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Capitalismo globale, utopia pericolosa

John Gray intervistato da Giancarlo Bosetti

 

 

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Gli schieramenti tradizionali della politica europea, a sinistra, a destra, al centro, sono in subbuglio. La scompaginazione delle vecchie solide geometrie (i cristiano democratici o popolari, i socialdemocratici, il centro liberale) che hanno disegnato la politica del continente non è solo un problema italiano, dove il pilastro degli equilibri di cinquant'anni, la Dc, si è addirittura disintegrata. La recente copertina dell'Economist è dedicata allo smarrimento dei conservatori ("Qualcuno li ha visti in giro?"), ma anche nell'area del centrosinistra dentro e fuori dei confini del Partito socialista europeo (i cui affiliati sono quasi ovunque al governo) è in corso la ricerca non semplice di un asse politico per una fase che si annuncia turbolenta (lavoro, bassa crescita economica, emigrazione, nuove istituzioni europee). Da qui la curiosità per una serie di voci significative che invitano a guardare criticamente alla globalizzazione dei mercati. Chi ne ha fato un mito deve vedersela non solo con il grido di dolore di Viviane Forrester (l'orrore economico della disoccupazione), con le ripetute denunce di George Soros (il fondamentalismo dei neoliberali minaccia la società aperta) o con gli inviti di Ralf Dahrendorf all'equilibrio ("quadrare il cerchio" tra dinamismo economico e coesione sociale). Ora c'è anche John Gray, un autorevole studioso della London School of Economics, un tempo thatcheriano ora vicino al Nuovo Labour, che guarda al capitalismo globale come a una utopia pericolosa e foriera di guai analoghi a quelli dovuti alle altre utopie del secolo. L'autore di "Alba bugiarda" (Ponte alle Grazie) sostiene che la perdita della vecchia bussola, che ha guidato salutarmente l'Europa fino agli anni Ottanta, è dovuta alla nascita di un mercato globale senza regole. E' lui che scompagina gli schieramenti. Come? Glielo abbiamo chiesto.

Lei e' stato un tempo vicino alle posizioni thatcheriane. Ora le sue opinioni sono molto diverse. C'e' un rapporto tra le sue posizioni di allora e quelle di oggi? Vuol dire forse che le difficolta' che abbiamo davanti sono di natura tale per cui le soluzioni tentate dal centrosinistra sono piu' o meno le stesse che potrebbe dare il centrodestra.

"No, non sono le stesse. La mia obiezione al thatcherismo riguardava il modo in cui pretendeva di universalizzare una serie di soluzioni che andavano bene per problemi locali. L'eredita' corporativa della Gran Bretagna degli anni Settanta non era sostenibile e alcune misure del primo thatcherismo erano necessarie, ma come soluzioni nazionali di problemi nazionali. E invece ne hanno fatto una filosofia economica universale proiettandola su scala mondiale, una filosofia piuttosto primitiva estesa fino a visione universale del libero mercato con un metodo dogmatico che pretende di imporre ad ogni cultura economica, ad ogni tipo di capitalismo nel mondo lo stesso schema del libero mercato."

Soluzioni di segno diverso per paesi diversi?

"In Europa ci sono e ci saranno diversi tipi di capitalismo, quello tedesco, quello italiano, quello francese e sono tutti diversi da quell'unico schema. Per di piu' ora entrano in scena nuovi tipi di capitalismo, la Cina, l'India e altri. L'aspetto piu' pericoloso di questo tentativo di imporre un unico modello economico e' quello di pretendere che il progetto di conciliare economie di mercato dinamiche con i bisogni della coesione sociale e della sicurezza individuale debba essere dovunque lo stesso. Ci sono invece vari modi di interpretarlo. Ci sono cose fattibili in Giappone e impossibili negli Stati Uniti. Ci sono soluzioni americane che non funzionano in Europa. Ci vuole piu' tolleranza per il pluralismo dei sistemi economici."

Ma come e' possibile agire a livello mondiale per questa azione regolatrice, senza una opinione pubblica mondiale e senza canali di rappresentanza democratica?

"Al momento si puo' fare ben poco soprattutto perche' le organizzazioni transnazionali di cui disponiamo sono coinvolte in questa filosofia neoliberale del libero mercato. Una possibilita' e' che le istituzioni europee siano piu' consapevoli e che l'Europa nel suo insieme rappresenti un modello di mercato sociale. Ma decisivo e' che ci sia un cambio di filosofia economica, uno spostamento di accento da parte degli Stati Uniti, senza di che c'e' poco da sperare."

E in Europa quale soggetto politico puo' fare piu' efficaemente pressione per un cambiamento? Il partito socialista europeo? i democristiani?

"Non conta tanto da che parte venga la iniziativa, potrebbe venire persino dal centro-destra. Il difficile e' far passare a livello della Banca Mondiale, del FMI e cosi' via l'idea che mercati non regolati a livello globale sono destabilizzanti."

