Dalle pagine del quotidiano Il 
                          Manifesto, riproponiamo la recensione, pubblicata 
                          il 20 gennaio 2004, di Stefano Catucci al libro Introduzione 
                          a Derrida
, di Maurizio Ferraris, pubblicato da Laterza 
                          (2003, pp 176, euro 10,00). 
                          
						   Se Jacques Derrida sia un filosofo, un critico letterario, 
                            un sofista, uno scettico, un prestidigitatore della 
                            parola o piuttosto una specie di imbroglione magico, 
                            un trickster, è una questione che 
                            non divide più gli animi, né suscita 
                            più le resistenze e l'irritazione degli ambienti 
                            accademici, come ancora accadeva verso la fine degli 
                            anni Settanta. A partire dal decennio successivo, 
                            insieme alla fama planetaria, è arrivato infatti 
                            per Derrida anche l'unanime riconoscimento al rilievo 
                            filosofico del suo pensiero, quando non si è 
                            giunti addirittura alla canonizzazione della sua figura, 
                            assunta oggi nel ristrettissimo novero dei classici 
                            contemporanei. Il libro che Maurizio Ferraris gli 
                            ha ora dedicato (Introduzione a Derrida, Laterza) 
                            è al tempo stesso un prodotto di questo processo 
                            e un rovesciamento dei suoi taciti presupposti. Un 
                            prodotto, perché la ricostruzione del percorso 
                            filosofico di Derrida dagli esordi fino agli esiti 
                            più recenti implica la possibilità di 
                            leggerlo come un classico e di storicizzarne il cammino. 
                            Un rovesciamento, perché nel momento in cui 
                            l'operazione viene tentata senza autocompiacimenti 
                            e senza manierismi letterari, ma mettendo a fuoco 
                            precisamente lo sviluppo della sua filosofia, l'immagine 
                            di Derrida si modifica sotto i nostri occhi e il suo 
                            pensiero cessa di presentarsi come una superficie 
                            porosa, reversibile, negoziabile, rivelandosi, al 
                            contrario, come un organismo sorprendentemente compatto, 
                            un pensiero con la cui radicalità e il cui 
                            rigore non si è ancora cominciato a fare i 
                            conti.
                            Se Jacques Derrida sia un filosofo, un critico letterario, 
                            un sofista, uno scettico, un prestidigitatore della 
                            parola o piuttosto una specie di imbroglione magico, 
                            un trickster, è una questione che 
                            non divide più gli animi, né suscita 
                            più le resistenze e l'irritazione degli ambienti 
                            accademici, come ancora accadeva verso la fine degli 
                            anni Settanta. A partire dal decennio successivo, 
                            insieme alla fama planetaria, è arrivato infatti 
                            per Derrida anche l'unanime riconoscimento al rilievo 
                            filosofico del suo pensiero, quando non si è 
                            giunti addirittura alla canonizzazione della sua figura, 
                            assunta oggi nel ristrettissimo novero dei classici 
                            contemporanei. Il libro che Maurizio Ferraris gli 
                            ha ora dedicato (Introduzione a Derrida, Laterza) 
                            è al tempo stesso un prodotto di questo processo 
                            e un rovesciamento dei suoi taciti presupposti. Un 
                            prodotto, perché la ricostruzione del percorso 
                            filosofico di Derrida dagli esordi fino agli esiti 
                            più recenti implica la possibilità di 
                            leggerlo come un classico e di storicizzarne il cammino. 
                            Un rovesciamento, perché nel momento in cui 
                            l'operazione viene tentata senza autocompiacimenti 
                            e senza manierismi letterari, ma mettendo a fuoco 
                            precisamente lo sviluppo della sua filosofia, l'immagine 
                            di Derrida si modifica sotto i nostri occhi e il suo 
                            pensiero cessa di presentarsi come una superficie 
                            porosa, reversibile, negoziabile, rivelandosi, al 
                            contrario, come un organismo sorprendentemente compatto, 
                            un pensiero con la cui radicalità e il cui 
                            rigore non si è ancora cominciato a fare i 
                            conti.
                            
