono tanta amarezza e la convinzione che i nuovi
rappresentanti italiani all’Onu non siano gli uomini giusti al posto
giusto. Con voce pacata, Fulci ci spiega alcune problematiche spesso
soltanto accennate sui giornali.

Si parla tanto in questi giorni della riforma del Consiglio di
sicurezza. Può spiegarci di che cosa si tratta?
La riforma del Consiglio di sicurezza è un problema estremamente
delicato in cui mi sono subito imbattuto appena arrivato all’Onu,
nell’aprile del 1993. In pratica due Paesi che avevano perduto la
Seconda Guerra Mondiale assieme a noi, la Germania e il Giappone,
a cinquant’anni dalla fine della guerra, giustamente pretendevano
di essere integrati tra i principali Paesi del Consiglio di sicurezza,
ottenendo un seggio permanente con diritto di veto, così come nel
1945 se lo erano autoassegnato i cinque grandi vincitori della Seconda
Guerra Mondiale: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia,
l’allora Unione Sovietica e la Cina.
Quali potevano essere le insidie per l’Italia?
Per noi era molto insidioso soprattutto il fatto che si era creato
un legame da un lato tra queste due potenze, Germania e Giappone,
e dall’altro tra alcune potenze emergenti del Terzo Mondo, in particolare
l’India per l’Asia, il Brasile per l’America Latina e la Nigeria
per l’Africa, che ambivano anch’esse al ruolo di membro permanente
delle Nazioni Unite. E, cosa ancora più preoccupante, a un certo
punto con l’aiuto di uno dei Presidenti dell’assemblea generale,
l’ambasciatore Razali, queste potenze vennero fuori con un accordo
che se ora dovesse passare, farebbe precipitare l’Italia nella serie
D delle Nazioni Unite.
Perché?
Perché in base al disegno di Razali, pienamente sostenuto da Stati
Uniti, Francia e Gran Bretagna, il futuro assetto dovrebbe prevedere
nel consiglio di sicurezza: al vertice i cinque membri permanenti
attuali con diritto di veto, poi due membri permanenti nuovi, senza
diritto di veto, cioé Germania e Giappone, e come terza categoria,
i più importanti Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.
E qui si crea un altro problema: i Paesi concorrenti di India, Nigeria
e Brasile, rispettivamente il Pakistan e l’Indonesia, il Messico
e l’Argentina, l’Egitto e l’Africa del Sud - per non parlare di
altri - non sono d’accordo che ci siano tre Paesi egemoni (che mirano
al seggio fisso) provenienti dai rispettivi continenti e quindi
hanno chiesto di inventare la formula dei membri permanenti a rotazione,
che costituirebbero la terza categoria. Dunque l'Italia rientrerebbe
inevitabilmente nella categoria di serie D. Cosa assolutamente inaccettabile
per una nazione che è il quinto maggior contribuente in termini
finanziari e il terzo maggior contribuente in termini di truppe
per le operazioni di pace dell’Onu. Questo è un trattamento che
assolutamente non accettiamo né meritiamo.
Che fare?
Ci siamo opposti, con una battaglia durata sette anni, e abbiamo
impugnato la bandiera della democrazia. Abbiamo detto: “Cinque
membri permanenti sono già cinque di troppo”. Naturalmente non
possiamo eliminare la qualifica di membro permanente, perché nello
statuto le cose sono messe in modo tale che il diritto di veto non
può essere tolto senza il consenso dei membri stessi. E’ chiaro che
loro non lo daranno mai, ma perlomeno evitiamo di aggravare la
situazione, e soprattutto rendiamo l’organismo più democratico,
perché se l’onda del tempo conduce tutti i Paesi verso la
democrazia, persino la Cina, francamente non si capisce perché l’Onu
debba restare il baluardo dell’oligarchia.
Qual è stato il primo successo di questa “battaglia”?
Quando siamo riusciti a far passare una risoluzione in cui si dice che
qualunque decisione riguardante il Consiglio di sicurezza dev’essere
presa con una maggioranza di due terzi dei Paesi membri dell’Onu. I
membri sono 189, quindi due terzi significa 126. Naturalmente ciò
costituisce una diga, ma non toglie che alcune potenze continuino a
lottare: per esempio il Giappone, che è convinto di riuscire ad
acquisire il sostegno necessario per poter diventare membro fisso
senza diritto di veto.
Che cosa avrebbe comportato vincere un seggio non permanente?
