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Mangiare, bere/Palermo: pasta con le sarde, moscardini fritti e "stigghiole" al sapor mediorientale

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Sapori forti, odori travolgenti, improvvisi e magici silenzi. Città dell'eccesso per eccellenza, Palermo non si apre al primo sguardo. Per capirla bisogna andare oltre i classici percorsi turistici. Attraversare l'Orto Botanico, immergersi nel mercato, lasciarsi conquistare da una soffice focaccia imbottita

 

Chi non l'ha mai vista palpiterà per l'oblìo esotico misto all'inconfondibile elettricità medio-orientale; profumi seducenti e sapori forti, immagini elegantissime e asprezze disarmanti, squisita ospitalità o mutismi e ritardi inspiegabili, magici silenzi rotti da urla sconnesse in una lingua indecifrabile. Ebbene, eccola qua: la capitale della Sicilia, Palermo grande, bellissima e ferita apre le sue porte. Qui è inutile porgere fretta: l'atmosfera di musicale indolenza araba-messicana chiude ogni richiesta di spiegazione; il respiro della "sicilitudine" sale inebriante e leggero. Perché dannarsi di capire laddove storici e scrittori cercano ancora il bandolo risolutivo? Questa Sicilia, questa Palermo: non c'è posto al mondo dove il genere umano non sia esploso nella sua più esaltante grandezza [arte, letteratura, coraggio civile] o nella sua più efferata bassezza. Non c'è via di mezzo. Anche i colori delle cose appaiono di accecante luminescenza o lividamente chiusi, alle soglie del buio pieno. Quindi, con robuste creme solari e occhiali per un sole "africano" è comunque possibile ottimizzare un breve soggiorno palermitano, tenendo presente che...

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Ci sono tre modi ugualmente scioccanti per arrivare in città. Traghetto. Lo sbarco all'alba è di rara emozione: l'Italia è persa alle spalle. Davanti, un agglomerato arabo color ocra incastonato tra mare e montagne. Automobile. L'ingresso dalla statale 113 [al bando l'autostrada] è un chilometrico souk: via Messina Marine regala la fine architettura inizio secolo accanto ad autentici "mostri" edilizi; sul ciglio dell'asfalto un assemblaggio di pescherie, fruttivendoli, panifici ambulanti, banchi di ferramenta, autoricambi, baracchini che grigliano "stigghiole", budelline di vitello o meglio ancora di agnellino. Aereo. Il mezzo più asettico e meno estetico non offre granché. Ci penserà l'autostrada a dirvi che qui non si è scherzato: il guard-rail dipinto rosso sangue di Capaci è uno schiaffone inevitabile.

Bene, urge una sistemazione logistica. Primo "sconsiglio": alloggiare nell'affascinante ma troppo caotico centro storico. Meglio a Mondello lido: hotel non chiassosi di qualunque stella, appena cinque chilometri dalla città. Per raggiungere il cuore di Palermo, se non si è motorizzati via con gli autobus, di due tipi: quello convenzionale e, incredibilmente, il gran turismo con tanto di aria condizionata. Arte, cultura e già incombe la prima distrazione: il mare. Ovvero, le Maldive a casa nostra. con quell'acqua turchese Ulisse manderebbe all'aria tappi, funi e sirene; la spiaggia è lunghissima e bianca oppure, per gli amanti dello scoglio, ci sono le calette lungo Capo Gallo, appena superato Mondello paese. Si cammina molto e si bruciano calorie. Le folate di odori travolgenti non tarderanno a pizzicare i sensi. Perché Mondello vuole dire pane con le panelle: una soffice focaccia imbottita di frittelline di farina di ceci. Da provare assolutamente, da sola vale un pranzo. Per non parlare poi degli altri sfizi veloci: generosi anelletti al forno, moscardini fritti all'istante, fiori di zucca alla pastella. Insomma, se cominciamo così... sarà proprio il caso di andare in città.

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E le migliori ore per passeggiare Palermo sono quelle del fine settimana, meno macchine e due considerazioni spontanee. La prima è una sensazione di estrema tranquillità per il visitatore. Anche se, com'è ovvio, vale eterna la regola del buon senso: qual è la parte del mondo dove si gira incoccardati di gioielli? In secondo luogo è facile capire che i vari Germi, Rosi, Petri, Visconti, Damiani sono stati dei gran furboni: Palermo e più in generale l'intera Sicilia sembrano dei continui set cinematografici a cielo aperto. Per questo non è il caso di proporre la solita e canonica visione di Monreale, Cattedrale e Politeama. Questa città va "abbracciata" e "respirata" attraverso elementi e connotati sempre ignorati dai frettolosi tour scappa e fuggi.

