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Reset/Dove il socialismo va a finire Amartya Sen
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Questo pezzo è uscito sul numero di gennaio/febbraio di
"Reset".
In occasione del
primo congresso della Terza Internazionale, nel marzo 1919, Lenin parlò delle terribili
condizioni del capitalismo contemporaneo, ma concluse affermando: "Credere che non ci
sia una via duscita dalla attuale crisi del capitalismo è un errore. Nessuna
situazione è mai assolutamente disperata". Dobbiamo ammettere che questo giudizio di
Lenin si è rivelato assolutamente giusto. Il capitalismo ha avuto un periodo difficile
negli anni venti e trenta, cui seguì la confusione della guerra; ma nel mezzo secolo a
partire dalla fine della seconda guerra mondiale esso è stato dinamico ed ha goduto di
grande successo in quanto sistema di espansione economica. La domanda più ovvia oggi è
invece proprio quella opposta rispetto a quel che si chiedeva Lenin, e cioè se esista una
"via duscita" dalla crisi attuale del socialismo, il quale in questo
momento ha certo subito più batoste che non il capitalismo nel 1919. Ma l'attuale
situazione, parafrasando Lenin, è "assolutamente disperata" per il socialismo?
Tre idee di socialismo
Questa domanda conduce direttamente ad unaltra questione:
scoprire che cosa è esattamente il socialismo. Io ritengo che non ci sia una risposta
canonica a questa domanda. In effetti, per un periodo di tempo molto lungo si è
verificata una coincidenza di tre concezioni ben distinte di socialismo, con tre diverse -
ed opposte - diagnosi circa le caratteristiche costitutive del socialismo stesso. Questi
tre approcci sono rispettivamente orientati su: a) le istituzioni (in particolare, la
proprietà sociale dei mezzi di produzione, b) i risultati (in particolare, un ordine
economico egualitario) e c) i processi (in particolare, un processo collettivistico nella
formazione delle decisioni). Vorrei ora descrivere brevemente ciascuno di essi.
a) Lapproccio istituzionale vede il socialismo come un
insieme di istituzioni che includono come elemento essenziale la proprietà dei mezzi di
produzione da parte dello Stato, nonché lassenza della proprietà privata (tranne
per pochi generi di consumo primari). Le principali varianti del marxismo socialista
rientrano ampiamente in tale approccio.
b) Lapproccio basato sui risultati (outcome foundationalism) si
focalizza invece su alcuni risultati considerati essenziali, indipendentemente dal modo in
cui essi devono essere raggiunti, e nel novero di tali risultati si è registrata la
tendenza ad includere diverse condizioni di eguaglianza economica e leliminazione
della "povertà economica".
Se lapproccio istituzionale, compresi i movimenti marxisti-comunisti, si ricollega
storicamente allattivismo politico ed ai movimenti per i diritti civili
dellEuropa della metà dellOttocento, in particolare in Francia e in Germania,
e reca limpronta delle formulazioni intellettuali che accompagnarono questi
movimenti politici, le radici dellapproccio basato sui risultati possono essere
ricondotte, almeno in parte, ad un patrimonio diverso. La difesa dellapproccio
basato sui risultati ha rispecchiato influenze diverse e ha spesso incluso i valori
tradizionali dellegualitarismo religioso presenti nelle culture ufficiali. Una vasta
e profonda attenzione alla povertà ha caratterizzato per un lunghissimo periodo una
fascia importante della cristianità, ed ha avuto un ruolo preminente anche nella
filosofia sociale di altre religioni, compreso lIslam e il Buddismo. Quando il
capitalismo si è sviluppato, portando a modelli strutturati di ineguaglianza sociale, i
valori tradizionali si sono trasformati in critiche del capitalismo come ordine sociale
accettabile, e ciò ha portato a concepire un "socialismo" che comprendesse
formulazioni in cui fosse particolarmente preminente un certo egualitarismo dei risultati
economici. A volte il rifiuto di unineguaglianza profondamente radicata aveva
origine in un insieme di valori in cui giocava un forte ruolo un egualitarismo non
religioso, inclusi i valori cristallizzati mediante le rivolte contro assetti sociali
duramente asimmetrici (rispecchiati nella propensione storica per le cosiddette
"ribellioni primitive" in molte parti del mondo). Le dottrine socialiste
non-marxiste, come il fabianesimo in Gran Bretagna e nellimpero britannico, che si
sviluppò nel 19° secolo incentrandosi sostanzialmente sullegualitarismo, hanno
attinto ad una grande varietà di fonti etiche sia non religiose che cristiane.

