Mangiare, bere/Napoli: dolci tentazioni in
convento
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Mangiare, bere/Napoli: dolci tentazioni in convento
Sfogliatelle, mostaccioli, raffioli, ecc: molti classici della
tradizione dolciaria partenopea sono nati all'ombra dei chiostri. Oggi la produzione è
affidata alle pasticcerie ma i luoghi d'origine esistono ancora.
"Sia lodato Gesù Cristo", "Sempre sia lodato",
"Millegrazie dottore e vogliate gradire questi dolci fatti con le nostre mani".
A Napoli, qualche secolo fa, andava più o meno così. Se il dialogo
non è fedelissimo, la "sostanza" sì. Il medico che varcava la soglia di una
comunità monastica femminile per portare soccorso a una consorella caduta ammalata veniva
compensato a suon di dolcezze. Mostaccioli, raffioli, susamelli, sfogliatelle, ovvero il
meglio della produzione.
Sì perché Napoli la dolce, o almeno gran parte di essa, prende corpo
e forma, dalla seconda metà del Cinquecento alla metà del Settecento, fra le sante mura.
Dal 1860 addio suore cuciniere, i conventi vengono confiscati e sfogliatelle & co
diventano affare laico.
Ma non tutto è perduto. Qualche traccia è rimasta e se il
"sapore" va cercato altrove, con un pizzico di fantasia, si può riagguantare
"il profumo". Ed eccole lì le nostre monachelle in una pausa di preghiera,
tutte intente con le mani in pasta a sublimare "tentazioni".
Siamo a Spaccanapoli nel cuore della città, in piazza del Gesù Nuovo,
all'ingresso del monastero di Santa Chiara, che in fatto di dolcezze ha da raccontarne
delle belle. A cominciare da quel sanguinaccio consumato anche in Quaresima grazie a un
"diabolico" escamotage: l'introduzione del cioccolato. Il cibo degli dei, come
tutti i prodotti che arrivano dall'America, non interrompe il digiuno quaresimale. Il
sangue di maiale, ingrediente principe del sanguinaccio, scompare sotto la coltre coprente
del cioccolato e il gioco è fatto. Le Clarisse sono anche le prime a ricoprire i
mostaccioli con glassa al cioccolato e a preparare raffioli [pan di Spagna ricoperto da
una glassa bianca] di solito confezionati in occasione della vestizione di una monaca
chiarista per essere offerti a parenti e amici. Non è ancora finita ma è d'obbligo una
pausa d'ispirazione nel chiostro dominato dal giardino rustico settecentesco firmato da
Domenico Antonio Vaccaro. Un Eden in microcosmo [la vegetazione ricalca quella del
Paradiso terrestre], sollevato rispetto al piano dei portici da un muretto tutto ricoperto
da maioliche che raffigurano dintorni di Napoli. Maioliche anche per avvolgere colonne e
sedili [e qui, per la serie Napoli com'era, provate a riconoscere il litorale di Bagnoli]
che scandiscono i due viali che attraversano, incrociandosi, il giardino. Un trionfo di
luce e di colore che induce di nuovo in tentazione. Clarisse benemerite dei golosi, a voi
si deve anche l'antesignana della zeppola [una sorta di gnocco a base di farina, acqua e
rosolio] poi "rapita" e trasformata, nella zeppola di San Giuseppe [pasta bignè
farcita di crema e confettura di amarena], da quel Pasquale Pintauro, destinato a passare
alla storia della pasticceria laica napoletana.
Su per via Benedetto Croce, piazza san Domenico Maggiore, san Biagio
dei Librai e lì, dove un tempo era il foro della città greco-romana, ci si para davanti
San Gregorio Armeno. Altro convento, altro chiostro [questa volta a forma circolare come
vuole la chiesa controriformata che decide di far cerchio attorno a sé e impone la
clausura] dove a dominare incontrastata la scena è la fontana raffigurante l'incontro di
Cristo con la Samaritana. Ma non fermatevi, proseguite sulla destra per ammirare il
"gioiello" del convento, la cappella della Vergine dell'Idria o della Rosa, la
prima immagine della Madonna adorata a Napoli, e pensate cosa doveva essere la torta di
rose e ricotta, arricchita da fragole, panna, Cognac, che le monache di San Gregorio
Armeno preparavano ogni anno a maggio in suo onore. La torta oggi è fuori commercio ma la
ricetta è disponibile e chi vuole può cimentarsi. Prima di passare oltre, una curiosità
a margine: l'idea della glassa verde sulla cassata siciliana [è ancora tempo di Regno
delle Due Sicilie e fra badesse ci si scambiano consigli e suggerimenti da Napoli a
Palermo] è nata nelle cucine di San Gregorio, complice involontario il pittore Giacomo
Dal Po autore di molti affreschi presenti in convento. Tradizione vuole che l'artista
all'opera in cucina mentre le monache erano intente a dar forma a cassate, facesse
scivolare della pigmentazione verde sulla pasta di mandorle. L'idea piacque tanto alle
suore cuciniere che decisero di abbandonare il consueto rosso per la decorazione.
E ora via attraverso cardi e decumani [secondo l'impianto della vecchia
città]. Piazza San Gaetano, via dei Tribunali, vico Cinque Santi, via Anticaglia ed ecco
sulla piazzetta omonima S. Maria Regina Coeli. Anche se il convento non è visitabile una
sosta davanti alla chiesa è doverosa: qui ha mosso i suoi primi passi la sfogliatella
frolla, quella a pasta liscia per intendersi, confezionata in formato gigante [la
chiamavano la sfogliatona]. L'idea di ridurne il formato e commercializzarla porta la
firma del solito Pintauro.
