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Biamonti, fantasmi oltre frontiera (pagina 2)

Pietro Citati (da "la Repubblica", 22 gennaio 1998)

 

Molto tempo fa, qui è accaduto, qualcosa di gioioso, un suono di campane ha illuminato le colline. Ora tutto sta per spegnersi: tutto è spossato ed esausto; queste colline vuote, queste strade che non conducono da nessuna parte, questi pochi viandanti, questi alberi storti sono il segno che il mondo è abbandonato da qualsiasi vita. Gli dèi sono morti. Le idee non esistono più. Le passioni sono spente. I libri illeggibili. Gli uomini muoiono, o si uccidono - e forse non c'è nemmeno più la morte, perché quando si giunge di là si trova un Niente incredibilmente delicato e leggero, abitato da spettri che non osano aprire la bocca. Quante volte gli uomini hanno annunciato invano la fine dei tempi: ora essa è finalmente arrivata; e nessuna apocalisse la annuncia.

La notte, qualcuno passa ancora in questi luoghi. Emigranti clandestini arabi, o turchi, o curdi varcano la frontiera. Il mondo è divenuto una sola zona di frontiera; e non ci resta che varcare il confine, andare altrove e ancora altrove, in un perenne esilio da una patria e da un passato scomparsi, e da noi stessi che stiamo per scomparire. Ma sono davvero uomini quelli che passano la frontiera? O invece gli emigranti clandestini sono spettri, e qualche traghettatore d'anime li conduce in un Erebo ancora più irrevocabile di quello di Caproni? In ogni caso, "di là" non c'è nulla: nessuna casa, nessuna realtà, nessun conforto; forse nemmeno il regno dei morti.

Come gli altri libri di Biamonti, "Le parole la notte" è scritto sotto il segno della dea Omissione. Ogni pagina affonda nell'inespresso. Gli eventi sono cancellati - e sostituiti da quei minimi eventi che sono i cambiamenti di colore nelle foglie degli ulivi, o una rondine che raccoglie con le piume la rugiada, o la malattia delle rose. I personaggi non dicono mai ciò che hanno in mente: ogni parola nasconde un silenzio profondissimo. I sentimenti e le sensazioni sono cancellati: oppure nessuna spiegazione li motiva. Solo qualche slancio lirico rivela i segreti dell'anima.

Una mano spietata ed ascetica annulla ogni parola che non sia assolutamente necessaria; e a volte Biamonti pare sul punto di rinunciare ad esprimersi. Ma dietro questa superficie spoglia, quale straziante desolazione amorosa attende una risposta che non verrà mai. Il vuoto è animato da questo muto battere d'ali.
 


Biamonti, "Le parole le cose"
Bugaro, "La buona e brava gente della nazione"
De Marchi, "Lo zefiro della buona sorte"
Pariani, "La perfezione degli elastici (e del cinema)"
Riccarelli, "Un uomo che forse si chiamava Schulz"

Un racconto inedito di Romolo Bugaro

Premi letterari 1: Vittorie senza vendite
Premi letterari 2: Se conta più l'intrigo dell'intreccio
 
 

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