c) Consideriamo ora il terzo approccio al socialismo, vale a dire
quello fondato sui processi. Qui il contrasto consiste nel fatto che esso si fonda non sui
risultati o sulle istituzioni in sé e per sé, bensì sul presupposto generale della
partecipazione e della cooperazione nel processo decisionale. In contrasto con
lestrema asimmetria del potere decisionale che caratterizza il capitalismo, la
visione del socialismo basata sui processi promuove la cooperazione nella formazione delle
decisioni.
Questi tre approcci sono ben distinti in quanto pure astrazioni, mentre naturalmente nella
pratica dei movimenti politici ci sono stati molti sistemi misti.
Se, comunque, ci concentriamo sulle pure astrazioni, i tre approcci possono essere
distinti facilmente. Essi implicherebbero gli stessi presupposti politici? Questo dipende
dalle relazioni empiriche. Se, ad esempio, il processo decisionale collettivo dovesse
richiedere la proprietà statale, allora lapproccio basato sui processi
coinciderebbe con quello basato sulle istituzioni. Ugualmente, se i processi collettivi di
formazione delle decisioni dovesse produrre risultati di natura egualitaria,
lapproccio al socialismo basato sui processi coinciderebbe con quello basato sui
risultati. Ma queste relazioni empiriche, anche se non sempre false, sono tipicamente
ipotetiche e contingenti per diversi aspetti. I tre approcci al socialismo pertanto non
coincidono perfettamente.
Ritengo infatti che queste relazioni empiriche siano ben lontani
dallessere durature, e dunque questi tre modi di concepire il socialismo in realtà
portano a tre modi abbastanza distinti e sostanzialmente differenti di concepire i suoi
presupposti. E anche, credo, estremamente importante prendere seriamente tali
distinzioni quando si valuta il futuro del socialismo nel mondo contemporaneo.
Preminenza durevole della visione collettivistica
Dei tre approcci descritti, il primo - lapproccio istituzionale
al socialismo in termini di proprietà statale dei mezzi di produzione - ha probabilmente
preso la maggior batosta in quanto approccio sociale plausibile . La proprietà statale è
spesso stata accompagnata da molti problemi sia di efficienza economica che di equità
distributiva.
Anche se le critiche iniziali contro la pianificazione statale
centralizzata si erano concentrate sulla necessità del decentramento, le radici dei
problemi di inefficienza del socialismo istituzionale sono da ricondurre ancora più
indietro, alluso eccessivo della proprietà statale stessa ed alla relativa
incapacità ad utilizzare il meccanismo del mercato ed i suoi vantaggi economici. Dunque
è ora chiaro (con il giudizio retrospettivo dellesperienza di paesi con una
proprietà statale molto estesa) come possa esistere una grande dissonanza tra la
proprietà comune e la presa collettiva di decisioni, giacché le imprese possedute dallo
Stato sono spesso gestite da burocrati e non da processi di natura collettivistica.