Prima di "cambiare gusto", alzate gli occhi e guardate i tre
rosoni che dominano la facciata di Regina Coeli: vi sono raffigurate le quindici erbe che
le monache usavano per l'insalata.
E ora dalla sfogliatona al divino amore [dolce di pasta di mandorle]
nato pochi passi più in là nel convento omonimo, in onore, di Maria d'Anghieu madre di
Carlo II d'Angiò. Se del Divino Amore inteso come convento oggi è rimasto poco [è
visitabile soltanto il chiostro, il resto è occupato dall'Ospedale Incurabili], il divino
amore in forma di pasta è vivo e vegeto: la pasticceria Scaturchio, a due passi da qui,
ne è fedele custode.
Scendete giù per via Atri e vi ritroverete di fronte all'ingresso
della chiesa di san Pietro a Majella dedicata a Celestino V e dal quale prende nome il
dolce che i Celestini preparavano il 19 maggio in occasione della festa del maritaggio
dei guagliuni. Il convento ospita oggi il conservatorio ma in chiesa ferve l'attività
dei frati Servi di Maria [succeduti ai Celestini] gelosi custodi di un rosolio a base di
radici di erbe che sembra si sposi "divinamente" con il caffè. Provate a
chiedere, chissà che non riusciate ad assaggiarlo. Intanto guardate in su, e osservate il
muro di destra: flette sul suo lato. Ma attenzione non si tratta di un errore di
costruzione. I muri della navata centrale debbono piegarsi in ricordo del corpo di Cristo
in Croce che, morendo, flette la testa sulla spalla.
Gran finale a Port'Alba, in piazza Bellini, a suon di sfogliatelle
ricce. Il dibattito è ancora aperto ma quasi certamente quel dolce che, come sintetizza
splendidamente Jeanne Carola Francesconi, autrice del più bel libro sulla cucina
napoletana, "dovrebbe esser frivolo per quel suo vestirsi di leggerissime gale, per
quella sua forma di un rococò temperato da un gusto più misurato, ma non lo è", è
stato inventato dal monastero di Santa Rosa sulla Costiera Amalfitana. Da lì, grazie ai
consueti scambi fra cugine badesse, le sfogliatelle arrivano a Napoli, e si diffondono un
po' in tutti i conventi. Ma quelle che, dalla seconda metà del Cinquecento, venivano
confezionate dalle monache di sant'Antonio a Port'Alba [cappella e chiostro sono ancora a
disposizione dei curiosi anche se l'edificio ospita oggi dipartimenti di architettura], si
distinguevano da tutte, non fosse altro che per la tecnica dell'impasto affidato al...
fondo schiena delle suore più anziane. A dare il ritmo erano le lodi a Sant'Antonio
intonate dalle monache più giovani: al termine di ogni quartina la coriste si fermavano;
le suore addette all'impasto alzavano le gonne, si sedevano sul bancone di marmo dove era
poggiata la pasta e oscillando davano "l'impronta". E così via fino a
completamento dell'opera. Lode a te, Sant'Antonio...
Torta di rose e ricotta*
Ingredienti
400 g di farina; 300 g di ricotta; 3 uova, 200 g di zucchero; un
bicchiere di latte; la buccia grattugiata di un limone; i petali di due rose; cinque
foglie di menta; liquore dolce.
Per farcire: panna, mirtilli, succo di limone, una spruzzata di Cognac
Esecuzione: Sbattete le uova, unite la ricotta, lo zucchero, il latte e
la farina versata a pioggia. Aggiungete quindi la buccia grattugiata del limone, i petali
di rosa e le foglie di menta tagliate sottili. Lavorate bene l'impasto, aggiungete il
liquore dolce e versate in una teglia dai bordi alti. Cuocete in forno a calore moderato
per 40 minuti. Lasciate raffreddare, tagliate il dolce a strati a farcitelo con panna,
mirtilli, succo di limone e una spruzzata di Cognac. Decorate con petali di rosa.
Conservate in frigo per almeno un'ora prima di servire.
*ricetta tratta dal menu benedettino riproposto nel convento di [Napoli
8/9 maggio 1993 San Gregorio Armeno in occasione delle manifestazione Monumenti a Porte
aperte
Celestino**
Ingredienti
per la pasta: 85 g di ciliege candite rosse e verdi; 75 g di mandorle
macinate; 200 g di burro o margarina [in sostituzione dello strutto]; 200 g di zucchero; 3
o 4 uova; 160 g di farina; un cucchiaino colmo di lievito in polvere; alcune gocce di
colorante celeste per alimenti, burro o margarina per ungere per decorare: 100 g di
zucchero a velo; un cucchiaio e mezzo di acqua calda; pezzi di frutta candita; 12 mezze
ciliege candite; da 18 a 24 confetti d'argento
Esecuzione: si lavora lo zucchero e il burro in modo da ottenere un
composto cremoso, si uniscono poi lentamente le uova sbattute, la farina, il lievito in
polvere, le ciliege tagliate a pezzettini, le mandorle macinate e infine il colorante. Si
riveste una tortiera, dove si dispone la pasta e si mette in forno già caldo. Tempo di
cottura 70-80 minuti. Si sforna il dolce e lo si ricopre con una densa glassa di zucchero
a velo e acqua [detta chiatra]. Si decora con i frutti canditi e i confetti d'argento.
"Documento ritrovato presso il Tribunale Auditor Camerae di Roma
Atti Bonavena Desiderio Voll. 1105".
** ricetta tratta da I misteri del convento di Enzo De Pasquale e Sofia
Jannelli Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995
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