Giovanna Borradori
                          Filosofia del terrore. Dialoghi con Jacques Derrida 
                          e Jürgen Habermas
                          
Laterza, 2003, pagg. 220, euro 15
                          
						  						  
Forse è vero che con l'avanzare dell'età 
                            qualche angolo del carattere si smussa. Dai e dai, 
                            l'aggressività svanisce, la combattività 
                            scema e una qualche solidarietà generazionale 
                            entra in ballo. Non sappiamo se sia questo il caso 
                            di Jacques Derrida e Jürgen Habermas – 
                            nati rispettivamente nel 1930 e 1929 – eppure 
                            molti segni dicono che tra i due il clima è 
                            cambiato. L'11 settembre è stato un punto di 
                            non ritorno anche nelle storie di due tra i maggiori 
                            filosofi viventi. Per anni se le sono date, metaforicamente, 
                            di santa ragione. Per il tedesco, l'altro era irrazionalista 
                            e relativista; per il franco-algerino, l'altro non 
                            si sforzava neanche di leggerlo. Uno è il padre 
                            della decostruzione; l'altro ha rivisitato la Teoria 
                            critica di Francoforte alla luce di altri stili filosofici, 
                            come la filosofia analitica e il pragmatismo. Dal 
                            tragico martedì di due anni e mezzo fa il vento 
                            è cambiato. In molte occasioni hanno firmato 
                            articoli insieme. Una per tutte, l'articolo dedicato 
                            all'Unione europea uscito sulla 
Frankfurter 
                            Allgemeine Zeitung nel giorno in cui alcuni filosofi 
                            in contemporanea davano il loro contributo di idee 
                            alla causa continentale.
							
                          
						  Cosa hanno da dire i due santoni del pensiero sull'11 
                            settembre e su tutto quello che ne è seguito, 
                            guerre afgane e irakene comprese? Giovanna Borradori, 
                            docente di filosofia al Vassar College, ha incontrato 
                            Derrida e Habermas a pochi giorni dal drammatico attacco 
                            terroristico alle Twin Towers. Dai colloqui svoltisi 
                            poche settimane dopo, ne sono uscite due "interviste 
                            pensanti" sul tema del terrorismo globale, sui 
                            modi per affrontarlo, sulla guerra come strumento 
                            per risolvere le controversie internazionali e sulle 
                            differenze tra gli Stati Uniti e l'Europa. In una 
                            sorta di istant book, ma senza molti dei 
                            difetti che hanno di solito, i due filosofi fanno 
                            i conti con le questioni cruciali della nostra epoca. 
                            Concordano, divergono, mettono anche loro stessi in 
                            discussione senza nascondersi dietro le astrattezze 
                            della parola filosofica.
                          Borradori nel saggio introduttivo del libro descrive 
                            il perimetro delle questioni in campo. Dopo l'11 settembre 
                            è lo stesso fondamento del diritto internazionale 
                            ad entrare in crisi. Tanto gli attentati terroristici 
                            quanto le reazioni militari mostrano i limiti del 
                            progetto politico e morale nato con l'Illuminismo. 
                            E a chi se non ai filosofi spetta una valutazione 
                            critica dell'eredità illuministica? Per affrontare 
                            questi nostri anni bui serve rimettere le mani nella 
                            cassetta degli attrezzi creata da Montesquieu, Voltaire, 
                            Kant e gli altri. Per esempio il concetto chiave di 
                            "tolleranza" costruito nel secolo dei Lumi 
                            va sostituito, secondo Derrida, da quello di "ospitalità" 
                            ben più disponibile ad accogliere la diversità 
                            radicale dello straniero senza forzarlo all'adattamento 
                            alla nostra cultura. Al contrario, Habermas ritiene 
                            che sia ancora il perno attorno al quale debba girare 
                            la democrazia, nel senso più alto in cui noi 
                            la intendiamo. La modernità non va considerata 
                            conclusa o superata, piuttosto si tratta di realizzarla 
                            mantenendo vivi i suoi valori ancora attualissimi. 
                            Modernità che è all'esatto opposto del 
                            fondamentalismo religioso, oscurantista e violento.
                            
                            Sono molti i temi toccati nelle due interviste e nei 
                            due lunghi articoli esplicativi di Borradori che le 
                            seguono. È possibile perdonare i terroristi? 
                            Che ne è dello scontro di civiltà? E 
                            delle istituzioni internazionali? Che ruolo hanno 
                            avuto i mass media nella nostra percezione 
                            degli attentati terroristici? Domande impegnative 
                            che trovano risposta lungo le 220 pagine di questa 
                            Filosofia del terrore. Eppure, c'è 
                            un filo rosso che corre lungo tutto il testo. A volte 
                            in superficie, a volte in profondità, entrambi 
                            i filosofi pongono in questione il ruolo presente 
                            e, soprattutto, futuro dell'Europa. Il richiamo alle 
                            radici illuministiche del continente ha il senso, 
                            per entrambi sebbene in modi diversi, di indicare 
                            la via che l'Europa dovrebbe seguire. Si tratta di 
                            tornare a Kant e alla sua nozione di cosmopolitismo 
                            per realizzare l'antico sogno dell'Illuminismo: l'emancipazione 
                            universale. Che per Habermas si concretizza in un 
                            nuovo ordine mondiale e per Derrida in una "democrazia 
                            a venire", un'alleanza al di là del politico. 
                            Tutto sta a mettersi d'accordo. 
                           
                           
                           
                           
                           
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