| Eppure l’Europa chiedeva controlli 
 
 
 Michela Gentili
 
 
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 Eppure l’Europa chiedeva
          controlli
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 “Chiunque sia collegato alla produzione televisiva deve avere una
          patente, una licenza, un brevetto, che gli possa essere ritirato a
          vita qualora agisca in contrasto con certi principi.”
 
 Le parole di Karl Popper, che tanto avevano scosso l’opinione
          pubblica all’uscita del libro Cattiva maestra televisione,
          pubblicato da “Reset” nel 1994, risuonano più attuali che mai
          dopo l’episodio di ieri, che ha visto il passaggio in TV in prima
          serata di immagini a dir poco sconcertanti. Scene di cruda pedofilia
          sono state trasmesse dal Tg3, e subito dopo anche dal Tg1, nonostante
          l’immediata richiesta di censura, senza che i rispettivi direttori
          si preoccupassero di tutelare la dignità degli spettatori, ma
          soprattutto la sensibilità e l’innocenza dei minori.
 
 Eppure non è stato solo Popper ad accorgersi della potente influenza
          che un uso negativo della televisione può avere sullo sviluppo
          psicologico dei bambini, visto che la stessa Comunità Europea sta
          affrontando da anni questo problema nel tentativo di definire un
          quadro chiaro di autoregolamentazione a livello nazionale.
 
 
 A tal proposito, il 24 settembre 1998 il Consiglio Europeo ha
          approvato una “Raccomandazione” al fine di assicurare in modo
          efficace la tutela dei minori e della dignità umana nei servizi
          audiovisivi e d’informazione. Si tratta di un tentativo di stabilire
          un vero e proprio codice di comportamento per un utilizzo responsabile
          del mezzo televisivo che metta a disposizione degli utenti le
          informazioni sulle trasmissioni.
 
 In particolare, si legge che “i contenuti legalmente consentiti
          nocivi allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori dovrebbero
          essere presentati, ogni volta che ciò sia possibile, in modo da
          fornire agli utenti un minimo di informazione sul loro carattere
          potenzialmente pregiudizievole sui minori”. La diffusione di
          contenuti violenti o “pornografici” dovrebbe essere quindi
          accompagnata all’uso di dispositivi di tutela come una pagina di
          avvertenza, un segnale sonoro o visivo, un’etichettatura descrittiva
          o una classificazione degli argomenti.
 
 
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