Io avevo spinto perché l’Italia si candidasse all’elezione al
seggio non permanente proprio perché sapevo che, se uno è membro del
Consiglio, è molto più forte nell’affrontare la grande battaglia,
e anche per altre ragioni: perché fra due anni avremmo dovuto
competere con Germania e Spagna, e non c’era possibilità di
vittoria, e anche perché la nomina del nuovo segretario generale o la
riconferma dell’attuale avrà luogo a dicembre dell’anno prossimo
e quindi era bene essere dentro, in un momento cruciale per la vita
dell’organizzazione. Così come lo fummo nel 1995 quando l’Italia
era nel Consiglio di sicurezza e quando, nel dicembre del 1996, sotto
la mia presidenza venne nominato Kofi Annan segretario generale.
Purtroppo la disgrazia ha voluto che l’Italia non sia stata
rieletta, con tutte le polemiche che ne sono nate.
Un quotidiano norvegese ha scritto di arroganza, in riferimento al
fatto che gli italiani hanno presentato la candidatura per il seggio
non permanente in ritardo e avevano fatto parte del Consiglio ‘molto
di recente’ rispetto alla Norvegia, che mancava invece da oltre 20
anni, così come l’Irlanda.
Concorrere al Consiglio di sicurezza non è come prenotare una
poltrona a teatro, per cui chi la prenota prima la ottiene. La
Norvegia è un Paese di quattro milioni di abitanti e noi siamo 58
milioni. Inoltre diamo all’Onu un contributo di gran lunga superiore
a quello norvegese. E’ facile in questo momento parlare agli
sconfitti, ma altre volte avevamo prevalso, e non c’era motivo per
cui non prevalessimo anche questa volta. Purtroppo sono stati commessi
una serie di errori sul campo ed è sul campo che viene vinta o persa
una battaglia. E poi un’altra cosa: si scrive che l’Italia non
poteva candidarsi perché aveva occupato un seggio permanente fino a
quattro anni prima. Che discorsi sono? Anche Paesi come l’Argentina,
il Brasile, l’India, il Giappone si candidano non dopo quattro anni,
ma dopo due anni che sono stati in Consiglio. L’Italia perché non
avrebbe dovuto fare lo stesso? E poi già nel 1981 noi eravamo Stati
membri del Consiglio di sicurezza e lo fummo, subito, due anni dopo.
Non era scritto da nessuna parte che non si dovesse fare. Non si può
parlare dunque di arroganza
Perché l’America non ha appoggiato l’Italia in questa
candidatura?
L’America è stata per me una sorpresa abbastanza dolorosa.
Aveva sempre sostenuto l’Italia, ma perché i nostri rappresentanti
si erano appoggiati sempre agli italo-americani e anche questa volta,
io sono riuscito a resistere per sette anni perché mi appoggiavo
molto agli italo-americani, che nei frangenti più difficili mi hanno
trattenuto e sempre aiutato. Evidentemente questo appoggio non viene
più sollecitato adeguatamente.
Quale potrebbe essere dunque il motivo di queste sconfitte, ‘coree’
annunciate, e via dicendo? Non siamo più sostenuti dagli altri Paesi?
Non è questione dell’appoggio degli altri Paesi. Io mi sono fatto
un concetto molto preciso: sono gli uomini che determinano i successi
e gli insuccessi. E’ questione di metodo: come nella vita, alcuni
riescono sempre a prevalere sugli altri. Io sono convinto che sia
sempre una questione di uomini, soprattutto e fondamentalmente di
uomini. Bisogna portare avanti uomini esperti, dedicati e devoti alla
patria, che veramente abbiano il senso del servizio. E ci sono.
Secondo me, questa battaglia non è stata condotta come quelle degli
scorsi sette anni. E ora mi aspetto il peggio, perché naturalmente i
giapponesi torneranno all’attacco, forti di questa nostra sconfitta,
ed è possibile che riescano a raggiungere la soglia famosa dei cento
voti, solo per se stessi e non per gli altri loro alleati. Infatti per
l’India, il Brasile, la Nigeria, le difficoltà sono maggiori. E mi
auguro che ciò continuerà a bloccare le ambizioni di Germania e
Giappone.
Quale potrebbe essere il modo per salvare l’Italia dalla serie D?
