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Più rispetto per i bambini



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I fatti di cronaca che conquistano le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali sono spesso colorati di tinte scabrose, sono episodi che colpiscono la moralità e il senso di civiltà di ciascun lettore e telespettatore. La natura stessa di tali fatti rende problematico il modo di raccontarli, di renderli noti senza offendere il pudore e la sensibilità di chi fruisce dell’informazione, soprattutto se si pensa che di fronte al televisore non c’è soltanto un pubblico adulto ma anche minorenni ai quali immagini particolarmente crude e violente non possono certo giovare.

Proprio il resoconto di uno di questi fatti di cronaca ha generato ieri sera una vera e propria bufera negli ambienti della Rai e di tutto il mondo dell’informazione.

La notizia è quella di un raccapricciante mercato via Internet di immagini di sesso e di violenza che avevano come protagonisti dei bambini, un vero e proprio commercio internazionale di materiali pornografici fra pedofili. Un episodio da raccontare, un fatto da portare davanti agli occhi dei telespettatori. Ma in che modo? I telegiornali di Rai Uno e di Rai Tre hanno deciso di mandare in onda in prima serata servizi corredati da immagini esplicite sull’argomento in questione.

Immediata la reazione del direttore del Tg1 Gad Lerner che si è assunto la completa responsabilità dell’increscioso errore nato da un mancato funzionamento dei meccanismi di controllo del lavoro redazionale. Nino Rizzo Nervo, direttore del Tg3, ha aspettato l’edizione delle 22 e 45 per presentare al pubblico le proprie scuse. La cosa ovviamente la mattina seguente ha avuto il suo seguito. I direttori dei telegiornali incriminati hanno presentato le loro dimissioni, mentre i vertici della Rai hanno annunciato sospensioni e seri provvedimenti nei confronti di redattori e quanti altri coinvolti nella poca accortezza della redazione. Un vero e proprio sconvolgimento si preannuncia all’interno della Rai.

Ovviamente è bene che i responsabili di un fatto così increscioso vengano puniti, ma un’altra questione rimane comunque aperta. Non è proprio possibile tutelare i bambini che guardano la televisione? Quali strumenti mancano affinché non si corra il rischio di lasciarli indifesi in balia della violenza e dell’efferatezza delle immagini e delle parole che corrono alla caccia dell’audience ma che lasciano da parte il più piccolo vincolo morale ed educativo?

Abbiamo posto la questione alla professoressa Marina D’Amato, docente di Sociologia della Comunicazione di Massa all’Università Roma Tre.


Professoressa, non esiste una Commissione di controllo sui media che possa impedire che fatti come questo possano ripetersi?

Esiste una Commissione Nazionale degli Utenti, della quale faccio parte. Esistono inoltre le leggi di tutela sui diritti dei bambini, il Comitato sui minori della Presidenza del Consiglio due anni fa ha stilato un Codice che è stato sottoscritto dalle emittenti. Ma organismi come il Comitato Nazionale degli Utenti possono agire dopo che un fatto, come la messa in onda di immagini lesive nei confronti della sensibilità e dell’etica dei bambini, è già avvenuto.

C’è anche un codice deontologico che lega tutti i membri della professione giornalistica; gli stessi giornalisti hanno accettato e sottoscritto la Carta di Treviso nella quale si afferma la tutela e il rispetto del bambino come uno degli obiettivi fondamentali dell’informazione. La Carta di Treviso altro non è che la sintesi della nostra Carta Costituzionale, la quale si ispira al principio del maggior vantaggio: essa cioè predilige il vantaggio dell’infanzia in ogni sua predisposizione. Da questo principio derivano tutte le leggi che riguardano i minori sia in ambito civile che penale.

Per i media esiste una norma che si rifà alla legge Mammì e che prevede l’impossibilità di diffondere manifestazioni che non solo turbino l’equilibrio dei minori, ma soprattutto ledano la rappresentazione dell’infanzia.

Quindi l’impianto normativo è forte ma non ci sono istituzioni in grado di prevenire episodi come quello di ieri sera.

Le leggi ci sono. Il problema è che l’Italia è un Paese in cui esistono quattordici codici di autoregolamentazione, da quello dei giornali a quello della pubblicità a quello televisivo della Rai. Una situazione, questa, che finisce per realizzare una strategia di alibi e non d’intervento. Quando i codici diventano un alibi piuttosto che una prassi il problema, come è successo in questi giorni, può diventare reale.

Nessuna garanzia certa, dunque, per i bambini che guardano la televisione?

La prevenzione è essenziale, ma quella più efficace è legata alla professionalità dei giornalisti, alla loro umanità, al loro senso di rispetto dell’essere umano. Sono questi i termini all’interno dei quali deve muoversi il lavoro di chi fa informazione, e che impediscono di compiere gesti come quelli dell'altra sera in cui, anche se con lo scopo di stigmatizzare un’iniziativa, c’è stato un utilizzo errato della manifestazione dell’infanzia. La pedofilia non è soltanto la mercificazione dei bambini ad opera di singoli individui, essa rappresenta un problema sociale quando reifica massmediologicamente un’intera condizione umana, quella dell’infanzia.


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