Caffe' Europa
Attualita'




Da: giusi merlicco <joshi.gm@tiscalinet.it
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it
Data: Domenica, 15 aprile 2001 21:28
Oggetto: Non sono d'accordo


Articoli collegati:
La freddezza del dolore
Complimenti, Umberto Curi!
Non sono d'accordo



A proposito del film di Nanni Moretti, La stanza del figlio: non sono d'accordo con Umberto Curi, credo non abbia compreso il film di Moretti, quello che Curi vede come fallimento, al contrario a me pare un pregio. Credo che Moretti sia riuscito ad esprimere proprio la "radicale impossibilità di misurarsi" con il dolore "da parte del protagonista", ovvero dell'uomo, e della donna, di oggi.

A me pare che il film rappresenti efficacemente la condizione dell'uomo che non può più trovare risposte come in passato a determinati eventi, né sul piano religioso né culturale. L'uomo di oggi non è più l'uomo greco dei tempi di Eschilo e di Sofocle, ossia che viveva immerso in una cultura molto diversa dalla nostra, ma neppure il credente dei secoli passati, inserito in una cultura permeata dal Cristanesimo, che si affidava ciecamente alla chiesa accettando risposte che sono in realtà pseudorisposte (cfr. nella predica, al comprensibile perché? dei genitori, dice il prete, la risposta è perché lo ha deciso Dio).


E' con la ragione, su un piano di razionalità laica, che l'uomo di oggi si interroga su eventi incomprensibili e che non dipendono da noi, come la morte, ancora più assurdi quando appunto ribaltano il ciclo naturale, come in particolare la morte di un figlio, ma anche su eventi che invece dipendono da noi, crudeltà, guerre, odi, tante assurdità della storia più recente ecc., senza trovare alcuna risposta un minimo plausibile.

Sono d'accordo con Moretti ed in un certo senso con Curi, ma ribaltando la sua valutazione: Il dolore, non può essere rappresentato, può essere vissuto solo in solitudine, non c'è speranza, riscatto, non ci sono risposte, almeno se usiamo solo la ragione rinunciando a tutte quelle forme di credenze, religiose, mitiche, auto-inganni collettivi, che forse un tempo fornivano qualche sollievo, ma che oggi troviamo ingenue.

Naturalmente molti continuano ad usarle, ma questo non era il tema del film. Ciò a me pare confermato anche da quel mondo di sofferenza, individuale, privata, che normalmente si cela dietro il velo della "normalità", che invece si rivela, come consentito nella nostra cultura, solo al terapeuta-Moretti, il quale a sua volta si sente sempre più impotente e senza risposte, perchè, anche lì, nonostante tutto, non ci sono risposte magiche, risultati garantiti o scorciatoie.

Ho trovato anzi molto bello come Moretti abbia rappresentato il rapporto del terapeuta con la sofferenza dei suoi pazienti, di distacco e coinvolgimento insieme, di onestà professionale e disincanto. Anche quella sofferenza appare assurda, nelle sue motivazioni e manifestazioni, ma il terapeuta non può liberare dall'esterno il paziente che è come chiuso in un suo mondo di ossessioni.

Comunque ci prova, con gli strumenti che ha, almeno finché non resta anche lui sommerso, distrutto da quel dolore privato e che tuttavia ha motivazioni "oggettive". Il rapporto medico-paziente è come ribaltato nella parte finale.
A me il film è piaciuto molto, ha suggerito molti altri spunti.

Giusi Merlicco



Articoli collegati:
La freddezza del dolore
Complimenti, Umberto Curi!
Non sono d'accordo

 

 Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Cinema



homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo