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Se conta più l'intrigo dell'intreccio (pagina 2)

Paola Damiani

 

Da qualche anno, dopo il duello all'ultimo voto fra Roberto Calasso e Giuseppe Pontiggia nel 1989, lo scrutinio finale dello Strega, stancamente seguito dalla diretta televisiva, riserva poche sorprese e il vincitore ha sempre un largo margine di voti. Anche quest'anno comunque sono state rispettate alcune tappe tradizionali: si è consumato il rifiuto della competizione da parte di un autore prestigioso come Eugenio Scalfari con il suo romanzo "Labirinto" (negli anni passati si erano ritirati Giovanni Macchia e Luigi Malerba) e il vincitore è stato quello che tutte le indiscrezioni davano per favorito: Enzo Siciliano, autore de "I bei momenti",  una biografia di Mozart.

Fuori dal movimentato universo del premio Strega, le cose sembrano avere un corso più lineare. Il premio Campiello, nato a Venezia nel 1963 su iniziativa della Unione Industriali del Veneto,  seleziona cinque titoli indicati da una giuria tecnica molto ristretta, 14 membri in carica per due anni. Il vincitore viene scelto, ai primi di settembre, da una giuria popolare rigorosamente tenuta  all'anonimato e rinnovata ogni anno. Per il Campiello le previsioni sono sempre azzardate e ancor di più lo sono state negli ultimi anni. Il vincitore della prima edizione è stato Primo Levi con "La tregua",   e nell'albo figurano, fra gli altri, Giuseppe Berto con "Il male oscuro",  Ignazio Silone, Gesualdo Bufalino  fino ad Antonio Tabucchi con "Sostiene Pereira"  nel 1994.  L'anno successivo il riconoscimento è andato a Maurizio  Maggiani con  "Il coraggio del pettirosso", che si è aggiudicato anche il Viareggio. Nel 1996 ha vinto "Esilio" di Enzo Bettiza e nel '97 Marta Morazzoni con "Il caso Courrier".

Niente giuria popolare, ma solo esperti per gli altri premi, a cominciare dal Viareggio, fondato da Leonida Repaci nel 1929, che è tra i riconoscimenti letterari più antichi, preceduto solo dal Premio Bagutta che è del 1927. Ne è stato a lungo responsabile lo storico della letteratura Natalino Sapegno. Attualmente la giuria, completamente modificata dopo roventi polemiche alcuni anni fa, è presieduta da Cesare Garboli ed è composta da 21 commissari.  Ogni opera deve avere il voto di cinque giurati per partecipare alla finale che si tiene in giugno. Il premio oltre alla narrativa ha una sezione per la poesia e una per la saggistica.

Molto tradizionale e attento soprattutto alle vendite, è il premio Bancarella, organizzato dall'Unione dei Librai Pontremolesi e dall'Associazione Librai. Mentre puntano decisamente sulla qualità, e soprattutto sulla narrativa straniera, il Grinzane Cavour, il Nonino, il Mondello e il Malaparte, che hanno giurie di esperti piuttosto ristrette  e sono divisi in varie sezioni.

Ogni premio letterario implica grandi manovre, cui partecipano consulenti editoriali, critici e scrittori, molto spesso in palese conflitto d'interesse, visto che tanti premiandi al concorso A sono giurati di quello B. Ma c'è da gridare allo scandalo? I premi letterari, diversissimi fra loro per qualità e serietà, sono responsabili di un'epoca di crisi della narrativa o ne sono lo specchio incolpevole? In Italia, lamentano un po' tutti, si pubblica troppo e si legge sempre meno e le difficoltà che stringono la narrativa e il suo contenitore storico, il libro, spesso spingono autori e critici a scaricare sui premi l'insofferenza per un momento così grigio e  per il fatto di non essere al riparo dalle manfrine che intasano parte del mondo accademico. Anche questa estate è andata così.
 


Biamonti, "Le parole le cose"
Bugaro, "La buona e brava gente della nazione"
De Marchi, "Lo zefiro della buona sorte"
Pariani, "La perfezione degli elastici (e del cinema)"
Riccarelli, "Un uomo che forse si chiamava Schulz"

Un racconto inedito di Romolo Bugaro

Premi letterari 1: Vittorie senza vendite
Premi letterari 2: Se conta più l'intrigo dell'intreccio
 
 

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