Più rispetto per i bambini
Marina D'Amato con Mauro Buonocore
Articoli collegati
La
vendetta di Popper
Più rispetto per i bambini
Eppure l’Europa chiedeva
controlli
Letti per voi/Sì, Popper aveva ragione
I fatti di cronaca che conquistano le prime pagine dei quotidiani e le
aperture dei telegiornali sono spesso colorati di tinte scabrose, sono
episodi che colpiscono la moralità e il senso di civiltà di ciascun
lettore e telespettatore. La natura stessa di tali fatti rende
problematico il modo di raccontarli, di renderli noti senza offendere
il pudore e la sensibilità di chi fruisce dell’informazione,
soprattutto se si pensa che di fronte al televisore non c’è
soltanto un pubblico adulto ma anche minorenni ai quali immagini
particolarmente crude e violente non possono certo giovare.
Proprio il resoconto di uno di questi fatti di cronaca ha generato
ieri sera una vera e propria bufera negli ambienti della Rai e di
tutto il mondo dell’informazione.
La notizia è quella di un raccapricciante mercato via Internet di
immagini di sesso e di violenza che avevano come protagonisti dei
bambini, un vero e proprio commercio internazionale di materiali
pornografici fra pedofili. Un episodio da raccontare, un fatto da
portare davanti agli occhi dei telespettatori. Ma in che modo? I
telegiornali di Rai Uno e di Rai Tre hanno deciso di mandare in onda
in prima serata servizi corredati da immagini esplicite sull’argomento
in questione.
Immediata la reazione del direttore del Tg1 Gad Lerner che si è
assunto la completa responsabilità dell’increscioso errore nato da
un mancato funzionamento dei meccanismi di controllo del lavoro
redazionale. Nino Rizzo Nervo, direttore del Tg3, ha aspettato l’edizione
delle 22 e 45 per presentare al pubblico le proprie scuse. La cosa
ovviamente la mattina seguente ha avuto il suo seguito. I direttori
dei telegiornali incriminati hanno presentato le loro dimissioni,
mentre i vertici della Rai hanno annunciato sospensioni e seri
provvedimenti nei confronti di redattori e quanti altri coinvolti
nella poca accortezza della redazione. Un vero e proprio
sconvolgimento si preannuncia all’interno della Rai.
Ovviamente è bene che i responsabili di un fatto così increscioso
vengano puniti, ma un’altra questione rimane comunque aperta. Non è
proprio possibile tutelare i bambini che guardano la televisione?
Quali strumenti mancano affinché non si corra il rischio di lasciarli
indifesi in balia della violenza e dell’efferatezza delle immagini e
delle parole che corrono alla caccia dell’audience ma che lasciano
da parte il più piccolo vincolo morale ed educativo?
Abbiamo posto la questione alla professoressa Marina D’Amato,
docente di Sociologia della Comunicazione di Massa all’Università
Roma Tre.

Professoressa, non esiste una Commissione di controllo sui media
che possa impedire che fatti come questo possano ripetersi?
Esiste una Commissione Nazionale degli Utenti, della quale faccio
parte. Esistono inoltre le leggi di tutela sui diritti dei bambini, il
Comitato sui minori della Presidenza del Consiglio due anni fa ha
stilato un Codice che è stato sottoscritto dalle emittenti. Ma
organismi come il Comitato Nazionale degli Utenti possono agire dopo
che un fatto, come la messa in onda di immagini lesive nei confronti
della sensibilità e dell’etica dei bambini, è già avvenuto.
C’è anche un codice deontologico che lega tutti i membri della
professione giornalistica; gli stessi giornalisti hanno accettato e
sottoscritto la Carta di Treviso nella quale si afferma la tutela e il
rispetto del bambino come uno degli obiettivi fondamentali dell’informazione.
La Carta di Treviso altro non è che la sintesi della nostra Carta
Costituzionale, la quale si ispira al principio del maggior vantaggio:
essa cioè predilige il vantaggio dell’infanzia in ogni sua
predisposizione. Da questo principio derivano tutte le leggi che
riguardano i minori sia in ambito civile che penale.
Per i media esiste una norma che si rifà alla legge Mammì e che
prevede l’impossibilità di diffondere manifestazioni che non solo
turbino l’equilibrio dei minori, ma soprattutto ledano la
rappresentazione dell’infanzia.
Quindi l’impianto normativo è forte ma non ci sono istituzioni
in grado di prevenire episodi come quello di ieri sera.
Le leggi ci sono. Il problema è che l’Italia è un Paese in cui
esistono quattordici codici di autoregolamentazione, da quello dei
giornali a quello della pubblicità a quello televisivo della Rai. Una
situazione, questa, che finisce per realizzare una strategia di alibi
e non d’intervento. Quando i codici diventano un alibi piuttosto che
una prassi il problema, come è successo in questi giorni, può
diventare reale.
Nessuna garanzia certa, dunque, per i bambini che guardano la
televisione?
La prevenzione è essenziale, ma quella più efficace è legata
alla professionalità dei giornalisti, alla loro umanità, al loro
senso di rispetto dell’essere umano. Sono questi i termini all’interno
dei quali deve muoversi il lavoro di chi fa informazione, e che
impediscono di compiere gesti come quelli dell'altra sera in cui,
anche se con lo scopo di stigmatizzare un’iniziativa, c’è stato
un utilizzo errato della manifestazione dell’infanzia. La pedofilia
non è soltanto la mercificazione dei bambini ad opera di singoli
individui, essa rappresenta un problema sociale quando reifica
massmediologicamente un’intera condizione umana, quella dell’infanzia.
Articoli collegati
La
vendetta di Popper
Più rispetto per i bambini
Eppure l’Europa chiedeva
controlli
Letti per voi/Sì, Popper aveva ragione
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |