Mangiare, bere/Nel Midi-Pirenées, terra di
formaggi e foie gras
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foie gras
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Da Tolosa a Figeac, un percorso alla scoperta di una Francia meno
scontata ma non meno suggestiva. Bastides, fiumi, foreste e un patrimonio gastronomico da
primato
Foie gras, confits, formaggi, verdure ovvero quanto di meglio il più
raffinato e ghiotto dei palati potrebbe auspicare. E' un vero paese di Bengodi il mercato
coperto Victor Hugo di Tolosa. Ma non basta. Avete voglia di assaggiare qualcosa? Niente
di più facile: fate la spesa e poi seguite le indicazioni per i "restaurants".
Dopo esservi arrampicati su una scala antincendio che sembra finire nel nulla, vi
ritroverete in una specie di corridoio, appena sotto le automobili del parcheggio
multipiano costruito sopra il mercato. E qui comincia lo spettacolo. Decine di cuochi
"trasformano", a prezzi incredibili, i prodotti acquistati sui banchi al piano
di sotto. A pochi metri dagli chef, una serie di tavolini, addossati gli uni agli altri,
ricoperti di tovaglie di plastica; c'è da perdersi nel rumore delle stoviglie e nel vocio
della gente che passa, grida ordinazioni e chiacchiera davanti a un buon bicchiere di
vino.
Convivialità allo stato puro. Tolosa è così. Ma l'atmosfera
abbraccia tutto il Midi-Pirenées: una regione particolare dove tradizione e modernità si
incontrano dando luogo a risultati sempre diversi, che fanno di un viaggio in questa zona
una scoperta ininterrotta. Tolosa, la città rosa; Albi, la città rossa; le bastides, i
fiumi, le foreste. E così via, alla scoperta di sapori e paesaggi che narrano una Francia
sorprendente.
Tolosa, ad esempio, con una delle più prestigiose università
scientifiche di Francia, è oggi una città all'avanguardia, sede di attività economiche
ad altissimo valore aggiunto: l'aerospaziale, l'alta tecnologia, l'elettronica applicata
all'ingegneria. Eppure non ha rinunciato al suo calore meridionale, alla sua arte di
vivere, di godere delle sue piazze e delle sue vie, da sempre naturale luogo d'incontro.
Chi dal nord si trasferisce qui per motivi di lavoro regolarmente si innamora del posto, e
cerca di rimanervi. L'enorme numero di studenti (più di centomila su una popolazione di
poco inferiore alle quattrocentomila unità) ne fanno una città brillante, dalla vita
notturna intensa e variegata. Una passeggiata serale dalle parti di place Saint Pierre è
sufficiente per rendersi conto del numero di giovani che affollano bar e birrerie fino a
notte fonda, schiamazzi e musica assordante, capannelli di gente in mezzo alla strada, le
macchine parcheggiate ovunque.
Eppure la campagna è a pochi chilometri dal centro, abbastanza
intatta, non eccessivamente deturpata da un'industrializzazione moderna ma tutto sommato
rispettosa dell'ambiente. Questo fa sì che i mercati e i negozi di Tolosa rigurgitino di
prodotti freschi: basta percorrere, di mattina, il boulevard de Strasbourg o i vari
mercati coperti per rendersi conto della ricchezza e della varietà negli alimenti di cui
i tolosani possono disporre. Alcuni negozi fanno un ottimo lavoro sul territorio, alla
ricerca dei prodotti più interessanti: è il caso del maestro formaggiaio Xavier, di
fronte al mercato Victor Hugo, che con disponibilità e passione guida i suoi clienti alla
scoperta di un'eredità gastronomica molto interessante. Il Midi-Pirenées vanta infatti
formaggi come il roquefort e il rocamadour, DOC con cui è stato ribattezzato il cabecou,
piccolo formaggio di capra (diametro di sei centimetri per uno spessore di uno) prodotto
nel Quercy, nel nord della regione. A volte questo veniva avvolto in foglie di castagno e
conservato in acquavite di prugne: prendeva allora il nome di "picadou",
ma questa preparazione è sempre meno diffusa, a causa del forte sapore assunto dal
formaggio. Da parte sua, il roquefort ha bisogno di ben poche presentazioni: questo
celebre formaggio viene prodotto esclusivamente da latte di pecora con l'aggiunta del penicillium
Roqueforti, la spora che dà origine alla tipica muffa blu verdognola; le forme
vengono fatte poi maturare nelle grotte naturali intorno al villaggio di Roquefort,
costantemente ventilate dalle correnti d'aria che penetrano attraverso le fenditure della
roccia.
Passeggiando per i mercati e i negozi di Tolosa e dintorni, è facile
rendersi conto di come uno degli elementi di spicco della gastronomia sia l'anatra,
utilizzata nella sua totalità. Il pezzo principe: il fegato, può essere trattato in
vario modo: ridotto a paté o mangiato intero; in questo caso, utilizzato in vari gradi di
cottura, può essere semplicemente salato e pepato, da consumare crudo; può essere
scottato, avvolto in una tela, in brodo di volaille; viene preparato in terrina,
magari profumato dal tartufo; oppure può essere lavorato con il procedimento del confit,
cioè cotto nel grasso stesso dell'anatra. Altre parti dell'anatra destinate al confit
sono le cosce e i ventrigli, ripassate in genere in padella fino ad ottenere una
consistenza croccante. Il petto dell'anatra, detto magret, viene cotto come una bistecca,
accompagnato da patate all'aglio, pesche gialle oppure, nelle versioni più raffinate, da
una salsa composta di paté d'anatra e tartufo.
Il rapporto con questa tradizione si esprime anche nella ristorazione,
che offre esempi di ottima cucina: istituzioni tolosane come il classico Les Jardins de
l'Opera in place du Capitole o Chez Emile in place Saint Georges e i nuovi
locali, come quello di Michel Sarran, rappresentano una tradizione che non teme
l'innovazione, offrendo una buonissima cucina a prezzi accettabili. E tale aspetto si
accentua se ci si allontana da Tolosa, pur sempre una grande città, per inoltrarsi nei
piccoli centri della regione. Gli itinerari possibili sarebbero infiniti, tutti
interessanti dal punto di vista storico, enologico e gastronomico. Quello che abbiamo
scelto attraversa i dipartimenti del Tarn e del Lot.
Prendendo da Tolosa l'autostrada A68 ci si inoltra nel Tarn, verso la
zona delle bastides, piccole cittadelle nate nel periodo della predicazione catara, vuoi
per difendere le popolazioni locali, spesso eretiche, dalle crociate, vuoi, al contrario,
per affermare il potere centrale e della chiesa cattolica. E' il caso di Albi, dominata
dalla massa imponente, in mattoni rossi, della cattedrale di Sainte-Cécile, costruita al
termine della crociata contro gli albigesi per ospitare il vescovo cattolico. E in effetti
il suo palazzo, che oggi ospita il museo Toulouse-Lautrec (nato per l'appunto ad Albi) è
più una fortezza che un luogo dello spirito. Intorno di dispiega un dedalo di stradine
medievali che hanno spesso mantenuto la struttura urbanistica originale, con le case a
colombaia e il primo piano sporgente, tutte rigorosamente in mattoni.
Poco lontano si susseguono le altre bastides, figlie della terra di
Linguadoca, dominio dei conti di Tolosa fino all'inglobamento nei territori della corona
francese al tempo di Luigi IX (all'inizio del XIV secolo), sempre un po' eccentrica
rispetto al potere del re, prima con gli albigesi, poi sotto gli inglesi fino alla guerra
dei cento anni. Sono piccoli agglomerati rimasti fuori dal tempo, (diversi possono
fregiarsi del prestigioso titolo di l'un des plus beaux villages de France) fra i
quali, per dimensione e fascino, spicca Cordes, arroccata in cima a una collina. Cordes è
diventata il centro del piccolo impero gastronomico-editoriale di Yves Thuriès, uno chef
decisamente originale: negli antichi palazzi del borgo medioevale, infatti, Thuriès ha
sistemato alcuni albeghi, fra i quali il celebre Grand Ecuyer, dei ristoranti, una
casa editrice e persino un museo dello zucchero.
Cordes, fra l'altro, si trova all'interno della zona dell'AOC (Appelation
d'Origine Controlée) di Gaillac, che è riuscita a mantenere la coltivazione di
alcuni vitigni autonomi molto interessanti come il mauzac o il loin de l'oeil per
i bianchi, e il duras e il braucol (detto anche fer servadou) per i
rossi, che danno origine ad un'ampia gamma di vini rossi e bianchi, dolci e secchi,
persino perlé. "Perché i vini del futuro hanno sempre un passato", recita lo
slogan scelto dai produttori di questa AOC per mettere in rilievo la peculiarità delle
loro vigne, impiantate fin dal 972 con l'arrivo dei benedettini e la fondazione
dell'abbazia di San Michel nel paesino di Gaillac, tuttora sede della Maison du Vin.