Il secondo approccio - incentrato sulleguaglianza e
sullabolizione della povertà - ha avuto un destino diverso. La forza di queste idee
in quanto obiettivi da raggiungere non è diminuita affatto, e forse è persino aumentata
dal momento che le diseguaglianze connesse al capitalismo sono diventate ben più
evidenti. Ma è anche cresciuto lo scetticismo circa la possibilità di raggiungere molto
rapidamente leguaglianza economica. Dunque, il patrocinio politico della causa
dellabolizione della povertà è passato, in larga misura, da coloro che si
considerano socialisti a molte altre persone che non vogliono o non possono essere
definiti tali. Dunque, la forza del giudizio sociale orientato sui risultati non è
diminuita, ma la sua specifica associazione con quelli che sono considerati
"movimenti socialisti" è diminuita. Ad esempio, legualitarismo cristiano
molto spesso non parla affatto la stessa lingua del socialismo cristiano.
Partecipazione e movimenti cooperativi
E per quanto riguarda lapproccio che si incentra sui processi, in
particolare sullimportanza della partecipazione? Il principio della cooperazione
nelle attività economiche e sociali ha rappresentato una fortissima componente etica dei
movimenti cooperativi che sono fioriti in molte parti del mondo, anche se essi sono colati
a picco quando erano sostenuti da burocrazie centralizzate, come nellUnione
Sovietica o nella Cina ante-riforma. Il movimento cooperativo ha spesso prodotto risultati
davvero impressionanti allinterno delle economie capitaliste, quando è stato
combinato con il pragmatismo e il buon senso. Ad esempio, le cooperative in Italia, in
molte regioni come lEmilia Romagna hanno lavorato molto bene e la loro base
economica è stata oggetto di analisi sistematiche.
Quando, allinizio del 1996, ebbi loccasione di studiare lesperienza
delle cooperative in Emilia Romagna fui molto colpito dai risultati raggiunti, così come
lo sono stati anche altri. Da quello studio appariva chiaro che esistevano alcuni
specifici modi e mezzi di raggiungere il successo, che erano pienamente visibili nelle
pratiche economiche di questa regione. Le caratteristiche fondamentali dello sviluppo
regionale in Emilia Romagna che meritano particolare attenzione sono, tra laltro, le
seguenti:
Organizzazione industriale partecipativa: la piccola dimensione
delle aziende è una caratteristica molto particolare della produzione
"artigiana" che caratterizza una parte essenziale delleconomia regionale
dellEmilia Romagna. E anche estremamente significativo il fatto che, in queste
produzioni "artigiane", il datore di lavoro deve essere coinvolto direttamente e
personalmente nel lavoro. Leliminazione di società per azioni consociate ha per
conseguenza una minore "distanza" tra la proprietà e il lavoro. Il modello di
organizzazione industriale in questa economia artigiana è dunque considerevolmente partecipativo.
Enfasi sulla qualità e sulla competenza: la tradizione della
produzione artigiana, che ha profonde radici in questa regione, ha come conseguenza
unenfasi particolare sulla qualità e sulla competenza. Tale enfasi sulla qualità
è stato un elemento determinante nello sviluppo promosso nella regione, ed il successo di
queste imprese produttive sia in Italia che allestero è dovuto alleccellenza
di questi prodotti, ben rispecchiata dalla fama delle merci prodotte qui.

Cooperazione e servizi regionali: il governo regionale ha
intrapreso speciali iniziative per sostenere la produzione artigiana e per promuovere il
suo successo economico; cè stata inoltre molta cooperazione a livello regionale per
rendere la produzione artigiana più vitale e remunerativa. Ervet, la struttura regionale
per lo sviluppo economico, trae la maggior parte del proprio capitale dal governo
regionale, ma si coordina con le banche, le camere di commercio e le organizzazioni degli
imprenditori. Il Cna rappresenta gli interessi degli artigiani, fornisce assistenza per la
contabilità e per altre operazioni, organizza servizi di formazione nonché corsi tecnici
e professionali, contribuisce a garantire il credito per singole operazioni di artigiani e
fornisce molti altri servizi su base cooperativa. La base partecipativa della produzione
artigiana viene così integrata dalla cooperazione e dallinterazione a livello
regionale.