							
                            La quarta di copertina, lapidaria, definisce molto 
                            bene il volume: un'«esposizione completa, critica 
                            e concisa, non delle suggestioni o dello stile di 
                            Derrida, ma delle sue teorie». Ed essenziali 
                            sono anche gli strumenti che Ferraris adopera per 
                            assolvere al compito che si è proposto: anzitutto 
                            un linguaggio asciutto e chiarissimo, privo di concessioni 
                            all'idioletto derridiano; quindi una puntuale contestualizzazione 
                            dei suoi lavori nel panorama della filosofia contemporanea, 
                            francese e internazionale; infine una semplice ripartizione 
                            degli argomenti in tre periodi distinti, dagli studi 
                            fenomenologici degli esordi ai lavori sulla scrittura, 
                            la traccia e la grammatologia, nel passaggio fra gli 
                            anni Sessanta e Settanta, per approdare al «cambio 
                            di registro» degli anni Ottanta, polarizzato 
                            intorno al problema degli «oggetti sociali».
                          
È probabile che il ritratto di Derrida tratteggiato 
                            da Ferraris non piaccia a molti dei suoi ammiratori 
                            e che, sottotraccia, il libro rechi con sé 
                            proprio il programma inconfessato di difenderlo non 
                            tanto dai critici, quanto dagli apologeti. D'altra 
                            parte, quando si stilizza un percorso intellettuale 
                            ramificato come quello di Derrida, esporlo a una sistematizzazione 
                            che richiede qualche forzatura è inevitabile. 
                            Quel che però si perde sul piano della dispersione 
                            e dell'eloquenza saggistica dei contributi derridiani, 
                            viene guadagnato dal lato di una lettura che considera 
                            il suo pensiero non come la prima delle «non-filosofie» 
                            del postmoderno, pregiudizio largamente diffuso, ma 
                            come l'ultima delle grandi filosofie del Novecento. 
                            Se Derrida, scrive Ferraris, «prende in parola» 
                            la tradizione metafisica e «la porta al limite», 
                            evidenziandone le contraddizioni interne, il suo obiettivo 
                            non consiste nel decretarne la fine o nel constatarne 
                            semplicemente i fallimenti, ma nel rilanciarne la 
                            posta in gioco giungendo fino alle estreme conseguenze 
                            di un atteggiamento che finisce per chiedere all'esperienza 
                            vissuta «lo stesso rigore della scienza». 
                            
                            
							
                            Un estremismo idealistico, osserva Ferraris, il cui 
                            riflesso emblematico sta in quel concetto di «possibilità 
                            necessaria» che a Derrida deriva dall'interpretazione 
                            di Husserl e che lo accompagna fin da 
La voce 
                            e il fenomeno (1967): se qualcosa è possibile, 
                            nella logica come nella realtà, allora bisogna 
                            tenerne necessariamente conto, dato che la possibilità 
                            non è un accidente della cosa, ma appartiene 
                            alla sua essenza ed è ineliminabile dal suo 
                            concetto. Dall'assunzione rigorosa di questo principio 
                            deriva la tendenza alla «iperbolite» argomentativa 
                            che Derrida stesso si è diagnosticato, osserva 
                            Ferraris, ma che lungi dal farne semplicemente un 
                            sofista, o un giustiziere delle contraddizioni filosofiche, 
                            lo mette in dialogo con una tradizione di cui il suo 
                            pensiero costituisce un esito estremo e coerente.
                          
In Kant vi sono esempi tipici di «possibilità 
                            necessaria»: se ci è data la possibilità 
                            di essere morali, allora dobbiamo esserlo; se ci è 
                            data la possibilità di sapere, dobbiamo cercare 
                            di sapere. «I due piani non si equivalgono, 
                            ma tale non è l'avviso di Kant, né di 
                            Derrida, che lo porta anzi alle estreme conseguenze» 
                            massimizzando gli argomenti classici della filosofia 
                            trascendentale. Proprio di questa filosofia Derrida 
                            cerca di riformulare le istanze critiche, partendo 
                            dallo smascheramento della rimozione che ripetutamente, 
                            nel corso della storia, ha investito non l'essere, 
                            come voleva Heidegger, ma le condizioni materiali 
                            del discorso, i mezzi attraverso i quali si costituisce 
                            il senso dell'idealità. Il rimosso, per Derrida, 
                            è la scrittura, o meglio ancora l'«archiscrittura», 
                            intesa come quel sistema del rinvio da una traccia 
                            materiale a un'idea, a un significato, che la metafisica 
                            ha sostituito con il sogno della piena presenza del 
                            soggetto a se stesso o dell'oggetto a un soggetto.
                            
