
 Rue d'Ulm, 45, Parigi.
                          Può sembrare un indirizzo qualsiasi, e invece 
                          corrisponde a quello di una delle istituzioni del sapere 
                          più venerate e rispettate di Francia, una delle 
                          più antiche 
Grandes écoles: l'École 
                          Normale Supérieure (Ens, o, più familiarmente, 
                          la "Normale Sup"). Uno dei templi della cultura 
                          e della formazione, dove, applicando quel sistema di 
                          reclutamento e selezione della futura classe dirigente 
                          molto duro e così tipicamente francese (e per 
                          questo ammirato e detestato), si forma il ceto intellettuale 
                          (e non solo) transalpino. All'insegna di una storia 
                          davvero onusta di gloria e carica di tradizioni, dal 
                          momento che l'Ens nasce dalla fusione, avvenuta nel 
                          1985, dell'École normale supérieure de 
                          la rue d'Ulm (fondata il 9 brumaio dell'anno III secondo 
                          il calendario rivoluzionario, ovvero nel 1794, da Napoleone) 
                          e l'École normale supérieure des jeunes 
                          filles di Sèvres (1881). Proprio da questo luogo, 
                          che mescola irresistibilmente l'idea della meritocrazia 
                          e della dedizione allo studio quale veicolo di promozione 
                          (e nel quale, però, come in tutte le cose umane, 
                          si perpetuano anche alcuni vizi sociali, esattamente 
                          a partire da quella eterna riproduzione della classe 
                          dirigente e del mandarinato che mandava su tutte le 
                          furie il grande Bourdieu, uno dei suoi ex allievi più 
                          celebri), prendono le mosse l'attività e l'avventura 
                          intellettuale di una pattuglia di intellettuali destinati 
                          a lasciare un segno decisivo - e, soprattutto, trasgressivo 
                          - sul pensiero dei decenni successivi. Il santuario 
                          della cultura accademica e alta ha generato e allevato 
                          nel proprio seno, per una sorta di nemesi della storia 
                          intellettuale recente, il drappello dei pensatori antiaccademici 
                          per eccellenza, i quali, però, riconosceranno 
                          sempre il proprio debito culturale e formativo nei confronti 
                          della venerabile Normale Sup.
                          
						  
                          Sfogliando le biografie delle star della filosofia francese 
                          anni '70 (i protagonisti del post-strutturalismo), chiamata 
                          poi a esercitare un'influenza così rilevante 
                          sulla cultura contemporanea, il tratto in comune coincide 
                          proprio con l'aver trascorso gli anni degli studi superiori 
                          all'interno di questo istituto che ha il compito preminente 
                          di formare i docenti del liceo, i quali, dopo un periodo 
                          nelle scuole secondarie, cominceranno a insegnare presso 
                          l'università. In particolare, Jacques Derrida, 
                          il teorico della differenza e del decostruzionismo, 
                          per il quale l’esperienza dello studio della filosofia 
                          accademica e l’analisi dei classici del pensiero 
                          avvenuta durante il periodo passato all’École 
                          Normale, si collocano alla base stessa della “scommessa 
                          intellettuale” della decostruzione, pilastro fondamentale 
                          della sua opera. Un metodo – linguistico, psicanalitico 
                          e molto altro ancora, fondato sulla contaminazione e 
                          la disseminazione dei saperi e alimentato attraverso 
                          le tesi degli autori della “scuola del sospetto” 
                          (Marx, Nietzsche e Freud) – consistente nel disvelare, 
                          proprio mediante la lettura e il “corpo a corpo” 
                          con i grandi testi della tradizione filosofica, il rimosso, 
                          il non detto, il non esplicitato dagli autori, quella 
                          stratificazione di giudizi di valore e visioni del mondo 
                          che hanno istituito l’Occidente e la sua ragione. 
                          
                          
						  
                          La poderosa – e alquanto complessa – critica 
                          della razionalità filosofica e politica del nostro 
                          mondo concepita da Derrida e destinata a fama planetaria 
                          non esisterebbe, dunque, senza l’École 
                          Normale. È all’interno delle sue belle 
                          e austere sale che Derrida apprende – sotto la 
                          direzione di Maurice de Gandillac, studioso della filosofia 
                          medievale e suo supervisore lungo l’intera carriera 
                          accademica, dal 
Mémoire sino alla presidenza 
                          della commissione che lo nominerà professore 
                          ordinario nell’83 – lo stile Ens della 
dissertation 
                          e la modalità di esegesi che obbliga gli studenti 
                          a interrogare i testi filosofici formulando domande 
                          e problematiche che sovente esulano dalle intenzioni 
                          dei loro autori. 
                          
                          Ed è sempre là che Derrida e tutta la 
                          sua generazione studiano la fenomenologia (reazione 
                          alla vecchia egemonia dello spiritualismo bergsoniano), 
                          indirizzo via via dominante in seno all’École, 
                          la quale ne diviene il più importante centro 
                          di diffusione francese; e attraverso Husserl, introdotto 
                          in Francia da Sartre e Lévinas, e diffuso da 
                          Merleau-Ponty, entra in Francia – e viene sottratto 
                          al nazismo – Heidegger; e, infatti, nascono come 
                          fenomenologi anche molti altri post-strutturalisti (da 
                          Foucault a Lyotard), mentre a veicolare l’heideggerismo 
                          è un altro docente della Normale, Jean Beaufret. 
                          A insegnare Marx a Derrida (e ai suoi compagni di studi 
                          Pierre Bourdieu e Gérard Granel) provvede l’allora 
                          assistente dell’École Althusser, uno dei 
                          maggiori filosofi marxisti del dopoguerra, mentre Jean 
                          Hyppolite tiene loro i corsi su Hegel, chiudendo il 
                          cerchio di quella che sarebbe diventata la rinnovata 
                          filosofia accademica francese delle tre “H” 
                          (Hegel, appunto, Husserl e Heidegger).
                          
