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Capitalismo globale, utopia pericolosa

John Gray intervistato da Giancarlo Bosetti

 

 

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Per gentile concessione dell'editore "Ponte alle Grazie" pubblichiamo qui il primo capitolo di "Alba bugiarda".


Dalla Grande Trasformazione al mercato libero globale


Il crollo del mercato globale sarebbe un evento traumatico e dalle conseguenze inimmaginabili. Eppure trovo che sia più probabile la previsione di un crollo piuttosto che la mera continuazione del regime attuale.
GEORGE SOROS (1)

Le origini della catastrofe stanno nel tentativo utopistico del liberalismo economico di costruire un sistema di mercato auto regolamentato.
KARL POLANYI (2)


L'Inghilterra della metà del diciannovesimo secolo fu teatro di un esperimento di vasta portata nella progettazione sociale, il cui obiettivo era di liberare la vita economica dal controllo sociale e politico. Ciò fu realizzato costruendo una nuova istituzione, il mercato libero, e distruggendo i mercati più radicati nella società che in Inghilterra esistevano da secoli. Il mercato libero creò un nuovo tipo di economia in cui i prezzi di tutti i beni, compreso il lavoro, cambiavano senza riguardo per i loro effetti sulla società. Nel passato, la vita economica era soffocata dall'esigenza di conservare la coesione sociale. Essa si svolgeva nei mercati sociali, compenetrati nella società e soggetti a molte forme di regolamentazione e limiti. L'obiettivo dell'esperimento tentato nell'Inghilterra vittoriana era stato la demolizione di questi mercati sociali e la loro sostituzione con mercati deregolamentati che operassero indipendentemente dai bisogni sociali. La frattura prodotta nella vita economica dell'Inghilterra dalla creazione del mercato libero è stata chiamata la Grande Trasformazione.(3)