                            D'altra parte, l'ossessione della presenza, vera e 
                            propria «nevrosi della filosofia» dalle 
                            nefaste conseguenze etico-politiche, non può 
                            essere autenticamente superata, ma solo tenuta a bada 
                            tramite un'opportuna terapia filosofica. L'idea della 
                            «decostruzione» come forma di «analisi 
                            interminabile» da applicare ai testi della tradizione 
                            filosofica si fonda su queste premesse. Ma il fascino 
                            del lavoro critico di Derrida, i geniali esercizi 
                            di interpretazione con i quali ha smontato interi 
                            canoni della filosofia occidentale, ha fatto spesso 
                            perdere di vista l'altro principio per lui fondamentale, 
                            sul quale Ferraris richiama opportunamente l'attenzione: 
                            l'idea che la «decostruzione» possieda 
                            anche, sempre, il senso di una «costruzione», 
                            e che la terapia non possa «promettere di guarire 
                            il male», come scrive Ferraris, ma solo di «renderlo 
                            sopportabile» ripensando gli stessi termini 
                            della filosofia classica in una forma consapevole 
                            delle sue tentazioni nevrotiche e quindi, forse, capace 
                            di scongiurare i loro effetti.
                          I nuclei essenziali del pensiero di Derrida giungono 
                            a maturazione, secondo Ferraris, negli scritti che 
                            compongono il volume Della grammatologia 
                            (1967). Dopo di allora, la sua produzione saggistica 
                            si moltiplica esponenzialmente. Il suo stile si fa 
                            più colloquiale, aderente al parlato delle 
                            conferenze. Gli argomenti riflettono l'esigenza di 
                            un continuo «dialogo con il presente», 
                            con le sue urgenze filosofiche e politiche, dal quale 
                            emergono con crescente distinzione motivi etici rimasti, 
                            fino ad allora, sottotraccia. È il momento 
                            nel quale Derrida applica i paradossi della «possibilità 
                            necessaria» a quelli che Ferraris chiama «oggetti 
                            sociali»: istituzioni, leggi, relazioni politiche. 
                            Ed è il momento in cui la struttura di rinvio 
                            della scrittura, la negazione del feticcio metafisico 
                            della presenza e il privilegio di un'ontologia della 
                            mediazione cominciano ad articolarsi negli spazi dell'intersoggettività: 
                            dal problema della «cosa» si passa a quello 
                            del «dono», ovvero dell'ente la cui definizione 
                            esige che non si possa fare a meno dell'altro da cui 
                            la donazione proviene; dall'idea della verità 
                            si passa ai modelli della testimonianza e dell'autobiografia; 
                            dal nesso heideggeriano fra morte e autenticità 
                            al privilegio dell'esperienza del lutto, cioè 
                            di una mediazione fra il sé e la memoria dell'altro 
                            che appare, ancora una volta, interminabile.
                            
                            Agli occhi di Ferraris, l'ultimo Derrida sembra raccogliere 
                            tanto dall'attualità, quanto dalla storia del 
                            pensiero, occasioni di riflessione che fortificano 
                            il senso di una filosofia radicale e rigorosa il cui 
                            programma si rivela essere molto vicino a quello di 
                            Foucault, quasi che a distanza di anni dalle polemiche 
                            che li divisero sia possibile ritrovarli sulla strada 
                            di un cammino comune. Quello di un rinnovamento dell'illuminismo 
                            che Derrida, coerentemente, concepisce senza l'ideale 
                            di una trasparenza ultima, senza l'idea di un totale 
                            rischiaramento del sapere. Un illuminismo inteso come 
                            compito indefinitamente aperto per la filosofia, e 
                            per il quale Derrida continua a lavorare. 
                          
                           
                          
                            
                           
                           
                           
                           
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