Schulz, una strana vita con la pistola alla tempia Lorenzo Mondo (da "Tuttolibri - La Stampa", 14 maggio 1998)
 | "Un uomo che forse si chiamava Schulz"
Ugo Riccarelli
Piemme 1998
pp. 155, lire 24.000
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Presentando nel 1970 la traduzione italiana dell'unico libro di Bruno
Schulz, "Le botteghe color cannella", Italo Calvino non esitava a professare
la sua commossa ammirazione: "Da oggi la letteratura europea del Novecento
conta tra i suoi maestri un nome in più". A distanza di circa trent'anni
Ugo Riccarelli, dopo una frequentazione che presumo assidua e incantata,
scrive un romanzo intitolato "Un uomo che forse si chiamava Schulz". E'
la storia dello scrittore ebreo-polacco ispirata dal libro e dalla biografia,
ma anche dai vuoti del libro e della biografia, nel ricordo delle carte
disperse e di una fine immatura e atroce.
Schulz era nato a Drohobycz, nella Galizia austroungarica, che, dopo
essere diventata polacca e poi sovietica, appartiene oggi all'Ucraina,
in una vicenda metamorfica che lui avrebbe saputo apprezzare. Morì,
abbattuto da un colpo di pistola alla testa, nel ghetto della città
natale. Prima di riconoscersi scrittore era stato un originale pittore,
e si sentiva rassicurato dal capitano tedesco, Landau, di cui aveva eseguito
il ritratto e affrescato le pareti di casa. Ma un altro ufficiale nazista,
per vendicarsi del collega che aveva mandato a morte un suo protetto, uccide
Schulz, identificato anonimamente come "il giudeo di Landau". Definendo
il suo triste eroe "Un uomo che forse si chiamava Schulz", Riccarelli non
intende tanto cautelarsi contro eventuali imprecisioni o fraintendimenti
ma riscattare, con un supplemento di scavo e di pietà, quel nome
negato.
Immagina che sia lo stesso Schulz, sotto la canna della pistola, a ripercorrere
la sua intera vita, come un caleidoscopio scosso dalla mano del destino.
Esce dal ventre materno con "riluttanza", avverte più di quanto
non accada comunemente la stranezza di essere tenuto per i piedi, con la
testa all'ingiù. Quella testa pesante che tenderà sempre
a piegarsi verso terra: dove contempla i graffi e le minuzie del pavimento,
il tramenio degli insetti che rodono la casa, le presenze umane rivelate
dalla foggia delle scarpe. Con intuizione sicura, Riccarelli disegna così
la condizione di solitudine a avvilimento, propria di chi crescerà
sforzandosi di "passare inosservato lungo i muri della storia".
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