                          La Normale Sup di quell’epoca (anni Cinquanta) 
                          costituisce, dunque, l’autentico laboratorio del 
                          “68 pensiero”, quell’antiumanismo 
                          bersaglio degli strali del fortunato 
pamphlet dei 
                          filosofi Luc Ferry (ministro dell’Éducation 
                          nationale in carica dell’attuale governo di centrodestra 
                          di Jean-Pierre Raffarin) e Alain Renaut (volume uscito 
                          in Italia nel 1987 per Rizzoli, quando i due erano, 
                          rispettivamente, professori a Lione e Nantes e dirigevano 
                          il Collège de Philosophie). Una modalità 
                          di pensare – e decostruire – la politica, 
                          la ragione, il soggetto e il mondo, che costituisce 
                          da decenni la bestia nera della destra culturale, liberal-conservatrice 
                          e neoliberista-reaganiana e che è diventata non 
                          a caso, all’insegna di sperimentalismi e contaminazioni 
                          di ogni sorta, la bandiera della sinistra 
radical 
                          e pomo (postmoderna) nelle università americane. 
                          Estendendosi, poi, dall’ormai celebre “radicalismo 
                          dei campus” a svariati altri ambiti, dove si è 
                          assistito alla progressiva "canonizzazione" 
                          di Derrida, al trionfo di quello che viene definito 
                          il "
patois foucauldien" nei cultural 
                          
studies, alla popolarità irresistibile 
                          di Deleuze (nella forma di un citazionismo un po' a 
                          pillole, assai fervente e devoto) presso cineasti californiani 
                          e galleristi dell'East coast. 
                          
 Vale a dire, il French touch della filosofia, 
                            come è stato ribattezzato in sintonia con i 
                            sofisticati dj e produttori di musica elettronica 
                            francesi che spopolano nei club più di tendenza 
                            del pianeta, da New York e Londra a Tel Aviv. La “nuova 
                            teoria critica” piuttosto negletta proprio a 
                            Parigi ha trovato il proprio approdo sicuro ed è 
                            stata così rilanciata su scala autenticamente 
                            planetaria dagli Usa – come ha documentato in 
                            maniera finalmente sistematica e completa il libro, 
                            da poco uscito in Francia, di François Cusset, 
                            il precedente direttore del Bureau du livre français 
                            a New York, intitolato French Theory. Foucault, 
                            Derrida, Deleuze & Cie et les mutations de la 
                            vie intellectuelle aux Etats-Unis (La Découverte). 
                            Ovvero, uno dei volumi che alimenta il vero e proprio 
                            profluvio di libri delle ultime settimane, in Italia 
                            e Francia, di e sul teorico della différence.
                            
                            Libri, film e nuove uscite: per saperne di 
                            più. 
                            Segnaliamo alcuni titoli per la biblioteca personale 
                            dei lettori di Cafféeuropa: l’utilissima 
                            Introduzione a Derrida di Maurizio Ferraris 
                            (Laterza; contenente anche una precisa ricostruzione 
                            degli anni trascorsi dal filosofo presso l’Ens) 
                            e Filosofia del terrore. Dialoghi con Habermas 
                            e Derrida, (a cura di Giovanna Borradori, ancora 
                            per Laterza). Mentre di Derrida come autore sono appena 
                            usciti Memorie di cieco. L’autoritratto 
                            e altre rovine (a cura di Federico Ferrari, Abscondit) 
                            e Stati canaglia (Raffaello Cortina, che, 
                            alla fine di aprile, manderà in libreria un 
                            nuovo titolo del pensatore francese, Il monolinguismo 
                            dell'altro). Sellerio, infine, ripubblica oggi 
                            un’antologia famosa (uscita per la prima volta 
                            nel ’79) di scritti degli esponenti principali 
                            del post-strutturalismo(da Lyotard a Serres, da Foucault 
                            al nostro Derrida): Politiche della filosofia 
                            (per la cura di Dominique Grisoni). 
                            
                            Libri, ma anche film, a testimonianza di una notorietà 
                            che ha largamente oltrepassato l’ambito degli 
                            addetti ai lavori: dopo Bourdieu (cui Pierre Carles 
                            aveva dedicato il lungo documentario La sociologie 
                            est un sport de combat), è ora la volta proprio 
                            del padre del decostruzionismo, di cui in Derrida 
                            (uscito nel dicembre dell’anno passato e con 
                            la colonna sonora di Ryuichi Sakamoto; www.derridathemovie.com), 
                            gli americani Kirby Dick e Amy Ziering Kofman (sua 
                            allieva a Yale negli anni '80) ripercorrono alcuni 
                            dei momenti fondamentali della biografia pubblica 
                            e privata. 
                           
                           
                           
                           
                           
                           
                          Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti 
                            da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
                            redazione@caffeeuropa.it