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Lo zefiro della buona sorte (pagina 2)

Massimo Onofri (da "Il Diario della settimana", 17 dicembre 1997)

 

Confessiamolo: seguendo i passi di Carlo mi è sembrato di riconoscere, quanto ad avidità di sensi e spregiudicatezza divertita, il profilo di un Casanova in sedicesimo, forse anche d'un rodomonte, dentro un Novecento milanese e piccolo-borghese. Già, Casanova: perché, come Casanova, anche Carlo racconta fatti lontani, dentro un nero di sentimenti che non potrebbe essere più nero, quello dei suoi quarantacinque anni.

Ne viene fuori un libro che vorrei definire con un aggettivo antichissimo e fuori corso: robustoso. Dove per robustoso, come il fuoco di francescana memoria, si vuole intendere un aggettivo che implichi un senso di energetica gioia, di forza e nutrimento. Ma il mio resoconto non sarebbe completo se non rivelassi, del romanzo, il contrappunto d'ironia ed intelligenza: "il cinema di Fellini non aveva ancora, trasfigurando in arte un episodio del genere, condannato impietosamente alla banalità tutti quelli che gli assomiglino". Insomma: i tanti episodi che veniamo a conoscere ci sembra quasi di viverli due volte: una prima nei modi di un freschissimo appetito, una seconda dentro un luce di maliziosa demistificazione, quella di una cultura tutt'altro che naif. E' così che la letteratura raddoppia il piacere di vivere.
 


Biamonti, "Le parole le cose"
Bugaro, "La buona e brava gente della nazione"
De Marchi, "Lo zefiro della buona sorte"
Pariani, "La perfezione degli elastici (e del cinema)"
Riccarelli, "Un uomo che forse si chiamava Schulz"

Un racconto inedito di Romolo Bugaro

Premi letterari 1: Vittorie senza vendite
Premi letterari 2: Se conta più l'intrigo dell'intreccio
 
 

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