Il movimento cooperativo è un risultato effettivamente importante e di
grande rilievo nella storia del socialismo. Ad esso può mancare il radicalismo della
proprietà universale da parte dello stato, oppure i fondamenti etici della dottrina
delleguaglianza, ma ha un forte supporto di valutazione nella sua concezione, e
risultati molto favorevoli nella prassi. La cooperazione come processo ha un valore che
molti individuano senza indugio, e che comprende persino un aspetto egualitario in termini
di processo decisionale. E la concreta praticabilità e la possibilità di successo di
questo approccio sono state adeguatamente dimostrate.
Lambito della cooperazione
Questa diagnosi porta comunque ad una domanda diversa. La cooperazione
deve essere vista soprattutto allinterno dellazienda? Oppure deve essere
considerata nella sua applicazione ad un'intera regione, e ad un gruppo di imprese?
Entrambe queste forme sono state praticate con grande successo in Emilia Romagna. La prima
- la cooperativa con base aziendale - è la forma classica del movimento cooperativo, ma
data la difficoltà per una società cooperativa di ottenere capitale sociale nel processo
di espansione, esistono anche limiti alla sua crescita, anche quando limpresa ha un
estremo successo. Pertanto, deve essere presa in considerazione la possibilità che le
società cooperative debbano fare dei compromessi nel consentire investimenti esterni
senza perciò perdere il loro carattere cooperativo. Questo è un punto difficile, e la
soluzione per emergere dipenderà molto dai concreti accordi finanziari che si
dimostreranno fattibili e, al tempo stesso, accettabili dal punto di vista della filosofia
di un approccio cooperativistico ampio.
Il problema è molto meno capzioso per quanto riguarda i servizi
cooperativi, che possono esser forniti anche a imprese che non sono esse stesse delle
cooperative, così come ad altre che invece lo sono. In Emilia Romagna entrambe le
tipologie di imprese possono essere servite grazie agli accordi comunali che si occupano
di fornire servizi cooperativistici. La possibilità di espandere tale cooperazione
inter-istituzionale è realmente molto consistente per leconomia nel suo insieme e,
in una certa misura, anche nel contesto globale. La cooperazione può essere promossa in
maniera sistematica per servire unità produttive in diverse regioni ed in diversi paesi.
Anche se essa richiede un grande ampliamento della politica come esiste oggi, non è
difficile vedere che tali sviluppi potranno ben prendere piede con l'avanzare della
globalizzazione.
Ampliare lambito della cooperazione
In effetti, nello sviluppo di una simile cooperazione al di là dei
confini di regioni e stati, esiste la reale possibilità di riguadagnare una parte di
quello slancio universalista che aveva caratterizzato il socialismo e le sue idee nei
secoli precedenti. Alcuni movimenti, come ad esempio la concessione di micro-crediti (come
il movimento della Grameen Bank in Bangladesh) hanno attratto linteresse mondiale, e
per il futuro esiste ampio spazio per una maggiore cooperazione interregionale sia in
questo che in altri campi.
In questa forma ampliata, la natura del processo partecipativo può apparire alquanto
lontana dalle richieste reali che sono state fatte nel passato in nome del socialismo, ed
alcuni potrebbero, con comprensibile riluttanza, rifiutare di considerare, a qualsiasi
titolo, tale partecipazione allargata come una forma di socialismo. Non ho nulla da
obiettare a questo punto di vista, e non credo che la terminologia sia in sé e per sé
molto importante. In ogni caso, il fascino del termine "socialismo" al giorno
doggi è già di per sé alquanto indebolito dalla marcia della storia mondiale. Ma
nei termini di storia delle idee, è importante dare un riconoscimento al patrimonio
intellettuale del socialismo orientato ai processi per aver incoraggiato il pensiero sulla
cooperazione nella sua forma inter-istituzionale, allinterno delle nazioni e al di
là di esse. In effetti, la cooperazione allinterno delle unità produttive (nel
caso delle imprese cooperative) e tra unità diverse (entro una regione o al di là di
essa) si può annoverare tra i più importanti contributi tuttora attuali di quel
patrimonio intellettuale che ha reso il socialismo unidea tanto potente e dinamica
nel passato.