Il raggiungimento di una simile trasformazione è oggi l'obiettivo primario di organizzazioni transnazionali quali la World Trade Organisation (WTO), il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD). Nel perseguire questo progetto rivoluzionario esse seguono l'esempio dell'ultimo grande regime illuminista del mondo, gli Stati Uniti. I pensatori dell'Illuminismo, quali Thomas Jefferson, Tom Paine, John Stuart Mill e Karl Marx, non dubitarono mai che il futuro di ogni nazione del mondo sarebbe stato di accettare una qualche versione delle istituzioni e dei valori occidentali. La diversità di culture non è una condizione permanente della vita umana, ma uno stadio verso una civiltà universale. Tutti quei pensatori propugnavano la creazione di un'unica civiltà mondiale, in cui le varie tradizioni e culture del passato fossero superate da una nuova comunità universale fondata sulla ragione.(4)
Gli Stati Uniti oggi sono l'ultima grande potenza che basi le sue politiche su questa tesi illuminista. Secondo l'"ortodossia di Washington", il "capitalismo democratico" verrà presto accettato in tutto il mondo. Il mercato libero globale diventerà una realtà. Le molteplici culture e sistemi economici che il mondo ha sempre contenuto diverranno superflue. Verranno unificate in un unico mercato libero universale.
Le organizzazioni transnazionali animate da questa filosofia hanno cercato di imporre i mercati liberi sulla vita economica delle società in tutto il mondo e hanno sviluppato programmi di politiche il cui obiettivo ultimo è di incorporare le diverse economie del mondo in un unico mercato libero globale. Questa è un'utopia che non potrà mai realizzarsi; perseguirla ha già prodotto la frammentazione sociale e l'instabilità economica e politica su vasta scala.
Negli Stati Uniti il mercato libero ha concorso al verificarsi di un crollo sociale su una scala mai vista prima negli altri paesi sviluppati. In America le famiglie sono più deboli che in qualsiasi altro paese; quanto all'ordine sociale, esso è stato sostenuto da una politica di carcerazione di massa. Nessun altro paese industriale avanzato, a parte la Russia postcomunista, utilizza la carcerazione come mezzo di controllo sociale al pari degli Stati Uniti. I mercati liberi, la disgregazione delle famiglie e delle comunità e l'uso delle sanzioni penali come ultima risorsa contro il crollo sociale, vanno di pari passo.
Il mercato libero, inoltre, ha indebolito o distrutto altre istituzioni da cui dipende la coesione sociale negli USA. Ha generato un lungo boom economico da cui la maggioranza degli Americani non ha tratto beneficio. I livelli di ineguaglianza sociale negli Stati Uniti sono paragonabli a quelli dei paesi latino- americani più che a quelli di qualsiasi società europea. Eppure tali conseguenze dirette del mercato libero non lo hanno indebolito: esso resta la mucca sacra della politica americana e viene identificato con la pretesa dell'America di essere un modello per una civiltà universale. Il progetto illuminista e il mercato libero si sono fatalmente intrecciati.
Un mercato globale unico è il progetto illuminista di una civilità universale in quella che è probabilmente la sua forma finale, ma non è la sola variante di quel progetto a essere stata tentata in un secolo ricco di false utopie. Quella che una volta era l'Unione Sovietica incarnava un'utopia illuminista rivale, l'utopia di una civiltà universale nella quale i mercati fossero sostituiti dalla pianificazione centrale. I costi umani di questa defunta utopia sono stati incalcolabili. Milioni di vite sono andate perdute nel terrore totalitario, nell'onnipresente corruzione e nell'apocalittico degrado ambientale. Il progetto sovietico ha avuto un prezzo incommensurabile in termini di sofferenza umana, eppure non è riuscito a diffondere in Russia la modernizzazione promessa. Alla fine dell'epoca dei soviet la Russia era per certi versi più lontana dalla modernità di quanto non fosse stata negli ultimi tempi zaristi.
L'utopia del mercato libero globale non ha richiesto costi umani paragonabili a quelli del comunismo. Col tempo, tuttavia, quanto a sofferenze inflitte potrebbe giungere a rivaleggiare con esso. Si tratta di un'utopia che ha già costretto oltre cento milioni di contadini a diventare lavoratori emigranti in Cina, ha prodotto l'esclusione dal lavoro e dalla partecipazione alla società di decine di milioni di persone nei paesi avanzati, una quasi anarchia e il dominio del crimine organizzato in parti del mondo postcomunista, e il progredire della devastazione ambientale.
Benché un mercato libero globale non possa essere conciliato con alcun tipo di economia pianificata, ciò che queste utopie hanno in comune è più importante delle loro differenze. Con il loro culto della ragione e dell'efficienza, la loro ignoranza della storia e il loro disprezzo per i modi di vita che consegnano alla povertà o all'estinzione, esse rivelano la stessa hybris razionalista e lo stesso imperialismo culturale che hanno segnato le tradizioni fondamentali del pensiero illuminista per tutta la sua storia.
Un mercato libero globale presuppone che la modernizzazione economica significhi ovunque la stessa cosa. Esso intende la globalizzazione dell'economia (la diffusione della produzione industriale in economie di mercato interconnesse in tutto il mondo) come l'inesorabile avanzata di un unico tipo di capitalismo occidentale: il mercato libero americano.
La storia più recente ci dimostra che è vero il contrario. La modernizzazione economica non replica il sistema del mercato libero americano in tutto il mondo. Va nella direzione opposta al mercato libero. Diffonde tipi indigeni di capitalismo che devono poco a qualsiasi modello occidentale.
Le economie di mercato dell'Asia orientale divergono profondamente l'una dall'altra, basti guardare alle differenze esemplari tra il capitalismo della Cina e quello del Giappone. O al capitalismo russo, che differisce in maniera profonda dal capitalismo cinese. L'unica cosa che queste nuove specie di capitalismo hanno in comune è che non stanno convergendo su alcun modello occidentale.
L'insorgere di un'economia realmente globale non implica l'estensione di valori e istituzioni occidentali al resto dell'umanità. Significa la fine dell'era della supremazia occidentale globale. Le originali economie moderne dell'Inghilterra, dell'Europa occidentale e del nord America non sono modelli per i nuovi tipi di capitalismo creati dal mercato globale. La maggioranza dei paesi che cercano di rimodellare le loro economie sul modello dei mercati liberi anglosassoni, non raggiungeranno una modernità sostenibile.
L'odierna utopia di un mercato globale unico presuppone che la vita economica di ogni nazione possa essere rimodellata sull'immagine del mercato libero americano. Eppure negli Stati Uniti il mercato libero ha frantumato la civiltà capitalista liberale, fondata sul New Deal di Roosevelt sul quale poggiava la sua prosperità postbellica. Gli Stati Uniti sono solo il caso limite di una verità generale. In qualunque recente società moderna siano promossi i mercati deregolamentati, essi producono nuove varietà di capitalismo.
In Cina essi hanno moltiplicato una nuova variante del capitalismo praticato dagli emigranti cinesi in tutto il mondo. In Russia il crollo delle istituzioni sovietiche non ha prodotto mercati liberi, ma una nuova varietà di anarco-capitalismo post-comunista.
E neppure si può dire che la crescita di un'economia mondiale stia favorendo la diffusione universale della democrazia liberale occidentale. In Russia essa ha prodotto un tipo ibrido di governo democratico, nel quale è fondamentale il forte potere presidenziale. A Singapore e in Malesia la modernizzazione e la crescita economica sono state ottenute senza perdita di coesione sociale da parte di governi che rifiutano l'autorità universale della democrazia liberale. Magari un governo simile potrebbe emergere anche in Cina, una volta che sia diventata pienamente post-comunista.
L'economia mondiale non rende universale un unico regime, il "capitalismo democratico". Essa propaga nuovi tipi di regimi mano a mano che moltiplica nuovi tipi di capitalismo. L'economia globale attualmente in costruzione non garantirà il futuro del mercato libero. Scatenerà una nuova competizione tra le restanti economie del mercato sociale e i mercati liberi, competizione nella quale i mercati sociali dovranno riformarsi in profondità o venire distrutti. Paradossalmente, in questa competizione le economie del mercato libero non saranno le vincitrici, poiché anch'esse stanno subendo una trasformazione al di là del riconoscibile a opera della competizione globale.
I governi del mercato libero degli anni '80 e '90 hanno fallito nel raggiungere molti dei loro obiettivi. In Gran Bretagna, i livelli di tassazione e di spese statali erano altrettanto alti, se non più alti, dopo diciotto anni di governo thatcheriano di quanto fossero quando il partito laburista perse il potere nel 1979.
I governi di libero mercato modellano le proprie politiche ispirandosi all'era del laissez faire, il periodo a metà del diciannovesimo secolo in cui il governo sosteneva di non dover intervenire nella vita economica. In realtà non è possibile reinventare un'economia laissez faire, vale a dire un'economia in cui i mercati sono deregolamentati e posti al di là della possibilità di controllo politico o sociale. Persino al suo culmine, era una definizione sbagliata. Era infatti stata creata dall'azione coercitiva dello stato, e dipendeva per ogni aspetto del suo funzionamento dal potere del governo. Con la Prima guerra mondiale il mercato libero cessò di esistere nella sua forma più estrema, perché non riusciva a soddisfare i bisogni dell'uomo -- compreso quello della libertà personale.
Tuttavia, senza diminuire il ruolo dello stato né ristabilire le istituzioni sociali che sostenevano il mercato libero al suo culmine in età medio-vittoriana, le politiche del mercato libero hanno stimolato nuove ineguaglianze di reddito, ricchezza, accesso al lavoro e qualità della vita pari a quelle riscontrate nel mondo enormemente più povero della metà del diciannovesimo secolo.
Nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo il danno portato dal mercato libero ad altre istituzioni sociali e al benessere della popolazione dette origine a contro-movimenti politici che la trasformarono radicalmente. Un'ondata legislativa, come reazione a differenti aspetti del mercato libero in atto, lo regolò nuovamente in modo che il suo impatto su altre istituzioni sociali e sui bisogni umani fosse temperato. Il laissez faire del periodo centrale dell'età vittoriana dimostrò che la stabilità sociale e il libero mercato non possono essere compatibili a lungo.
L'Inghilterra aveva un'economia di mercato sia prima che dopo il breve esperimento vittoriano di laissez faire, ma in entrambi i casi i mercati erano regolati in modo che i loro meccanismi minacciassero il meno possibile la stabilità sociale. Il mercato libero è stato l'istituzione sociale preponderante soltanto durante i periodi di laissez faire, ovvero nell'Inghilterra della metà del diciannovesimo secolo e in altre parti del mondo negli anni '80 e '90 di questo secolo.
Le economie di mercato regolamentate dell'era post-bellica non sono emerse attraverso una serie di riforme graduali. Si sono sviluppate come conseguenza di grandi conflitti sociali, politici e militari. In Gran Bretagna l'affermarsi del pensiero di Keynes e di Beveridge fu reso possibile dagli imperativi di una guerra per la sopravvivenza nazionale che aveva strappato alla radice le strutture sociali prebelliche.
Nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo il mercato libero si arenò sugli eterni bisogni umani di sicurezza economica. Nel ventesimo secolo l'ordine economico liberale internazionale è crollato violentemente nelle guerre e nelle dittature degli anni '30. Quel cataclisma è stato la precondizione della prosperità e della stabilità politica postbellica. Negli anni '30 il mercato libero si è dimostrato un'istituzione intrinsecamente instabile. Costruito in base a un sofisticato progetto, è crollato nella confusione e nel caos. È improbabile che la storia del mercato libero globale del nostro tempo sarà molto diversa.
Non c'è alcuna possibilità che la Gran Bretagna ritorni a una politica economica keynesiana, o che gli Stati Uniti ripropongano un New Deal roosveltiano, o che qualche paese continentale (tranne forse Norvegia e Danimarca) perpetui livelli di benessere sociale paragonabili a quelli della democrazia sociale e cristiana europea.
Il mercato sociale continentale che ha dato vita alla prosperità postbellica tedesca sarà tra le vittime più illustri dei mercati liberi globali. Subirà questo destino insieme al capitalismo liberale americano, che ha garantito la prosperità negli Stati Uniti e in tutto il mondo per una generazione dopo la Seconda guerra mondiale.
Alcuni governi nazionali potranno usare la libertà di manovra che ancora possiedono per mettere a punto politiche che, a qualche livello, riconcilino gli imperativi dei mercati globali con i bisogni della coesione sociale, ma gli stretti margini di riforma ancora aperti ad alcuni stati sovrani non consentiranno a nessuno di essi un ritorno al passato.
Le organizzazioni transnazionali che controllano l'economia mondiale oggi sono veicoli di un'ortodossia post-keynesiana. A livello degli stati sovrani, esse sostengono che la gestione delle economie nazionali tramite il controllo della domanda non è né fattibile né auspicabile. Tutto ciò di cui i mercati liberi necessitano per coordinare l'attività economica è una struttura che assicuri la stabilità monetaria e fiscale. Le politiche keynesiane dell'era post-bellica vengono respinte come inutili o dannose. Secondo queste organizzazioni transnazionali, i mercati liberi sono, a livello globale, autostabilizzanti; non necessitano di alcun controllo supremo che ne prevenga le storture di carattere economico e sociale.
La globalizzazione economica, cioè la diffusione a livello mondiale della produzione industriale e delle nuove tecnologie, promossa dalla mobilità non vincolata dei capitali e dalla libertà di commercio, in realtà è una minaccia alla stabilità del mercato globale unico che le organizzazioni transnazionali guidate dall'America stanno costruendo.
Il paradosso fondamentale del nostro tempo può essere formulato così: la globalizzazione economica non rafforza l'attuale regime di laissez faire globale, ma anzi opera per minarlo. Non vi è nulla, nel mercato globale odierno, che lo protegga contro le tensioni sociali derivanti da uno sviluppo economico fortemente ineguale all'interno e tra le diverse società del mondo. Il rapido calare e crescere di industrie e di mezzi di sussitenza, le improvvise trasformazioni nella produzione e nel capitale, l'azzardo della speculazione sulle valute: queste condizioni innescano contro-movimenti politici che sfidano le regole di base del mercato libero globale.
Il mercato libero mondiale di oggi è privo dei controlli e degli equilibri politici che avevano consentito al suo precursore nell'Inghilterra vittoriana di estinguersi gradatamente. Esso può essere reso più tollerabile per i cittadini degli stati che perseguono politiche innovative e intraprendenti, ma tali riforme marginali non renderanno il mercato libero globale significativamente meno instabile. L'odierno regime di laissez faire globale sarà più breve persino della belle époque degli anni tra il 1870 e il 1914, che terminò nelle trincee della Grande guerra.

