Letti per voi/"Sinceramente coatto"
Maria Pia Fusco
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Questo articolo e' apparso su
"La Repubblica" il l primo giugno
ROMA - "Com'è venuto? Davvero si fa leggere? Perché io non ci capisco, siete voi
che mi dovete dire com'è, io posso dire che è tutto vero, sono stato di una sincerità
spietata, se non fossi stato onesto e sincero il libro non avrebbe avuto senso, non l'ho
fatto per soldi né perché voglio diventare scrittore". È sincera l'insicurezza di
Carlo Verdone che debutta come autore di volumi: da oggi è in libreria Fatti coatti (o
quasi), scritto con Marco Giusti, Mondadori. "Marco e io siamo amici, è lui che mi
ha stimolato a buttare giù i ricordi e che ha fatto da tramite con la Mondadori. Mi hanno
detto "prenditi il tempo che vuoi", le chiacchierate sono andate avanti un anno
e mezzo. È stato come mostrare dietro le quinte di certi personaggi e situazioni, come
cercarne le radici autentiche".

È stato difficile recuperare la memoria del passato?
"È stato un percorso lento, progressivo, più andavo avanti e più venivano fuori le
cose del passato. Cercando di raccontare tanti anni dell'infanzia, dell'adolescenza, del
periodo universitario, gli anni che sono stati il mio laboratorio iniziale, mi sono
meravigliato di ritrovare nella memoria umori, personaggi e situazioni che avevo scritto
nei miei copioni. A parte i coattoni che so bene di aver preso dal bar Mariani e dal
quartiere Regola della mia infanzia, ho ricordato episodi come il tragico Capodanno in
casa Fioretti, quando sradicammo la tazza del gabinetto sana invece di quella da buttare e
la scaraventammo dalla finestra su un'auto che purtroppo era della madre di Fioretti, o
come quando mio padre dimenticò il certificato di morte di mia nonna: cose che credevo di
aver inventato, invece erano nella memoria".
Nel libro ci sono ricordi di famiglia e incontri di cinema, l' impressione è che nella
parte dedicata al privato prevalga il sentimento della malinconia...
"La malinconia ha sempre fatto parte del mio carattere, un po' il sentimento delle
cose perdute, lo stesso di Compagni di scuola. Ma non c'è nostalgia, non sono di quelli
che amano il passato, odiano il presente e hanno paura del futuro. Io vado avanti, c'è
sempre qualcosa per cui vale la pena continuare, e il passato che amo mi rassicura, non mi
blocca. La casa del quartiere Regola è lì, ci abita mio padre, è la casa dove sono
nato, con la levatrice nella camera da pranzo, con la mia camera da letto di fronte alle
finestre di Alberto Sordi, e ogni volta che ci vado mi sento tranquillo, c'è un odore
particolare, saranno i libri, i tappeti. Non lo so. So che in Io e mia sorella, senza
rendermene conto, ho girato in una casa esattamente come quella".
Nella prefazione Marco Giusti scrive che qualunque cosa lei dica o scriva, tragica o
comica, è comunque cinema. È vero, la lettura del suo libro evoca un succedersi di
immagini, da quella di Christian De Sica che chiede la mano di sua sorella quattordicenne
alle scene di porno selvaggio girate nella camera da letto dei signori Nannini di Siena...
"Infatti, non ho mai pensato di saper fare i racconti scritti. Quando Christian
arrivò tutto serio con i fiori in mano a parlare con i miei sembrava una scena da film
anni Quaranta. Quello che ha potuto patire mia madre in quel periodo, con Christian che
andava a prendere Silvia a scuola dalle suore con la Bentley o con la Rolls Royce. Era uno
scandalo, ricevette anche una lettera dalla madre superiora. Oltretutto era il momento
della massima violenza dell'Autonomia, temevamo che un giorno o l'altra je davano foco a
lui e alla Rolls".
Esilaranti sono i ritratti di Rossellini, Sordi, al quale lei dedica il libro, Sergio
Leone. Pensa che qualcuno si offenderà?
"Io ho cercato di fare un po' il ritratto di un'epoca, degli umori di un tempo, dal
concerto dei Beatles a Roma alla contestazione com'era vissuta al Centro Sperimentale, con
Rossellini accolto con un peto. Sono cose che si collocano nel tempo, era quello degli
indiani metropolitani, stava finendo un periodo e ne cominciava un altro. E non c'era
bisogno che parlassi della grandezza di Rossellini o di Leone, di questo parlano le loro
opere, ho preferito raccontarli in altro modo, forse anche irriverente, ma con molto,
moltissimo affetto. Non credo che ci si possa offendere".

Perché ha sentito la necessità di finire il libro parlando di Moretti?
"Anche se lui e io non ci incontriamo, lui sta al Polo nord e io al sud, io mi sento
di parlare bene di lui, da spettatore lo ritengo una figura importante. Anche se se ne
frega di tutto e di tutti, con il suo cinema e le sue provocazioni è rimasta una delle
poche persone etiche di questo tempo".
Le è servito questo viaggio nella memoria?
"È stata un'operazione autocatartica. Sicuramente, come tutti quello dello
spettacolo che lo confessino o no, anch'io giro con i tranquillanti in tasca, ma questo
raccontarsi, aprirsi, tirare fuori remore e memorie represse, è un fatto terapeutico,
molto positivo. Potrò eliminare qualche pillola".
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