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Senza parole



Paola Casella



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Un lettore di Caffè Europa, Niccolò Nisivoccia, ci ha inviato il testo che apre questo dossier e, come spesso succede, ci ha invogliato ad approfondire l'argomento del suo intervento: in questo caso il confronto diretto in termini "sportivi", il valore della stretta di mano che precede quel confronto e la necessità, ai fini della "validità" dell'incontro, di rispettare regole chiare e condivise. Ci è sembrato che fossero argomenti di grande attualità, e che valesse la pena aprire un orizzonte di riflessione su di esse.

Da parte mia, vorrei porre l'accento sia sulla raffigurazione del confronto diretto inteso come duello, che sull'elemento di attualità: recentemente, in campo soprattutto artistico, il duello è infatti tornato alla ribalta, e lo ha fatto sottoforma di immagine pura, quasi del tutto priva di un commento, o di una spiegazione, verbale: una vignetta senza parole.

Nell'ultimo film di Marco Bellocchio, L'ora di religione, la scena che ha suscitato le reazioni più disparate, e le maggiori perplessità, da parte degli spettatori non è stata quella della bestemmia (condannata dagli organi della Chiesa Cattolica, che hanno sconfessato il film - scomunicato, quasi - sulla base di quella esternazione, estrapolandola da un contesto di alta tensione spirituale) ma quella del duello che si svolge all'alba, nella nebbia, fra il protagonista Ernesto (Sergio Castellitto) e l'enigmatico Conte Bulla (Toni Bertorelli).

Chi ha visto quella scena, se la ricorda come estranea al racconto, e come l'elemento più spiazzante di un film già spiazzante nella sua interità. E non solo per via dell'incongruenza della scena all'interno del contesto narrativo - qual è il significato del duello? chi è il Conte Bulla, e quale rapporto ha con Ernesto? - ma anche per la vaghezza della messinscena - nebbiosa, anzi, nebulosa, come si conviene a un duello all'alba, ma anche come si addice a una digressione dai contorni indefiniti.

A chi gli ha chiesto che cosa rappresentasse il duello, Bellocchio ha risposto, nel suo modo anch'esso vago e un po' esoterico, che si trattava di un confronto fra il protagonista contemporaneo e l'Ottocento. Ne deduciamo (a nostro rischio e pericolo) che il regista volesse contrapporre all'artista laico e postsessantottino, refrattario a qualsiasi ordine gerarchico e a qualunque imposizione morale di matrice istituzionale (dunque, in Italia, cattolica), al conte, rappresentante di una gerarchia (quella aristocratica) quasi tramontata a livello di potere politico ed economico, ma ancora ben presente a livello di status e privilegio sociali. Il conte è una figura del passato (infatti emerge dalle nebbie) e incarna istituti che nell'Ottocento parevano lo stato di natura, e che invece sono stati gradualmente erosi, se non spazzati via, dai secoli successivi.

E' importante che Bellocchio abbia raffigurato il confronto fra Ernesto e il Conte Bulla proprio come un duello, che, come ricorda il nostro lettore, presuppone regole condivise, un terreno (anche fisico) comune, una stretta di mano iniziale (quella che sancisce gli accordi d'onore, alla quale fa riferimento, in ambito artistico, Sergio Garufi), e l'instaurazione (anche temporanea) di un rapporto di lealtà, di un atto di coraggio (come scrive Francesco De Felice).

Il duello de L'ora di religione è, forse, il tentativo di Ernesto di chiudere definitivamente con quel certo passato della società italiana, e il fatto che il confronto fra lui e il conte sia diretto, ad armi pari, e che richieda la coraggiosa (benché riluttante) partecipazione di entrambi dà ad Ernesto l'opportunità di risolvere la questione in modo netto e definitivo - come non può, e infatti non riesce, a fare nei confronti della religione, che ci appare nella doppia veste di una madre morta (quindi sottratta al confronto) e di una Chiesa obliqua e sfuggente, che manda messaggi trasversali più che sferrare attacchi frontali.

L'esito del duello, lo lasciamo decidere agli spettatori che ancora non hanno visto L'ora di religione - un escamotage per non rovinare loro la visione del film, ma anche un modo per dire che tale esito resta in gran parte misterioso, irrisolto, come del resto tutto il film, che non propone soluzioni definitive, ma al massimo possibili percorsi di ricerca.

Facciamo un altro esempio tratto dai media, scendendo dal livello "alto" del film d'autore a quello "basso" della canzonetta - anche se poi l'autore di questa particolare canzonetta è un musicista di livello che segue da anni un percorso di ricerca che ha reso il suo stile originale e immediatamente riconoscibile.


Parliamo di La rondine, l'ultimo singolo del cantante lucano Mango, tratto dal suo nuovo album Visto così. E ci riferiamo non tanto alla canzone quanto al video che la accompagna: se le parole de La rondine raccontano la disperazione di un uomo che è stato lasciato dalla sua donna e che non si rassegna al suo volo, il video raffigura un ragazzo e una ragazza che, dopo un lungo inseguimento, ingaggiano un corpo a corpo a mani nude del quale è difficile individuare il possibile vincitore. Infatti nessuno dei due vince, ma entrambi escono dalla lotta contusi e doloranti. Provano brevemente ad accarezzarsi, ma non riescono a stabilire un contatto altro da quello fisico violento, e quindi si allontanano separatamente, come due rette parallele.

E' curiosa, e anche allarmante, questa rappresentazione del rapporto di "coppia" come lotta grecoromana, ad armi pari, ma anche a pari dosi di violenza e crudeltà. Curiosa anche la scelta di fare interpretare questa "non-coppia" a due giovanissimi: come se, secondo il pop contemporaneo, la lotta grecoromana rappresentasse non solo il presente dei rapporti uomo-donna, ma anche il loro futuro prossimo venturo.

A proposito di queste due rappresentazioni iconografiche del duello, mi colpisce, come accennavo all'inizio, soprattutto l'assenza di una elaborazione verbale: nel caso del film di Bellocchio, il dialogo fra i due contendenti non serve a spiegare la scena, ma anzi, contribuisce a confonderci le idee - sul chi, sul perché, persino sul dove; nel caso del video di Mango, il testo della canzone che il video dovrebbe illustrare non sembra invece avere nulla a che fare con la situazione raccontata dalle immagini. Al massimo, si può ipotizzare che il duello raffigurato sia il prologo alla fuga della ragazza, la messinscena di un'incomprensione che ha condotto alla fine - o al non-inizio - del loro rapporto.

E' come se le immagini precedessero le parole, o meglio, illustrassero a livello intuitivo (e quasi onirico, nel caso de L'ora di religione) prima ancora che concettuale un fenomeno che deve ancora trovare la sua codificazione razionale. A noi sintonizzare le antenne, e cercare di capire quale collocazione, e quale significato, attribuire a questi duelli contemporanei.

 

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