La progettazione del mercato libero in Inghilterra all'inizio dell'età vittoriana
Il mercato libero che si sviluppò in Gran Bretagna a metà del diciannovesimo secolo non si produsse per caso. E neppure, contrariamente alla mitologia storica propagata dalla Nuova Destra, emerse da un lungo processo di evoluzione non pianificata. Fu un prodotto artificiale del potere e della politica. In Giappone, Russia, Germania e negli Stati Uniti durante i decenni del protezionismo americano, l'intervento dello stato ha costituito un fattore chiave nello sviluppo economico.
Il laissez faire non è una condizione necessaria per il successo dell'industrializzazione o per la crescita economica continua. Le istituzioni politiche che hanno accompagnato una crescita economica costante e una rapida e diffusa industrializzazione nella maggior parte del mondo sono state quelle di uno stato capitalista che favorisce lo sviluppo. Il caso inglese, in cui laissez faire, commercio libero e industrializzazione coincisero, è un caso sui generis.
Anche nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo l'intervento dello stato, su scala estremamente ambiziosa, fu senza dubbio un prerequisito indispensabile all'economia del laissez faire. Una precondizione del mercato libero britannico del diciannovesimo secolo fu l'uso del potere statale per trasformare la terra comune in proprietà privata. Ciò fu realizzato mediante le cosiddette enclosures (annessioni arbitrarie di terreni da parte di grandi proprietari), che vennero praticate dalla Guerra civile del 1640-49 fino ai primi tempi dell'età vittoriana. Queste appropriazioni terriere spostarono l'ago della bilancia, nell'economia di mercato agricola inglese, dai contadini e dai piccoli proprietari verso i grandi proprietari terrieri del tardo diciottesimo secolo e dell'inizio del diciannovesimo. Ideologi come F.A. Hayek, che hanno elaborato grandiose teorie secondo cui le economie di mercato emergono grazie a una lenta evoluzione nella quale lo stato ha un ruolo marginale, non solo hanno compiuto generalizzazioni a partire da un caso singolo, ma lo hanno travisato.
Barrington Moore riassume così la storia del movimento delle enclosures: "In definitiva era il parlamento a controllare il processo di enclosure. Formalmente, le procedure con cui un proprietario terriero legalizzava un'enclosure erano pubbliche e democratiche. In realtà, i grandi proprietari dominavano i procedimenti dall'inizio alla fine." Più oltre commenta: "L'arco di tempo in cui questi cambiamenti ebbero luogo più rapidamente e profondamente non è del tutto chiaro. Tuttavia sembra assai probabile che le enclosures abbiano raggiunto la loro massima proliferazione durante le guerre napoleoniche, per poi finire dopo il 1832, dopo che avevano ormai trasformato la campagna inglese al di là del riconoscibile."(5)