Ritengo che l’unica soluzione potrebbe essere dare il seggio che la
Germania vorrebbe per sé all’Unione Europea in quanto tale. In
questo modo si verrebbe a costituire un vero laboratorio in cui si fa
e si è costretti a fare la politica estera comunitaria. Dopo l’unità
monetaria con l’euro, non c’è dubbio che le prossime tappe per
ottenere un’Europa veramente unita siano la politica estera e la
politica di sicurezza. Dall’anno prossimo l’UE ha ben tre seggi
all’interno del Consiglio di sicurezza: quelli permanenti di Francia
e Gran Bretagna, e quello non permanente dell’Irlanda (la Norvegia
non fa parte dell’UE). Io credo che bisognerebbe suggerire loro di
fare quello che io avevo già proposto: inserire nelle loro
delegazioni alcuni rappresentanti dell’Europa che ascoltino in un
primo tempo a nome dell’Europa e che in un secondo tempo
intervengano anche a nome dell’Europa, per creare un laboratorio
comune tra i Paesi europei membri del Consiglio di sicurezza, che sia
quantomeno un embrione di questo seggio europeo, all’interno di una
o di tutte e tre le delegazioni europee.
Dunque l’Italia è d’accordo sulla formula dei seggi
permanenti?
No, noi siamo contro nuovi seggi permanenti, ma se si deve a
qualunque costo arrivare al seggio permanente, che questo seggio venga
dato all’UE e non alla Germania.
C’è solo questa possibilità per l’Italia?
No, l’altra idea è quella di sottoscrivere anche noi la
proposta dei seggi permanenti a rotazione, una definizione che può
sembrare una contraddizione interna, un ossimoro, ma che in realtà
significa seggio a rotazione. Il che ci potrebbe stare bene perché
questa è, mutatis mutandis, l’originaria proposta italiana
di avere dei seggi non permanenti a rotazione più frequente. Dire
seggio non permanente a rotazione più frequente e dire seggio
permanente a rotazione per me sono sinonimi.
C’è già qualche avvisaglia?
Temo che la battaglia sarà aperta dai giapponesi dalla metà di
novembre, e guardo alla prospettiva con grande trepidazione perché
bisogna vedere che cosa saprà fare la nostra delegazione: tutto
dipende dagli uomini perché se lei mette alla testa delle istituzioni
più fiorenti degli uomini che non sono veramente capaci e dediti al
loro incarico, è la rovina. E purtroppo tra il seggio non permanente
che è sfumato e l’Alto commissariato che non abbiamo ottenuto,
stanno collezionando una serie di smacchi quali mai l’Italia aveva
avuto finora. E’ stato veramente un Ottobre nero.
Che cosa consigliare dunque all’Italia per affrontare al meglio
il nuovo impegno di novembre?
Che giochi d’anticipo e che si presenti d’accordo con la riforma
che prevede seggi permanenti e seggi non permanenti, a condizione che
i seggi permanenti siano a rotazione, muniti del diritto di veto. E
questa linea sarà vincente nel momento in cui oltre al favore di
tutti i 53 Paesi africani otterrà anche il nostro appoggio, quello
dei Paesi cosiddetti del Coffee Club, quantomeno per impedire agli
altri di raggiungere i famosi 126 voti.
Perché si chiamano Paesi del Coffee Club?
Perché ci riunivamo ogni martedì mattino all’ora del caffè, alle
nove. Una consuetudine mutuata dalle opposizioni in Gran Bretagna.
Prima ancora che si escogitassero i Governi ombra, come li chiamano
ora, c'erano i Governi del caffè: coloro che erano in pectore
ministri dell’opposizione, si riunivano a prendere il caffè. E da
quello fu mutuato il nome Coffee Club.
Ci regala un ricordo dei suoi anni passati all’Onu?
Nei sette anni trascorsi al Palazzo di vetro, non scorderò mai che
abbiamo collezionato ben 27 vittorie, e abbiamo perduto una volta sola
per un voto, a una piccola elezione. E questo aveva creato un’aura
di invincibilità, d’imbattibilità per l’Italia: ogni volta che
ci presentavamo, gli altri addirittura si ritiravano e non era più
necessario andare alle urne. E ogni volta che passavo per i corridoi
dell’Onu e incontravo l’ambasciatore del Laos, lui sollevava la
mano facendo il segno di vittoria di Churchill, dicendo: “Ambassador
Paolo, Italy is invincible”, l’Italia è invincibile. Il che
voleva dire che attraverso l’ambasciatore era il Paese che veniva
rispettato ed esaltato.
Quali sono invece i futuri progetti di Francesco Paolo Fulci?
Francesco Paolo Fulci per ora è ben felice di fare quello che sta
facendo: ricoprire la vicepresidenza alla Ferrero International, e
completare il mio mandato, che scade a febbraio prossimo, come membro
del comitato per i diritti per l’infanzia. E poi il futuro è in
grembo a Giove.
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