Vittorie senza vendite
Paolo Marcesini Dura vita per i premi letterari. E per i premi in generale. Se persino
Felice Laudadio, dimissionario direttore della Mostra del cinema di Venezia,
definisce inutile il responso di una giuria ("L'unico giudizio che conta
è quello del pubblico, qualunque gara di film è sciocca e
arrogante") figuriamoci quale importanza possono ormai avere i premi per
il "povero" libro, oggetto-simbolo della perdita di appeal della lettura
come forma di comunicazione e di intrattenimento. E ci chiediamo: l'industria
culturale può fare a meno della fabbrica dei premi per continuare
a vivere? Forse sì, ed è una fortuna. Forse per la prima
volta i premi hanno esaurito la loro ragione di vita più effimera
e immediata, quella cioè di far vendere chi vince trasformando la
vittoria di un concorso letterario in una sorta di vincita al lotto.
Soffocati da estenuanti polemiche, perfidie reciproche e polemiche sempre
più venefiche, i novecento premi letterari sparsi sul territorio
nazionale (li ha censiti Giuliano Vigini dell'Editoriale Bibliografica)
commercialmente ormai contano poco. Lontani i tempi in cui la fascetta
di vincitore o di selezionato al Campiello o allo Strega faceva vendere
centomila copie, oggi l'unico successo editoriale certo viene garantito
dal tam tam dei lettori. Assolutamente non premiato, ad esempio, trionfa
in ogni classifica di vendita Andrea Camilleri con le sua "taliate", i
suoi "macari" e le inchieste del commissario Montalbano.
Eppure questa perdita di causa ed effetto tra vittorie e vendite potrebbe
paradossalmente far bene proprio al libro, rimettere in gara l'autenticità
della forza narrativa del romanzo (della poesia e della saggistica), far
allontanare per un attimo gli autori dal miraggio del successo e del danaro,
far capire a chi legge che la letteratura è una cosa, le classifiche
un'altra. Insomma, è finita l'era del gratta e vinci letterario,
è morto il premio salva-audience, ma il premio può vivere
come antenna del gradimento letterario.
Aspettando il Campiello che, comunque vada, non sarà un successo,
la cronaca di quest'ultimo anno conferma questa nuova tendenza. Non ha
giovato alle vendite del romanzo di Enzo Siciliano la vittoria (troppo
annunciata) allo Strega, e questo succede ormai da alcuni anni (ricordate
forse i vincitori delle ultime cinque edizioni del più mondano dei
premi italiani?). Ma lo stesso è accaduto alla Selezione Campiello,
al ricchissimo Bagutta (50 milioni al vincitore) e persino il premio gestito
dai librai, il Bancarella, che teoricamente dovrebbe premiare il libro
che riesce a vendersi meglio, nelle classifiche inizia a perdere colpi.
Eppure "I bei momenti", il libro di Siciliano, una biografia romanzata
di Wolfang Amadeus Mozart, non lo si può certamente considerare
un prodotto editoriale non meritevole di attenzione. Tutt'altro. A scatenare
le polemiche sono state, e qui entriamo nei difetti della fabbrica dei
premi, la vittoria annunciata troppo in anticipo dagli Amici della domenica,
quasi con ansia, come se fosse obbligatorio premiare il Presidente della
Rai amico di Walter Veltroni, e fosse meglio dirlo subito, a scanso di
equivoci. Inevitabili le fughe dei giurati e molte sono state anche le
defezioni, gli scrittori (Gianni Riotta, Sebastiano Vassalli, Francesco
Biamonti) che hanno scelto di ritirare il loro libro dalla competizione,
con gli editori costretti a schierare le seconde scelte, gli autori che
non avevano nessuna possibilità di vittoria. E così è
stato. Siciliano ha vinto, ma del suo romanzo non si è trovata traccia
nelle classifiche dei best-seller.
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