È esagerato suggerire, come fa Barrington Moore, che le enclosures trasformarono l'Inghilterra da una società contadina in un'economia di mercato. L'economia di mercato precede di secoli il movimento delle enclosures. Tuttavia esse contribuirono a dar forma all'economia agraria capitalista del diciannovesimo secolo basata sul latifondo. Il libero mercato medio-vittoriano fu il prodotto di una coercizione dello stato, esercitata per parecchie generazioni, in cui il diritto di proprietà veniva fatto e disfatto dal parlamento.
Lo stato britannico in cui il mercato libero venne in tal modo costruito -- diversamente dalla maggior parte di quelli in cui viene costruito attualmente -- era predemocratico. Il diritto di voto era limitato e la grande maggioranza della popolazione era esclusa dalla partecipazione politica. È dubbio che il mercato libero sarebbe mai stato organizzato se fossero esistite istituzioni democratiche funzionanti. È del resto un'evidenza storica che il mercato libero ha iniziato a indebolirsi con l'ingresso della totalità della popolazione nella vita politica. Come hanno sempre riconosciuto gli ideologi più lungimiranti della Nuova Destra, un mercato senza vincoli è incompatibile con il governo democratico.
L'esperimento di mercato libero del tardo ventesimo secolo è un tentativo di legittimare, attraverso istituzioni democratiche limiti severi alla portata e al contenuto del controllo democratico sulla vita economica. Le condizioni predemocratiche del mercato libero medio-vittoriano ci dicono molto sulle sue prospettive di legittimità politica oggi.
Tra le misure che concorsero a creare il mercato libero, nessuna fu più importante dell'abrogazione delle leggi sul frumento (Repeal of the Corn Laws), che di fatto istituì il libero commercio agricolo. La legge sul frumento del 1815, che succedette alla legislazione protezionista risalente in varie forme al diciassettesimo secolo, fu abrogata nel 1846 decretando una vittoria decisiva per i sostenitori del libero commercio.
L'abrogazione della legge sul frumento fu una sconfitta per gli interessi fondiari e un trionfo per il pensiero del laissez faire. La proposizione che un'economia di mercato deve sempre essere soggetta alla definitiva supervisione e al controllo della politica mirante a salvaguardare la coesione sociale, aveva sino ad allora fatto parte del senso comune, e certamente tra i conservatori. Il libero commercio era poco più di una teoria radicale. In Inghilterra, da allora in poi, la situazione fu ribaltata. Il libero commercio divenne patrimonio comune delle classi politiche di tutti i partiti, e il protezionismo un'eresia selvaggia, fino ai disastri degli anni '30.
Non meno significativa per la formazione del mercato libero fu la Poor Law Reform, la riforma della legge sui poveri. Il Poor Law Act del 1834 fu un atto legislativo decisivo. Esso fissò il livello di sussistenza al di sotto del salario più basso stabilito dal mercato. Stigmatizzò il beneficiario stabilendo condizioni più dure e avvilenti per l'assistenza. Indebolì l'istituzione della famiglia. Stabilì un regime di laissez faire in cui gli individui diventavano gli unici responsabili del loro benessere, anziché condividere questa responsabilità con la comunità.
Eric Hobsbawm coglie il retroterra, il carattere e gli effetti delle riforme del welfare degli anni '30 del secolo scorso quando scrive:
"Il punto di vista tradizionale, che ancora sopravviveva in maniera distorta in tutte le classi della società rurale e nelle relazioni tra i gruppi delle classi lavoratrici, era che un uomo avesse il diritto di guadagnarsi da vivere, e, qualora non ne fosse in grado, avesse il diritto di essere mantenuto in vita dalla comunità. Il punto di vista degli economisti liberali della classe media era che gli uomini dovessero accettare quei lavori che il mercato offriva, dovunque e a qualsiasi prezzo, e l'uomo razionale si sarebbe, con un risparmio individuale o collettivo volontario, assicurato contro infortuni, malattie e vecchiaia. Il resto dei poveri non poteva, ovviamente, essere lasciato morire di fame, ma non si doveva dar loro più del minimo assoluto -- assicurandosi che fosse inferiore al salario più basso offerto dal mercato, e alle condizioni più scoraggianti. La legge sui poveri non mirava tanto ad aiutare gli sfortunati quanto a stigmatizzare i fallimenti della società di cui essa prendeva atto... Ci sono state poche leggi più inumane del Poor Act del 1834, che rendeva ogni assistenza `meno desiderabile' della paga più bassa, confinava il povero al lavoro da galeotti delle work-house, separando così mariti, mogli e figli allo scopo di punire i poveri per la loro povertà."(6)

Intorno alla metà del periodo vittoriano questo sistema si applicava almeno al 10 per cento della popolazione inglese, e rimase in funzione fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.
L'obiettivo principale delle riforme della Poor Law era di spostare dalle comunità agli individui la responsabilità della tutela contro incertezze e disgrazie, e di costringere la gente ad accettare lavoro a qualunque prezzo offrisse il mercato. Il medesimo principio ispira molte riforme del welfare che hanno favorito la riorganizzazione del mercato libero nel tardo ventesimo secolo.
Nell'era della Nuova Destra, come nell'Inghilterra medio-vittoriana, le conseguenze impreviste delle preesistenti istituzioni del welfare erano così gravi da rendere le riforme del welfare stesso non solo politicamente inevitabili, ma assolutamente auspicabili. Il sistema ottocentesco di incrementare i salari con le tasse locali aveva creato un vasto sistema di assistenza per i poveri che non era sostenibile all'infinito. Negli anni '80 alcuni istituti del welfare state di Beveridge non corrispondevano più ai modelli contemporanei di famiglia e di vita lavorativa. Essi correvano il rischio di istituzionalizzare la povertà, piuttosto che di porvi fine. Gli strateghi della Nuova Destra hanno fatto leva su questi pericoli per modificare gli stanziamenti per il welfare e adeguarli agli imperativi dei mercati deregolamentati.
Non meno importante della riforma della Poor Law nella metà del diciannovesimo secolo fu la legislazione volta a rimuovere gli ostacoli alla determinazione dei salari da parte del mercato. David Ricardo esprimeva la posizione ortodossa degli economisti classici quando scriveva: "I salari dovrebbero essere lasciati alla giusta e libera competizione del mercato, e non dovrebbero mai essere controllati dall'intervento della legge".(7)

Fu appellandosi a tali affermazioni canoniche del laissez faire che lo Statute of Apprentices (emanato dopo la Peste Nera nel quattordicesimo secolo) venne abrogato e tutti gli altri controlli sui salari terminarono nel periodo precedente il 1830. Persino i Factory Acts del 1833, 1844 e 1847 evitavano ogni conflitto frontale con le ortodossie del laissez faire. "Il principio in base al quale non dovrebbe esserci alcuna interferenza nella libertà di contratto tra padrone e salariato fu onorato al punto che nessuna interferenza legislativa diretta fu introdotta nel rapporto tra datori di lavoro e maschi adulti... per un altro mezzo secolo fu ancora possibile sostenere, anche se con minore plausibilità, che il principio di non-interferenza rimanesse inviolato."(8)
La rimozione del protezionismo agricolo e l'introduzione del libero commercio, la riforma delle leggi sulla povertà con lo scopo di costringere i poveri ad accettare qualsiasi lavoro e la rimozione di ogni residuo controllo sui salari furono i tre passi decisivi per la costruzione del mercato libero nell'Inghilterra della metà del diciannovesimo secolo. Queste misure chiave crearono, a partire dall'economia di mercato degli anni '30 del secolo scorso, il mercato libero non regolamentato medio-vittoriano, che sarà il modello per tutte le successive politiche neoliberali.
La riforma delle istituzioni del welfare per costringere i poveri ad accettare qualsiasi lavoro disponibile, l'eliminazione della concertazione salariale e di altri controlli sul reddito e l'apertura dell'economia nazionale al commercio libero globale non regolamentato sono state le politiche neoliberali cardine degli anni '80 e '90 in tutto il mondo. In ciascun caso il cuore del libero mercato è stato la deregolamentazione del mercato del lavoro. In Gran Bretagna, Stati Uniti e Nuova Zelanda, o nei paesi, come il Messico, che hanno subìto l'imposizione di riforme strutturali a opera delle istituzioni finanziarie transnazionali, il risultato è stato quello dell'approssimazione a un mercato libero, nel quale il lavoro viene scambiato liberamente come un qualsiasi altro bene.