Il consorzio sta cercando di divenire anche punto di richiamo turistico, istituendo delle
strade del vino che includano le bastides, e alcuni vignaioli (ad esempio gli Hirissou del
Domaine du Moulin) stanno costruendo degli impianti di vinificazione aperti dal pubblico,
così da divenire luogo di educazione al consumo del vino.
Sulla stessa linea anche i produttori dell'AOC di Cahors, più a nord,
anche se in modo meno sistematico. Nel Domaine de Lagrezette, ad esempio, è possibile
visitare lo straordinario impianto voluto da Alain-Dominique Perrin, amministratore
delegato di Cartier, costruito su tre livelli all'interno della collina sotto il castello
dove vivono i proprietari. I vini di Cahors, basati sul vitigno autoctono detto auxerrois,
hanno una rilevanza storica non trascurabile, essendo stati esportati e apprezzati in
tutto il mondo: all'epoca dello zar Pietro il grande erano i vini utilizzati dai pope
ortodossi per la messa; tuttora una vigna nell'Azerbaijan porta il nome di "Caorskoie
Vino". Si tratta, probabilmente, della più antica zona vitivinicola di Francia. Nel
VII secolo il vescovo di Verdun ringraziava il suo collega di Cahors in questi termini:
"Rendo grazia a Sua eminenza per i dieci vasi del nobile Falerno che si è degnato di
inviarmi". Il successo dei vini di Cahors fu decretato dall'arrivo degli inglesi nel
1152, con il matrimonio di Aliénor di Aquitania con il re d'Inghilterra Enrico II. Da
allora enormi quantità di vino furono trasportate lungo il fiume Lot verso i porti
dell'Atlantico, diretti alle destinazioni più disparate, fino ai paesi scandinavi e alla
Russia. Dopo anni di oblio, il Cahors sta tornando sulle tavole e nel cuore dei
francesi, tanto che un'inchiesta del 1995 lo vede al 7° posto fra i vini più conosciuti
dai francesi.
Con Cahors, piccola cittadina dall'interessante centro medievale, siamo
già nel Lot, ovvero l'antica regione storica del Quercy, dipartimento molto diverso dal
Tarn. Se lì dominano piane e colline dai profili tondeggianti, non troppo dissimili da
quelle di certa Toscana, nel Lot la natura è più aspra: fiumi incassati fra le rocce,
costoni calcarei, scarso popolamento. Una terra aspra e bellissima, che ha saputo e sa
affascinare generazioni di francesi. Sono infatti degli "oriundi" di altre zone
di Francia che, istallatisi nel Lot dopo l'inevitabile colpo di fulmine per questo
dipartimento, negli ultimi anni stanno cercando di valorizzarne il patrimonio
naturalistico e storico. E' il caso, ad esempio, dei Matuchet, coppia parigina che ha
aperto un minuscolo albergo a Saint-Cirq-Lapopie, villaggio arroccato lungo il corso del
Lot, assolutamente da non perdere, o dei Villedieu, che dopo diversi anni passati in Costa
d'Avorio hanno scelto di trasferirsi a Boussac, nella valle del Célé, per aprire una ferme
auberge che hanno ristrutturato per accogliere ospiti e offrire la loro squisita
produzione di anatra, spesso profumata dal famoso tartufo del Quercy. Il tartufo uno dei
vanti della regione: il mercato di Lalbenque, pochi chilometri a sud di Cahors, continua
ad essere uno dei più importanti di Francia. Fra novembre e febbraio i contadini della
zona vi si recano a vendere i tartufi scovati con il cane, la "mosca" (degli
insetti particolari che si radunano in prossimità del tubero) o i maiali. Questi ultimi
pare siano particolarmente efficaci, anche se bisogna far attenzione a che non divorino il
frutto delle loro ricerche, di cui sono molto ghiotti.
Se avete un po' di tempo, percorrete la valle del Célé, fra Cahors e
Figeac, che ospita una serie di paesini fra i quali Espagnac-Sainte-Eulalie e
Marcilhac-sur-Célé, con i resti di una magnifica abbazia benedettina dove opera come
cicerone il signor Raymond Bouzou, unica guida sordomuta di Francia. Il centro più grande
sul Célé è sicuramente Figeac, borgo medievale che dal 1986 ha cominciato a valorizzare
il suo centro storico grazie a un'immensa opera di studio e ristrutturazione. Anche qui
una coppia di parigini, i Sécordel-Martin, ha riportato al suo antico splendore il
palazzo del Viguier du Roy, una delle costruzioni più interessanti della regione.
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