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Mangiare, bere/Shalom Roma: carne di cavallo, broccoli e carciofi alla giudia

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A guidarvi è il profumo. Inconfondibile. Di brioches fragranti, di fritto sopraffino e di pane appena sfornato. A Roma non c'è posto migliore per mangiare che l'antico ghetto ebraico. Seguendo il vostro naso, vi troverete nel cuore più nascosto di Roma, chiuso tra il Tevere e largo Argentina, luogo di storia, cultura e tradizione, ma soprattutto regno dei golosi. Sono ormai spariti i banchetti dove si cuocevano all'istante i "pezzetti" fritti, broccoli, mele, zucchine, carciofi, cervelli, passati nella pastella. E non ci sono più i venditori di "coppiette", la carne di cavallo essiccata, così difficile da consumare, che serviva a placare i morsi della fame atavica degli ebrei romani, che trascinavano i loro carretti di venditori di stracci. Ma il mangiar bene è rimasto una delle prerogative di questo quartiere, ormai celato dai palazzi umbertini, che hanno preso il sopravvento sulle strade anguste e le piazzette segrete.

Il primo assaggio di quello che vi aspetta nel quartiere dove nel 1555 papa Paolo IV Carafa rinchiuse gli ebrei, è in via Arenula, fuori dai cancelli del vecchio ghetto, in un bar anonimo, di fronte al Ministero di Grazia e Giustizia, dove sembra essersi trasferita l'intera tradizione gastronomica ebraica europea che si innesta però su solide basi romanesche. Vale a dire sulla pizza bianca, la stessa che al Nord chiamano focaccia o schiacciata ma che a Roma è molto bassa, scrocchiarella e salata. Nel baretto viene farcita di pastrami, un apporto polacco-ungherese-newyorkese, carne secca di manzo, bottarga di muggine, zucchine marinate, cicoria, ricotta, la classica con mozzarella e basilico oppure con, la nutella.

E' solo l'inizio. Dopo pochi metri, in via Santa Maria dei Calderari, si incontra il Pompiere, ristorante dal 1962 della famiglia Monteferri, che accoglie gli amanti della cucina giudaico-romanesca in quelle che erano le stanze del palazzo di Beatrice Cenci. Lo chef Giancarlo, Yoghi per gli amici, vi ammannisce fritto misto vegetale, carciofi alla giudia, trippa, coda alla vaccinara e braciolette di abbacchio con carciofi. Poi, una minestra per ogni giorno della settimana: il lunedì pasta e broccoli, il martedì pasta e fagioli, il mercoledì la zuppa di farro con il pane nero tostato di Lariano, il giovedì gli gnocchi, come vuole la tradizione romana, il venerdì pasta e ceci. Prezzi contenutissimi per il pranzo di lavoro, tra le 20 e le 25mila con tovaglie di carta e scelta tra tre primi e tre secondi. Tra le 40mila e le 60mila il pranzo al ristorante vero e proprio. Poco più in là ve la potrete cavare con 20/25mila lire al massimo, sedendo ai tavoli di Margherita, osteria dalle celebratissime fettuccine fatte veramente in casa. Anche qui il menu cambia: martedì alicetti con l'indivia, mercoledì minestra di broccoli con l'arzilla, giovedì gnocchi. E poi bollito e stracotto alla romana e, naturalmente, carciofi alla giudia croccanti e dolci, e filetti di baccalà fritti con sapienza. Unico inconveniente la fila per ottenere un posto a tavola. Ma vale la pena di aspettare. Se si vuole spendere di più, traversando la piazza delle Cinque Scole, inerpicandosi per la salita di Monte Cenci, si arriva da Piperno, ritenuto da molti il migliore locale della tradizione giudaico-romanesca, ma ora forse un po' in calo. Memorabili sempre le bombe fritte di ricotta.