L'introduzione del libero mercato nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo rappresenta per molti aspetti una singolarità storica. Esso si produsse, per un certo tempo con un relativo successo, in circostanze storiche singolarmente fortunate. Nel resto dell'Europa non si tentò nulla di simile all'esperimento inglese del libero mercato. Il progetto inglese del diciannovesimo secolo, così come il suo equivalente moderno, non avrebbe potuto progredire come ha fatto se non avesse seguito il flusso di grandi cambiamenti economici e tecnologici.
Le istituzioni sociali che in Inghilterra edificarono il mercato libero approfittarono di una situazione sviluppatasi nel corso di secoli. Durante questo percorso storico, le forze di mercato erano divenute una forza dominante della vita sociale. Lo scambio di mercato era sempre esistito, e in Inghilterra un'economia di mercato esisteva da centinaia di anni, ma fu solo in questo momento della storia che il mercato realmente libero venne a esistere, creando così una società di mercato.
Karl Polanyi osserva: "In definitiva... il controllo del sistema economico da parte del mercato ha conseguenze enormi sull'intera organizzazione della società; significa niente meno che la gestione della società come un'appendice del mercato. Non è l'economia a essere incastonata nei rapporti sociali, sono i rapporti sociali a essere incastonati nel sistema economico".(9) Qui Polanyi opera una distinzione tra società in cui le attività economiche, compresi tutti i fenomeni che raggruppiamo sotto la categoria di scambio di mercato, sono inseparabili da altri ambiti di attività sociale, e società in cui i mercati costituiscono un ambito a parte, distinto e indipendente da tutti gli altri.
Nelle società tradizionali premoderne i prezzi spesso hanno lo status di convenzioni, molti beni non possono essere comprati o venduti, lo scambio è legato al luogo e alla parentela, e "il mercato" non è ancora emerso come istituzione sociale e culturale distinta. In tali società non esiste una cosa come "il mercato".
Nelle società di mercato, invece, non solo l'attività economica è distinta dal resto della vita sociale, ma condiziona e a volte domina l'intera società. In alcuni paesi dell'Europa nordoccidentale, all'inizio dell'epoca moderna, i mercati si sono sviluppati e liberati a vari livelli da quanto rimaneva delle forme di controllo sociale di epoca medievale. Eppure in nessun paese tranne l'Inghilterra è nata l'istituzione sociale del mercato libero. I paesi dell'Europa continentale erano economie di mercato, ma non società di mercato. Così sono rimaste sino a oggi.
Polanyi osserva che l'emergere di società di mercato non è il risultato del caso o dell'evoluzione, ma è il prodotto di interventi politici continui e sistematici.
"Il passo che rende i mercati isolati un'economia di mercato e i mercati regolati un mercato autoregolato è davvero cruciale. Il diciannovesimo secolo immaginava ingenuamente che tale sviluppo fosse l'esito naturale della diffusione dei mercati. Non ci si rese conto che adattare i mercati a un sistema autoregolato non era il risultato di alcuna tendenza intrinseca nei mercati stessi, ma piuttosto l'effetto di stimolanti artificiali somministrati all'organismo sociale, allo scopo di adeguarlo a una situazione che era stata creata dal fenomeno non meno artificiale della macchina."(10)

Qui dobbiamo correggere l'interpretazione marxiana di Polanyi. Dobbiamo prendere in considerazione il carattere eccezionale delle condizioni sociali in Inghilterra all'inizio del diciannovesimo secolo. A differenza di qualsiasi altro paese dell'Europa continentale, l'Inghilterra possedeva da tempo una cultura legale della proprietà che era altamente individualista. La terra veniva da tempo scambiata come una merce, il lavoro era da tempo mobile, l'immobilità della vita rurale tipica di molti paesi europei continentali era rara o sconosciuta, e la vita familiare somigliava più a quella delle famiglie nucleari moderne che non alle famiglie estese premoderne. A differenza di altri paesi europei, l'Inghilterra già nel diciannovesimo secolo non era più una società contadina.
A questo proposito Alan Macfarlane potrebbe aver ragione nel sostenere che "una delle più importanti teorie dell'antropologia economica è errata, cioè l'idea che in Inghilterra tra i secoli sedicesimo e diciannovesimo siamo testimoni della `Grande Trasformazione' da una società contadina non di mercato dove l'economia è `incastonata' nei rapporti sociali, a un sistema capitalista di mercato moderno dove l'economia e la società sono state nettamente separate. Questo punto di vista" -- prosegue Macfarlane -- "è espresso con la massima chiarezza nell'opera di Karl Polanyi... quando Adam Smith fondò l'economia classica sul presupposto dell'uomo razionale `economico', credendo di descrivere un tipo universale da tempo manifesto, si sbagliava. Secondo Polanyi un tale uomo era emerso solo allora, spogliato dei suoi bisogni rituali politici e sociali... [Ma] era Smith ad avere ragione e Polanyi ad avere torto, almeno riguardo all'Inghilterra. "L'`homo oeconomicus' e la società di mercato erano presenti in Inghilterra da secoli prima che Smith scrivesse." Macfarlane conclude, tuttavia, che "l'intuizione di Polanyi che Smith stesse scrivendo all'interno di un particolare ambiente sociale è corretta, una volta che ci rendiamo conto che per molti aspetti l'Inghilterra probabilmente era da tempo diversa rispetto a quasi tutte le altre civiltà agrarie di nostra conoscenza".(11)

Il mercato libero era, e resta, una singolarità anglosassone. Fu costruito in un contesto assente in ogni altra società europea; e rimase al suo apice per circa una generazione soltanto. Non sarebbe stato possibile crearlo se nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo proprietà e vita economica non fossero state compiutamente individualiste. È stato un esperimento di ingegneria sociale intrapreso in circostanze eccezionalmente propizie.
Rivedere l'analisi di Polanyi della Grande Trasformazione per tenere conto di queste considerazioni non limita la sua applicabilità alla nostra situazione attuale. Esse al contrario vedono accresciuta la propria rilevanza, e illuminano persino più chiaramente l'hybris insita nel tentativo di trapiantare in tutto il mondo un'istituzione sociale comparsa solo brevemente nella storia di un singolo ramo del capitalismo: una prima volta nel diciannovesimo secolo, nel paradigmatico caso inglese, e di nuovo negli anni '80 di questo secolo, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda, come conseguenza di politiche neoliberali.
In una prospettiva storica più ampia, non sorprende affatto che questi paesi anglosassoni siano gli unici nei quali il mercato libero è esistito anche solo per un breve periodo. Questo poiché, come osserva Macfarlane, "le sole aree che non ebbero mai società contadine furono quelle colonizzate dall'Inghilterra: Australia, Nuova Inghilterra, Canada e Nord America".(12) Questi paesi anglosassoni erano società in cui l'industrializzazione fu preceduta da una cultura e da un'economia di individualismo agrario. Essi avevano sviluppato una cultura economica in cui il mercato libero poté essere introdotto per un breve periodo, ma che presupponeva tuttavia anche eccezionali condizioni sociali, economiche e legislative, insieme al ricorso senza scrupoli ai poteri di uno stato forte. Persino in questi ambienti favorevoli, il mercato libero si dimostrò così costoso in termini umani e così distruttivo della vita sociale che non lo si poté rendere stabile. Fu la scomparsa del mercato libero del diciannovesimo secolo, e non la sua insorgenza, a prodursi come risultato di una lenta evoluzione storica. In questa evoluzione fu decisivo l'imprevisto impatto delle istituzioni politiche democratiche.
Il mercato libero esistito in Inghilterra dagli anni '40 agli anni '70 del secolo scorso non potrebbe essere riprodotto. Nei termini strettamente economici dell'aumento della produttività e della ricchezza nazionale, l'età medio-vittoriana fu un periodo di boom. Ma un boom dai costi sociali politicamente insostenibili.(13)