Vorrei ora cercare di esaminare due questioni di carattere generale. La prima riguarda la
necessità di considerare la partecipazione su una base persino più ampia di quanto è
stato ottenuto per analogia con il movimento cooperativo. La seconda riguarda invece la
necessità di ripensare la base delletica globale nel contesto di unespansione
dellambito stesso della cooperazione e della partecipazione.
Individui e istituzioni
La prima
questione richiede una certa analisi della relazione tra gli individui e la società. Gli
individui vivono e operano in un mondo di istituzioni. Le nostre opportunità e
prospettive dipendono in maniera cruciale dalle istituzioni, dal loro funzionamento e
dalla loro interazione. Non solo le istituzioni contribuiscono alla nostra libertà di
agire e di vivere nel modo che scegliamo, ma il ruolo delle rispettive istituzioni può
essere facilmente valutato in maniera significativa alla luce dei loro diversi contributi
alla nostra libertà. Ho cercato di analizzare altrove (in un libro di prossima
pubblicazione dal titolo "Development as Freedom") in che modo possiamo
effettuare delle valutazioni istituzionali in maniera sistematica, allinterno
dellapproccio più generale della valutazione delle libertà e delle capacità della
gente.
Anche se diversi commentatori hanno scelto di porre laccento
sulla differenza delle singole istituzioni (come il mercato, o il sistema democratico, o i
media, o il sistema pubblico della distribuzione), noi dobbiamo considerarle come un
insieme unico allo scopo di comprendere che cosa possono o non possono fare, in accordo
con altre istituzioni. E in questa sintetica prospettiva che tutte le istituzioni
devono essere comprese ed esaminate. Il meccanismo del mercato, che suscita passioni sia
in favore che contro, è unintesa di base attraverso la quale la gente può
interagire ed intraprendere attività reciprocamente vantaggiose.
Visto in questa luce, è davvero molto difficile vedere come una
qualsiasi critica ragionevole possa essere sollevata contro il meccanismo del mercato in
quanto tale. I problemi che sorgono hanno di solito altre origini - e dunque non
lesistenza del mercato in sé e per sé - e riguardano preoccupazioni quali
limpreparazione a far adeguato uso delle transazioni del mercato, ad esempio un
diffuso analfabetismo che rende difficile un uso proficuo della partecipazione al mercato,
specialmente in un mondo globalizzato, in alcuni paesi del terzo mondo (ad esempio,
lIndia, il Pakistan, lAsia occidentale o lAfrica). I problemi nascono
anche dalloccultamento manifesto delle informazioni, o da un uso non regolato di
attività che possono portare ad una crisi finanziaria (del tipo che abbiano visto
recentemente in Indonesia, Tailandia e altrove nel sud-est asiatico).
Anche la presenza della corruzione e lassenza di unadeguata
etica negli affari può rappresentare un serio problema, un problema che naturalmente è
ben noto in alcune parti dItalia, con i suoi legami con lo sviluppo e il sostegno
alla mafia. Considerazioni simili valgono per la Russia, e con ancor maggior forza. Questi
problemi vanno affrontati non sopprimendo il mercato, ma sostenendo quelle istituzioni e
quelle normative che permettono ai mercati di funzionare meglio e con più equità. I
risultati globali raggiungibili da parte del mercato sono profondamente legati alle intese
politiche e sociali. I poteri ampi del meccanismo del mercato devono essere integrati con
la creazione di opportunità sociali di base, cioè in termini di equità sociale e di
giustizia.
Esiste quindi una necessità di cooperazione non solo tra le aziende, ma anche tra le
istituzioni. Il ruolo della partecipazione si estende ben al di là delle complementarità
tradizionali che sono state trattate nella letteratura standard sulle cooperative.
Lapproccio cooperativistico è infatti una strategia cruciale per leconomia e
per la società umana, ed il funzionamento delle cooperative nel senso più stretto deve
essere considerato in una prospettiva molto più vasta.