d esempio, malgrado la cementificazione politico-mafiosa, Palermo è ancora zeppa di ville e giardini. E' un mondo a parte, di cui si intuisce l'atmosfera dorata del distacco aristocratico e l'irreversibile decadenza di un sangue blu presto soppiantato da "famiglie meno nobili" in tutti i sensi. Quasi impossibile enumerarne la totalità con i loro nomi altisonanti: villa Niscemi, villa Boscogrande, villa Castelnuovo, il Giardino Inglese, villa Lanza di Trabìa, villa Malfitano, villa Giulia, il Parco d'Orlèans. A vederle tutte è come osservare un enorme caleidoscopio barocco, liberty e neoclassico; le architetture e i finissimi arredi incantano per la perfetta plasticità geometrica. Mute, ma non secondarie spettatrici, mobili solo al vento del mare, le piante e le loro infinite varietà. Anche se, in verità, per arrivare al trionfo finale dell'apoteosi arborea non c'è che un indirizzo: l'Orto Botanico di via Lincoln, il più grande d'Europa. Una sola avvertenza: non varcate quella soglia con vostra suocera. La tentazione di depositarla, subito dopo l'ingresso, sulla sedia che porta il suo nome, sarebbe troppo forte: una sfera verde fornita di mille e più "dolorosissimi" aculei. Non vi sono piante carnivore, ma "mangiatrici" di nastri videocamera e di pellicola sì; l'abbondanza e la ricchezza di nomi lontani evocano esotismi coloniali. Cycas, dracene, yucca, aloe, nelumbi, opunzie, euforbìe, mambù, papiri e papaie. Troneggiano, naturalmente, le immancabili palme e "ficus magnolioides".

Che pace, che silenzio. Forse troppo per una città così convulsa e rullante. Non sarà difficile scivolare agli antipodi della quiete, verso uno degli spettacoli più assurdi: i mercati di Palermo. Vucciria, Capo, Ballarò. Certo, il primo è "guttusianamente" oleografico, gli altri due, meno titolati, sono la carne e il ventre duro dei quartieri più profondi. la frenesia della giostra è quasi assillante: grida irripetibili, spintoni, giravolte, ingorghi di folla ma... assurdamente, tutta la merce è esposta sui banchi con un ordine a dir poco maniacale, non c'è una mandorla o una triglia fuori posto. Cumuli piramidali di frutta secca e fresca, spezie, verdure selvatiche, pesce a prezzi imbattibili. Oddio, il palato in Sicilia non conosce sciopero. Il polpo bollito è servito morbidissimo, sgombri alla carbonella gli sfrigolano accanto. E poi, cosa farà un signore con le mani dentro una cesta coperta da un telo bianco? Semplice, prepara e involtola panini, ma il contenuto è visibile solo dopo aver pagato.. Insomma, qui non si finirebbe mai. Tanto, il ritornello assolutorio è sempre lo stesso: da lunedì mi metto a dieta. Ma intanto, buon appetito: dal pane con la milza e ricotta salata al cannolo gigante, dalla pasta con le sarde alla cassata inimitabile, questa cucina è una calamita continua. Ma perché? Più di ogni parte d'Italia, viaggiando la Sicilia si tocca la diversità e l'identità specifica dell'essere siciliani; ebbene, l'alimentazione è il tratto culturale più resistente di questa identità. Qualunque ingrediente, infatti, è fideisticamente "nostrale" e mai del "continente": un rigore, in un certo senso, che ha tutte le sembianze di un kasher alla palermitana. Per questo, e per motivazioni storiche, psicologiche nonché caratteriali, la gente di Sicilia può essere considerata l'altro grande popolo a vocazione ebraica da Gibilterra al Bosforo.

Un viaggio a Palermo non è la gita fuori porta, ma un viaggio unico, da veri autori della scoperta. Ma bisogna farlo presto. perché questa volta Palermo "rischia" di cambiare per davvero. Un centro storico aspro, ferrigno, lacerato dai bombardamenti dell'ultima guerra, lascerà spazio a una risistemazione certo salutare, bella e pulita. Siamo al solito dilemma: meglio conservare l'esistente al quale si è abituati nel bene e nel male, o avventurarsi verso le frontiere dei nuovi linguaggi, dei nuovi modi di pensare? E' questa l'ennesima contraddizione di una terra che proprio sulle contraddizioni fonda la sua storia. Com'è anche doppio il sentimento che sempre accompagna l'epilogo dei giorni trascorsi a Palermo: un'euforica ebbrezza d'allegria subito venata da una punta d'inquieta nostalgia. Il tempo chiamerà un ritorno verso una città che è veramente tra le più straordinarie del mondo. Di quella che potrebbe essere, degna e legittima, la Grande Capitale del centro del Mediterraneo.

 

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