Con l'estendersi del diritto di voto democratico, si estese anche l'intervento dello stato nell'economia. Dagli anni '70 dell'Ottocento fino alla Prima guerra mondiale fu applicata una gran quantità di riforme che limitarono le libertà del mercato a favore della coesione sociale (e a volte dell'efficienza economica). Nel 1870 fu approvato l'Education Act, una legge sull'istruzione "palesemente interventista". Queste riforme non rappresentavano l'esecuzione di alcun progetto globale, ma al volgere del secolo avevano posto fine al breve episodio inglese di laissez faire. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, in Gran Bretagna erano ormai stati posti i fondamenti del welfare state.
Il libero commercio sopravvisse fino all'impatto sulla Gran Bretagna della Grande Depressione, e persistette a lungo come un dogma anche dopo che la sua utilità come ideologia si era esaurita. Fu abbandonato solo quando la perdita del vantaggio relativo della Gran Bretagna nel commercio internazionale divenne intollerabile. Come ha scritto Corelli Barnett: "Fu solo l'approssimarsi di un'altra grande emergenza, la depressione mondiale, che alla fine ruppe il tabù della dottrina economica liberale in Gran Bretagna. Il libero commercio in sé fu abbandonato nel 1931. Erano passati quasi cento anni da quando esso aveva aperto la strada alla dipendenza britannica dai mercati e dai prodotti d'oltremare per la sua stessa esistenza..."(15) A metà del diciannovesimo secolo il libero commercio fu adottato dalla Gran Bretagna per parecchie ragioni, compreso il vantaggio relativo che la Gran Bretagna, in quanto primo paese industrializzato, ancora possedeva nei mercati mondiali. Il potere delle idee del laissez faire in Gran Bretagna rifletteva tale vantaggio.

Il pensiero del laissez faire fu soppiantato dai pensatori "New Liberal" quali Hobhouse, Hobson, Bosanquet, Green e Keynes, decisi a adoperare i poteri dello stato per moderare gli effetti delle forze di mercato, per alleviare la povertà e favorire il benessere sociale. Nella prima decade di questo secolo i "New Liberal" trovarono in Lloyd George il loro primo e più importante architetto politico.
La lenta crescita della legislazione del welfare nell'ultimo quarto del diciannovesimo secolo fu seguita da un rapido progresso nella direzione del welfare state. Sia la filosofia che le politiche che avevano creato il libero mercato furono abbandonate. L'insicurezza economica del mercato libero interagì con gli imperativi della competizione dei partiti in una democrazia nascente. Il risultato fu l'eliminazione dell'influenza politica del laissez faire.
Tuttavia, la classica illusione liberale del libero mercato come sistema autoregolato sopravviveva ancora negli anni tra le due guerre. Essa ispirò la riduzione deflazionistica delle spese che aggravò il crollo della Grande Depressione. Persino la crescita dei movimenti fascisti, che si nutrivano delle difficoltà economiche postbelliche dell'Europa, non fu sufficiente a far vacillare la fiducia in mercati capaci di correggersi autonomamente. Fu necessaria la catastrofe della Seconda guerra mondiale per spingere l'ortodossia economica ad accettare le idee keynesiane.
Le politiche economiche programmate del periodo postbellico, comunque, non scaturirono da una conversione intellettuale dal laissez faire. Esse sorsero dall'orrore per i crolli economici e per le dittature che avevano portato alla Seconda guerra mondiale e dal rifiuto risoluto degli elettori inglesi di ritornare all'ordine sociale degli anni tra le due guerre.

L'idea di un ordine economico internazionale in grado di autostabilizzarsi perì nelle dittature totalitarie, nelle migrazioni forzate, nei bombardamenti a tappeto alleati e nell'orrore incommensurabile del genocidio nazista. In Gran Bretagna quest'idea fu uccisa dall'esperienza di un'economia di guerra, molto più efficiente di quella della Germania nazista, in cui la disoccupazione era sconosciuta e gli standard nutrizionali e sanitari erano più alti per la maggioranza della popolazione di quanto non fossero stati in tempo di pace.
Il laissez faire fece un ritorno anacronistico ed effimero nella vita politica durante gli anni '80 e '90. La produttività in declino e i conflitti sociali e industriali del corporativismo britannico furono i catalizzatori per l'intervento del Fondo Monetario Internazionale nella gestione dell'economia britannica nel 1976. Questo intervento dette inizio al rapido venir meno del consenso economico postbellico keynesiano in Gran Bretagna, che culminò con l'ascesa al potere di Margaret Thatcher nel 1979.
Il governo della signora Thatcher colse lo spirito del tempo e rispose ad alcune delle necessità della Gran Bretagna. Nei loro primi anni i conservatori avevano portato a termine, come i laburisti non avrebbe potuto fare, lo smantellamento del corporativismo britannico, che era una precondizione della modernizzazione economica. Ma questa necessaria risposta a un particolare dilemma nazionale degenerò in un'ideologia universale. La Thatcher divenne un'icona del mercato libero globale, e le sue politiche furono emulate in tutto il mondo.
È probabile che il destino del regime di deregulation e marketization instaurato in molti paesi negli anni '80 sia simile a quello del mercato libero dell'Inghilterra del diciannovesimo secolo. Ma sarà più difficile ora di quanto lo fu allora attenuare i costi sociali dei mercati liberi. L'influenza dei governi nazionali sulle economie è molto più debole. Se i mercati sociali sopravviveranno o verranno ricostruiti dovranno essere incorporati in istituzioni nuove e più flessibili.
Forti ineguaglianze economiche in tendenziale aumento minacciano la stabilità politica del mercato libero a livello sia nazionale sia globale. È difficile credere che il consesso di grandi potenze guidate dall'America su cui si basa l'odierno mercato globale possa sopportare una prolungata recessione nell'economia mondiale. Le politiche di gestione della crisi che in un recente passato hanno evitato la catastrofe ormai non sono più adeguate.
È proprio dalle politiche odierne che potrebbe risultare il crollo dell'attuale regime economico globale. Chi immagina che i grandi errori della politica non si ripetano nella storia non ne ha appreso la principale lezione: nulla rimane acquisito a lungo. Attualmente ci troviamo in mezzo a un esperimento di ingegneria sociale utopistica di cui possiamo conoscere in anticipo l'esito.