E se non si fanno passi avanti puo' crescere anche una sinistra radicale?

"E' improbabile. Piuttosto credo che se non ci saranno risultati importanti nell'azione del centrosinistra sulla disoccupazione nei prossimi cinque anni; e' probabile un revival della sinistra socialdemocratica, per intenderci su posizioni piu' radicali di quelle di Lafontaine. Credo infatti che lo spostamento verso il centro della socialdemocrazia europea sia estremamente fragile. Non e' da escludere che nei prossimi anni ci sia una ripolarizzazione nella politica europea e che il centro diventi piu' debole e che si torni ai tradizionali contrasti di ricette economiche."


Con la destra e la sinistra che tornano a fare il loro vecchio mestiere?

"Si', in un certo senso con una piu' naturale distribuzione delle parti nell'iniziativa politica, il che non sarebbe neanche male."

Colpisce il fatto che lei veda nella sconfitta del centrodestra francese e poi nella crisi che lo attraversa, un segnale di pericolo generale. Che rapporto c'e' tra queste vicende politiche e la sua critica della globalizzazione del libero mercato?

"I partiti di estrema destra in Europa ricavano gran parte del loro sostegno elettorale dai gruppi sociali che sentono sulla loro pelle l'esperienza della marginalizzazione e che soffrono la disoccupazione di lungo termine o l'insicurezza economica. Questi sentimenti sono sfruttati da quei partiti per lanciare programmi di esclusione o persecuzione di immigranti, per limitare l'accesso alla cittadinanza, per cercare un revival del nazionalismo classico. Il principale fallimento delle istituzioni europee, che suggerisce opportunita' politiche all'estrema destra, e' la crescita della disoccupazione di lungo termine."

Ma l'estrema destra francese, di cui sta parlando, in questo momento e' divisa.

"Sarebbe un errore per i socialdemocratici europei, i progressisti ed i partiti di centro guardare alla divisione del partito di Le Pen come un segno che quelle forze saranno deboli per lungo tempo. Nel medio periodo puo rivelarsi un sintomo di modernizzazione dell'estrema destra."

 

Nel senso che Megret puo' confezionare un partito piu' presentabile?

"Esattamente, e nel senso che da questo conflitto puo' venir fuori una destra piu' sofisticata, meno isolata e primitiva, piu' simile, se volete, ai cosiddetti postfascisti italiani. E' un segno di aggiornamento che mi ricorda il modo in cui molti intellettuali descrivevano il fascismo tra le due guerre, come una forma di reazione al modernismo. Non dico che avremo un revival del fascismo classico, ma che in alcuni importanti paesi europei i partiti radicali di destra possono arrivare fino al 15-16%, catturando voti che prima andavano al centro-destra. E io considero questo un pericolo."

Veramente, segni di divisione ci sono in Francia e altrove anche nella destra democratica.

"Dappertutto in Europa, area di centrodestra compresa, si sta cercando di individuare programmi con i quali bilanciare il bisogno di economia di mercato con il bisogno umano di controllare il rischio economico e di garantire una certa sicurezza. Le difficolta' del centrodestra sono forti tanto piu' perche' il centrosinistra ha occupato il territorio politico del centrodestra facendo suo piu' rapidamente un programma di equilibrio tra mercato e sicurezza economica. Ora il futuro della destra europea dipendera' piu' che dalle sue mosse dal successo o dall'insuccesso del centrosinistra nel raggiungere questo equilibrio. Se i governi di centrosinistra falliranno avremo una crescita sia del centrodestra che dell'estrema destra."

Questa tendenza dell'economia a produrre disoccupazione e a non creare lavoro a sufficienza neanche nelle fasi di crescita non e' piu' una novita', ormai dalla fine degli anni Settanta. Qual e' la novita' del pericolo attuale?

"Dal '90 c'e' stata una enorme espansione della portata del mercato globale, che ha incluso l'ex blocco sovietico e parzialmente la Cina. Soltanto da allora abbiamo un mercato davvero globale, prima era ancora bipolare. Sono meno di dieci anni dunque. Questa crescita di scala ha alcune conseguenze specialmente sul lavoro meno qualificato. C'e' una tendenza deflazionaria nei mercati globali degli ultimi cinque-dieci anni che puo essere paragonata a quella degli ultimi tre o quattro decenni dell'Ottocento quando l'aprirsi di nuovi immensi mercati e fonti di ricchezza in America ha prodotto un lungo periodo di prezzi stabili o in discesa (meglio: allora stabili, ora in discesa!) in Europa. C'e' un rischio deflazionario che e' acutizzato dalla dura inflazione sui mercati americani. Piu' che un rischio e' gia' una realta', in Giappone per esempio. Ma c'e' anche un enorme squilibrio dovuto al fatto che alla deflazione giapponese si aggiunge l'inflazione americana. Il fatto e' il mercato globale funziona cosi' e che le istituzioni transnazionali che dovrebbero prevenire le crisi negli ultimi due o tre anni si sono mosse male."



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