Ma le sorprese del quartiere ebraico sono più nelle botteghe che nei ristoranti. Dà più soddisfazione mangiare nei cartocci di carta paglierina la carne secca, la lingua o i salamini di manzo o di tacchino che si possono comprare dai salumieri Diotallevi, in via Santa Maria del Pianto, da Vito in via Sant'Elena, che eccelle nella preparazione dell'insalata russa e della testina di vitello o da Vittorio Latella, macellaio di rango che confeziona personalmente salumi di manzo e carne secca e vende bovino di prima qualità. Accanto, sempre in via Santa Maria del Pianto, c'è la moglie di Vittorio che, con la sorella e la mamma, vende pollame, abbacchi e uova e prepara galantine e rollè di pollo. Più avanti, c'è la rosticceria casher di zi' Fenizia: trenta tipi di pizza, con la verdura, con le alici e indivia, con la concia, ossia le zucchine marinate. E di fronte la raffinata enoteca Bleve che serve piccoli pasti di mezzogiorno con insalate sfiziose, affettati sofisticati e dolcetti.

E sull'angolo di piazza Costaguti ecco l'antico forno Cordella che sforna pizza calda bianca e al pomodoro ogni quarto d'ora. E' al numero 1 di via Portico d'Ottavia, però che nasce il profumo dell'antico ghetto. Boccione, pasticcere da novant'anni, sforna nella stessa piccolissima bottega tutti i dolci tipici ebraici: innanzitutto la pizza, non quella di pane ma quella farcita con uvetta, canditi e pinoli che si offre nelle famiglie per nascite e matrimoni al posto dei confetti. E poi amaretti di pasta di mandorla, le brioches del sabato, le kallà, i kranz, con la macedonia candita, le torte di ricotta e cioccolato e, sfizio supremo, bruscolini [semi di zucca salati]caldi e salati a tutte le ore.

 

La Dolceroma, accanto all'antico foro piscario, sempre al Portico d'Ottavia, emana invece altri profumi e suggerisce atmosfere viennesi a americane con le sue Sacher, le Mozarttorte, gli strudel, i krapfen, i lemon, carrot e pumkim pie, i muffin e i cioccolatini. Ma questo, anche se di alto livello, con gli ebrei romani ha poco a che fare.

In via del Portico d'Ottavia c'è anche un macellaio casher, Giacomo, dove la carne viene trattata secondo le regole alimentari ebraiche. E in vicolo Sant'Ambrogio il grossista Billo offre tutte le specialità giudaico-romanesche: dalla bottarga, ai salumi, al tacchino, ai vini. Ma se volete invece qualcosa di già pronto, è meglio entrare nella pizzeria di Franco e Cristina dove i tipi di pizza sono cinquanta, i misti vegetali e i carciofi alla giudia vengono fritti a ritmo continuo, così come le alicette.

Infine, i ristoranti del Portico: tre, uno in fila all'altro. Il Portico, specialità carciofi alla giudia e fritti misti. Al 16, fiori di zucca e baccalà in guazzetto, minestra di broccoli e arzilla, aliciotti con l'indivia, animelle e cervello con carciofi e, infine, il celeberrimo Giggetto al Portico d'Ottavia, con i suoi carciofi alla giudia, i filetti di baccalà, ma anche piatti della tradizione romana.

E per andarsene con un ricordo particolare, che ha sempre a che fare con la tavola, è imperdibile un'immersione nei sotterranei di Limentani, antica ditta di utensili per la casa, dove nel 1870 vendevano cucchiai di legno, fiaschi per il vino e tinozze di coccio. Oggi c'è di tutto, dai coltelli, alle posate, alle grattugie, ai bicchieri dei cristalli più fini, alle porcellane più pregiate. Non c'è famiglia romana che non abbia fatto la sua lista di nozze da Limentani, che ha servito anche lo Scià di Persia e Grace e Ranieri di Monaco. Un giro è obbligatorio, anche solo per stupirsi della quantità incredibile di tazze, bicchieri, pentole e vasellame che sono stati accumulati in questi sotterranei in 120 anni, a significare che il cibo e la tavola, da queste parti, sono cose da prendere davvero sul serio.

 

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