La falsa aurora del mercato libero globale
Le politiche di laissez faire che produssero la Grande Trasformazione nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo si basavano sulla teoria che le libertà di mercato sono naturali e i vincoli politici sui mercati sono artificiali. La verità è che i mercati liberi sono creazioni del potere statale e durano solo finché lo stato è in grado di impedire ai bisogni umani di sicurezza e di controllo del rischio economico di trovare espressione politica.
In assenza di uno stato forte impegnato in un programma economico liberale, i mercati verranno ostacolati inevitabilmente da una miriade di vincoli e regolamenti. Questi nasceranno spontaneamente in risposta a problemi sociali specifici e non come elementi di un disegno grandioso. I parlamentari che approvarono i Factory Acts negli anni '60 e '70 dell'Ottocento non stavano ricostruendo la società o l'economia in base a un piano. Cercavano soluzioni ai problemi della vita lavorativa (pericolo, degrado, inefficienze) via via che ne divenivano consapevoli. Lo scomparire del laissez faire fu la conseguenza non voluta di una moltitudine di simili risposte non coordinate.
In ogni società i mercati ostacolati sono la regola, mentre i mercati liberi sono il prodotto di un artificio, di un piano e della coercizione politica. Il laissez faire dev'essere pianificato centralmente; i mercati regolati esistono e basta. Il mercato libero non è, come i pensatori della Nuova Destra hanno immaginato o sostenuto, un dono dell'evoluzione sociale. È un prodotto finale dell'ingegneria sociale e di una volontà politica determinata. Era realizzabile nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo solo perché e fintanto che mancavano istituzioni democratiche funzionanti.
Queste verità pesano considerevolmente sul progetto di costruire un mercato libero mondiale in un'era di governo democratico. Esse infatti implicano che le regole del gioco del mercato devono essere sottratte alla deliberazione democratica e alla riforma politica. La democrazia e il mercato libero sono rivali, non alleati.
La controparte naturale di un'economia di mercato libero è una politica di insicurezza. Se "capitalismo" significa "il mercato libero", allora non c'è una convinzione più erronea di quella secondo cui il futuro sta nel "capitalismo democratico". Nel normale corso di una vita politica democratica il mercato libero è sempre di breve durata. I suoi costi sociali sono tali che esso non può venir legittimato per molto tempo in qualsiasi democrazia. Questa verità è dimostrata dalla storia del mercato libero in Gran Bretagna, ed è ben compresa dai pensatori neo-liberali più lungimiranti che progettano di globalizzare il mercato libero.
Coloro i quali cercano di pianificare un mercato libero su scala mondiale hanno sempre sostenuto che la struttura legale, che ha il compito di definire e imporre limiti, dev'essere posta al di là della portata di qualsiasi legiferazione democratica. Gli stati sovrani possono far domanda per appartenere alla World Trade Organisation, ma è quest'organizzazione, e non la legislazione di un qualsiasi stato sovrano, a determinare che cosa deve valere come commercio libero e che cosa come sua limitazione. Le regole del gioco del mercato devono essere elevate al di là di ogni possibilità di revisione attraverso la scelta democratica.
Il ruolo di un'organizzazione transnazionale come la WTO è quello di diffondere i mercati liberi nella vita economica di ogni società. Ed essa lo fa cercando di costringere al rispetto delle regole che slegano i mercati liberi dai mercati regolamentati o incastonati esistenti in ogni società. Le organizzazioni transnazionali possono farcela solo se immuni dalle pressioni della vita politica democratica.
La descrizione di Polanyi della legislazione necessaria per la creazione di un'economia di mercato nel diciannovesimo secolo vale con uguale forza per il progetto odierno di mercato libero globale, com'è stato proposto dalla World Trade Organisation e da organismi simili.
"Non si deve permettere a nulla di inibire la formazione dei mercati, né ai redditi di formarsi altrimenti che attraverso le vendite. E neppure deve esistere alcuna interferenza nell'adeguamento dei prezzi a mutate condizioni di mercato, siano essi i prezzi di beni, del lavoro, della terra o della moneta. Di conseguenza, non solo devono esistere mercati per tutte le componenti dell'industria, ma non deve essere messa in atto alcuna misura o politica che possa influenzare l'azione di tali mercati. Né il prezzo, né l'offerta, né la domanda devono essere fissi o regolati; solo tali politiche e misure sono adatte ad assicurare l'autoregolamentazione del mercato creando condizioni che rendano il mercato l'unico potere di organizzazione della sfera economica(16)".

Questa è sicuramente una fantasia irrealizzabile, e la sua ricerca da parte di organismi transnazionali ha provocato in tutto il mondo disorganizzazione economica, caos sociale e instabilità politica in paesi enormemente diversi.
Nelle condizioni in cui è stata tentata nel tardo ventesimo secolo, la reinvenzione del mercato libero ha comportato un'ingegneria sociale ambiziosa su vastissima scala. Oggi nessun programma riformista ha possibilità di successo a meno che non capisca che molti dei cambiamenti prodotti, accelerati o rafforzati dalle politiche della Nuova Destra, sono irreversibili. Parimenti, nessuna reazione politica contro le conseguenze delle pratiche del libero mercato sarà efficace se non coglierà le trasformazioni tecnologiche ed economiche che tali politiche sono state in grado di incanalare.

Nei paesi in cui è stata tentata, la reinvenzione del libero mercato ha causato fratture profonde. Gli accordi sociali e politici che ha distrutto, le risoluzioni di Beveridge in Gran Bretagna e il New Deal di Roosevelt negli Stati Uniti, ora non possono essere ricreati. Le economie sociali di mercato dell'Europa continentale non possono essere perpetuate come varianti riconoscibili della democrazia postbellica sociale o cristiana. Chi immagina che possa esservi un ritorno alla "politica normale" della gestione economica postbellica sta illudendo se stesso e gli altri.
Comunque, il mercato libero non è riuscito a conquistare quel potere egemonico che ci si aspettava. In tutti gli stati democratici la supremazia politica del mercato libero è incompleta, precaria e destinata a essere presto indebolita. Esso non può sopravvivere facilmente a periodi di recessione economica prolungata. In Gran Bretagna sono state proprio le conseguenze non volute delle politiche neoliberali a indebolire la presa della Nuova Destra sul potere politico. La fragile coalizione di circoscrizioni elettorali ed economiche che la Nuova Destra ha mobilitato a sostegno delle proprie politiche è stata presto dissolta.
Si è dissolta in parte per gli effetti delle politiche della Nuova Destra e in parte per il gioco delle forze libere nell'economia mondiale. Le politiche della Nuova Destra offrivano a chi le votava un'occasione di mobilità sociale verso l'alto. Col tempo esse hanno disgregato le strutture sociali nelle quali tali aspirazioni erano inserite. Inoltre, esse hanno imposto costi e rischi pesanti ad alcuni di coloro che aspiravano all'acquisizione di proprietà. Da chi è stato vittima di investimenti sbagliati ci si può difficilmente aspettare entusiasmo per quel regime di deregolamentazione che lo ha messo in difficoltà. Le insicurezze economiche esacerbate dalle politiche della Nuova Destra erano destinate a indebolire proprio le coalizioni che all'inizio sostenevano e traevano beneficio da queste politiche. La vittoria schiacciante dei laburisti nel maggio 1997 è dovuta in parte a questi effetti autodistruttivi delle politiche dei conservatori della Nuova Destra.