Etica globale e etica internazionale
Consideriamo ora la seconda questione, in particolare la
formulazione di unetica più ampia in un mondo in via di globalizzazione. Se la
cooperazione coinvolge quelle relazioni istituzionali che non sono mediate da relazioni
tra nazioni, esiste un bisogno urgente di sostituire la retorica delletica
internazionale con il discorso delletica globale.
Vorrei ora chiarire che tipo di contrasto esiste tra di esse parlando,
appunto, delletica globale come concetto opposto alletica internazionale. In
effetti, anche se lequità internazionale viene spesso confusa con lequità
globale, questi due concetti questo almeno è il mio parere sono molto
diversi, sia rispetto ai loro elementi costitutivi, sia rispetto alle implicazioni delle
loro diverse strategie politiche. Il contrasto si riferisce a differenze molto profonde
nei seguenti campi:
- lambito della giustizia sociale: vale a dire se i rapporti di giustizia si
applicano o meno in primo luogo allinterno di ciascuna nazione, e se le relazioni
oltreconfine sono viste o meno come relazioni tra nazioni; e
- il concetto di persona: vale a dire se le nostre identità e responsabilità sono o meno
"parassitarie" della nazionalità e della cittadinanza come concetti destinati
ad avere la meglio rispetto ad un tipo di solidarietà basata su altre classificazioni,
quali ad esempio identità di gruppo o punti di vista di classe (compresi i rapporti tra i
lavoratori, o tra uomini daffari con una certa particolare etica, o ancora tra
movimenti cooperativi in diversi paesi), il genere (incluse le tematiche femministe di
ampio respiro), gli obblighi professionali (tra cui limpegno di medici, educatori,
assistenti sociali senza frontiere) nonché le convinzioni politiche e sociali
(caratterizzati da un tipo di fedeltà che può trovarsi in conflitto con altre
identità).
Qualcosa di molto importante è sottinteso in tali distinzioni, le
quali hanno implicazioni ampie rispetto alla natura delle ragioni pratiche a livello
globale, e sulla scelta delle azioni da intraprendere da parte dei potenziali attori. Le
idee di giustizia - e le azioni che ad esse conseguono - che tagliano le frontiere non
devono essere confuse con le relazioni internazionali in generale, o con richieste di
equità internazionale in particolare.
Sebbene lo stabilire unequazione tra la giustizia globale e lequità
internazionale sia un tema importante nel pensiero etico contemporaneo (forse la più
autorevole ed importante teoria etica dellequità internazionale è quella espressa
da John Rawls nella sua analisi di ciò che egli definisce "Law of the Peoples",
cioè Legge dei popoli), questa linea di ragionamento può essere sostanzialmente
problematica. Essa è insoddisfacente dal punto di vista normativo, dal momento che non
tutti i nostri impegni etici ed il nostro senso del dovere sono mediati da relazioni tra
le nazioni. Unattivista femminista in Italia che voglia ad esempio contribuire a
migliorare alcuni aspetti della condizione femminile in Asia o in Africa, attinge ad un
senso di identità lidentità del femminismo che va ben al di là
delle simpatie che una nazione può avere per i guai di unaltra. La linea di
ragionamento che potremmo definire "contrattualistica" sul piano internazionale
è anche istituzionalmente ottusa poiché tiene in ben poca considerazione la grande
varietà di istituzioni - dai mercati ai gruppi religiosi, alle affiliazioni politiche,
alle Ong di vario tipo - che influenzano le relazioni tra le persone attraverso le
frontiere.
Unalternativa al particolarismo nazionale è un pieno
universalismo, secondo cui ogni persona è considerata allo stesso modo, indipendentemente
da dove egli o ella si trovi. Il pieno universalismo sarebbe lo sbocco naturale
dellutilitarismo, sebbene la maggior parte degli utilitaristi in pratica sembrino
essere stati alquanto nazionalisti. A volte il pieno universalismo può apparire assai
poco pratico, a causa della sua dissociazione dalle istituzioni. Come è ovvio, le Nazioni
Unite non possono rappresentare lorganismo responsabile dei temi della giustizia
globale, giacché non dispongono di potere e di risorse adeguati (e questo anche se gli
americani dovessero pagare tutti i loro debiti con le Nazioni Unite!).