Tuttavia, le odierne storture della vita sociale ed economica non sono causate solamente dai mercati liberi. In definitiva esse nascono dalla "banalizzazione" della tecnologia. Le innovazioni tecnologiche realizzate nei paesi occidentali avanzati vengono ben presto copiate dovunque. Anche senza le politiche dei mercati liberi, le economie programmate del periodo postbellico non avrebbero potuto sopravvivere perché il progresso tecnologico le avrebbe rese insostenibili.
Le nuove tecnologie rendono impraticabili le politiche di piena occupazione di tipo tradizionale. Le tecnologie dell'informazione hanno gettato nell'instabilità la divisione sociale del lavoro. Molte occupazioni stanno scomparendo e tutti gli impieghi sono meno sicuri. La divisione del lavoro nella società è meno stabile ora di quanto non lo sia stata dopo la Rivoluzione industriale. Ciò che fanno i mercati globali è trasmettere questa instabilità a ogni economia del mondo, rendendo in tal modo universale una nuova politica dell'insicurezza economica.
Il mercato libero non può durare, in un'epoca in cui l'economia mondiale sta riducendo la sicurezza economica della maggioranza delle persone. Il regime di laissez faire non può che innescare contro-movimenti che ne rifiutano le costrizioni. Tali movimenti, che siano populisti e xenofobi, fondamentalisti o neocomunisti, possono raggiungere soltanto pochi dei loro obiettivi, ma possono comunque far cadere a pezzi le fragili strutture che sostengono il laissez faire globale. Dobbiamo accettare che la vita economica del mondo non possa essere organizzata come un mercato libero universale e che forme di governo migliori mediante una regolamentazione globale siano irraggiungibili? Il nostro destino storico è un'anarchia tardo-moderna?

È necessaria una riforma dell'economia mondiale, riforma che accetti come una realtà permanente la diversità di culture, regimi e economie di mercato. Un libero mercato globale è qualcosa che appartiene a un mondo in cui sembrava assicurata l'egemonia occidentale. Come tutte le altre varianti dell'"utopia illuminista" di una civiltà universale, presuppone la supremazia occidentale. Non si concilia con un mondo pluralista in cui non c'é alcuna potenza che possa sperare di esercitare l'egemonia che Gran Bretagna, Stati Uniti e altri stati occidentali possedettero in passato. Non viene incontro alle esigenze di un tempo in cui le istituzioni e i valori occidentali non sono più dotati di autorità universale. Non consente alle molteplici culture del mondo di raggiungere una modernizzazione adeguata alla loro storia, contingenza e bisogni specifici.
Un mercato libero globale opera per porre gli stati sovrani uno contro l'altro in lotte geopolitiche per risorse naturali in diminuzione. L'effetto di una filosofia del laissez faire, che condanna l'intervento dello stato nell'economia, è di imporre tra i paesi una rivalità per il controllo delle risorse che nessuna istituzione ha la responsabilità di conservare.
È inoltre evidente che un'economia mondiale organizzata come un mercato libero globale non può nemmeno rispondere all'universale bisogno umano di sicurezza. La raison d'être di ogni governo è la sua capacità di proteggere i cittadini dall'insicurezza. Un regime di laissez faire globale che impedisce ai governi di esercitare questo ruolo protettivo sta creando le condizioni per un'ancora maggiore instabilità politica ed economica.
In economie avanzate governate con competenza e intelligenza si può trovare il modo di attenuare i rischi imposti ai cittadini dai mercati mondiali. Nei paesi più poveri, il laissez faire globale produce regimi fondamentalisti e opera come catalizzatore della disintegrazione dello stato moderno. Sia a livello globale che a quello dello stato-nazione, il mercato libero non favorisce né la stabilità né la democrazia. Il capitalismo democratico globale è una condizione altrettanto irrealizzabile del comunismo mondiale.


Note

Capitolo 1.Dalla Grande Trasformazione al mercato libero globale

1 George Soros, Soros on Soros, John Wiley, New York, 1995, p. 194 (trad. it.: Soros su Soros, Ponte alle Grazie, 1995).
2 Karl Polanyi, The Great Transformations: The Political and Economic Origins of our Time, Beacon Press, Boston, 1944, p. 140 (trad. it.: La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, 1974).
3 Ibid.
4 Ho parlato del progetto illuminista nel mio libro Enlightenment's Wake: Politics and Culture at the Close of the Modern Age, Routledge, London e New York, 1995.
5 Barrington Moore, Social Origins of Dictatorship and Democracy: Lord and Peasant in the Making of the Modern World, Penguin Books, Harmondsworth, 1991, pp. 21-2, p. 25 (trad. it.: Le origini sociali della dittatura e della democrazia. Proprietari e contadini nella formazione del mondo moderno, a cura di D. Settembrini, 1971).
6 E. J. Hobsbawm, Industry and Empire, Penguin, Harmondsworth, 1990, pp. 88-89 (trad. it.: Storia economica dell'Inghilterra. La rivoluzione industriale e l'Impero, 1980).
7 D. Ricardo, Principles of Political Economy and Taxation, Everyman, London, p. 1 (trad. it.: Sui principi dell'economia politica e della tassazione, Arnoldo Mondadori, 1979).
8 A. J. Taylor, Laissez-faire and State Intervention in Nineteenth Century Britain, Macmillan, London, 1972, p. 43.
9 Ibid, p. 57.
10 Ibid, p. 57.
11 Alan Macfarlane, The Origins of English Individualism, Basil Blackwell, Oxford, 1978, p. 199.
12 Ibid, p. 202.
13 Una valutazione equilibrata delle prove dei guadagni economici e dei costi sociali dell'economia a metà del periodo vittoriano, si trova in R.A. Church, The Great Victorian Boom 1850-1873, Macmillan, London, 1975.
14 La descrizione dell'Education Act del 1870 è tratta da Arthur J. Taylor, op. cit., p. 57.
15 Corelli Barnett, The Collapse of British Power, Alan Sutton Publishing, Stroud, Glos, 1984, p. 493.
16 Karl Polanyi, op. cit., p. 69.


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