Ma il Pieno universalismo non rappresenta la sola alternativa al particolarismo nazionale.
La sua natura irrealistica ed utopistica spesso serve da pretesto per optare in direzione
di una linea di pensiero nazionale e particolaristica, sullerrato presupposto che
essa sia la sola alternativa. In contrasto con questi due approcci estremi, dobbiamo
invece pensare alletica delle relazioni tra singole persone in paesi diversi, tra
aziende in località diverse, tra gruppi politici in nazioni diverse, tra attivisti in
continenti diversi, tra istituzioni educative in società diverse, e così via. Queste
relazioni esistono già, anche se il settore dell"etica internazionale"
tende ad ignorarle. E importante invece tenere conto sistematicamente di tali
relazioni nellelaborazione di modelli di comportamento economico e sociale. La
portata delletica al di là delle frontiere da distinguere
dall"etica internazionale" può essere davvero molto ampia.
Istituzioni multiple, identità plurali e etica cooperativa
Non mi spingerò, in questa sede, nellelaborazione di
unetica multi-istituzionale. Ma io ritengo che sia effettivamente importante
sviluppare la base normativa delle relazioni globali economiche e sociali in termini
etici, che sono molto più ampi che non la politica nazionale integrata con letica
internazionale. Ciò che conta è il rapporto tra gli esseri umani in parti diverse del
mondo, i quali possono entrare in contatto in molti modi diversi, non tutti
necessariamente mediati dal rapporto tra le nazioni.
Possiamo effettivamente prendere atto della presenza di istituzioni
multiple e della coesistenza di identità plurali dal modo stesso in cui consideriamo noi
stessi. Una persona può essere italiana, donna, femminista, medico, attivista nel
movimento cooperativo, e così via, senza che sorga alcuna contraddizione in questa
concezione più ricca delle identità plurali di una stessa persona. Ciascuna di queste
identità plurali porta con sé una parte dellinteresse generale per la giustizia al
di là delle frontiere. Le frontiere stesse sono definite in modo diverso per gruppi
diversi, ed il nostro ragionare sulla giustizia deve necessariamente riflettere questa
realtà. Lerrore da evitare più di tutti è quello di considerare la giustizia al
di là delle frontiere come "giustizia internazionale". La ricchezza della prima
la giustizia globale supera infatti di gran lunga quella di
questultima.
Ponendo laccento sullimportanza della cooperazione e della
partecipazione, il movimento cooperativo ha fatto molto per ampliare lorizzonte di
attività e di prospettive entro le nazioni. Nel mondo in via di globalizzazione in cui
viviamo, è ormai tempo di estendere queste concezioni e queste idee al di là delle
frontiere. Le relazioni tra gli individui e le istituzioni si estendono già oggi ben al
di là dei confini nazionali, e i singoli governi non vi prendono sempre e necessariamente
parte. Il ricco patrimonio dei movimenti cooperativi ha da offrire al mondo cose che vanno
al di là della produzione e del commercio, e che soddisfano lesigenza fondamentale
di relazioni personali in tutto il mondo. La necessità più sentita non è tanto quella
di estendere gli aiuti internazionali o lassistenza economica, quanto invece quella
di prendere atto della fondamentale interdipendenza delle persone al di là dei confini
delle nazioni. In conclusione, si tratta di pensare chiaramente e realisticamente alle
relazioni tra singoli e istituzioni. Il futuro del mondo può dipendere da questo.
Amartya Sen ha letto questo testo a Bologna in occasione del Congresso
della Lega delle Cooperative, il 27 ottobre 1998.
(Traduzione di Laura Bocci)
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