L'invenzione di un elettore
competente
Giancarlo Bosetti
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decidere?
L'invenzione di un elettore
competente
Ascolto l'esperto, ne parlo con
gli altri, poi decido
Chi è James Fishkin
Questo articolo appare sul numero 71 di Reset.
Gli americani le chiamano città bellwether, sono piccoli
centri, di solito nel Midwest, nell'Indiana o nell'Illinois, che
funzionano da "capobranco", "capogregge",
appunto bellwether, noi diremmo forse "pesce
pilota", nel senso che i risultati elettorali di queste città
o di queste province corrispondono quasi regolarmente a quelli
nazionali. Si tratta di una specie di magia statistica alla quale,
nel paese di George Gallup, inventore dei sondaggi di opinione, si
sono applicati in molti, perché una vera bellwether dà
poteri di previsione ai politici, può diventare una gallina dalle
uova d'oro, e si presta, a pensarci un po', a sviluppi logici
sorprendenti.
E' come essere al centro del centro di una nazione e poterne
scrutare gli umori nei minimi dettagli. In Italia hanno immaginato
qualcosa del genere a Foligno, centro geometrico della nazione, dove
c'è un bar, centro geometrico del paese, nel cui centro c'è un
biliardo, che ha naturalmente al centro i birilli del filotto. Le
chiacchiere in quel bar acquistano una certa solennità. Ma a
Foligno il "centro" è solo un fatto geografico, una vera bellwether
è invece una città incantata, un centro matematico, un villaggio
dai poteri quasi soprannaturali dove i pochi abitanti pensano
talvolta di far tremare i futuri presidenti degli Stati Uniti.
L'idea è tipicamente americana per la semplice ragione che gli
Stati Uniti sono il paese di origine di due cose di fondamentale
importanza per il mondo di oggi: la moderna democrazia
rappresentativa e la cosiddetta società della informazione.
Di città bellwether e anche di Stati bellwether (chi
vince lì vince anche a Washington) si parla dunque ogni volta che
ci sono le elezioni, ma la cosa non si è spinta mai veramente al di
là della curiosità televisiva. Hollywood ne ha ricavato un film
divertente con James Stewart, nel 1947, intitolato Magic Town. » la
storia di una cittadina americana che si chiama Grandview, dove un
ambizioso emulo di Gallup (Stewart) pensa di poter giocare le sue
carte su questo "miracolo matematico" e di farci sopra la
sua fortuna. Ma qui viene la parte della storia che ci riguarda: gli
abitanti del paese si accorgono dei loro magici poteri.

La conseguenza è che cominciano a occuparsi di politica con
un'intensità che prima non avevano mai conosciuto, raccolgono
informazioni che prima trascuravano, si sentono responsabili perché
ritengono che dal loro giudizio (al centro ormai dell'attenzione
generale) dipendano i destini della nazione. La storia prosegue con
sviluppi comici e disavventure varie: gli abitanti di Grandview si
montano la testa a causa del potere improvvisamente acquistato. Il
lieto fine comunque è garantito dal fatto che la comunità ritrova
il proprio spirito civico e si rende conto una volta per tutte delle
enormi possibilità che risiedono nell'assumere consapevolmente le
proprie responsabilità.
James Fishkin, un noto politologo americano della Università del
Texas a Austin, ha riproposto questa storia in apertura del suo
libro The Voice of the People (Yale University Press, 1997) e la
rilancia oggi dal suo sito con una intenzione precisa: fissare il
momento in cui gli abitanti di Grandview si sentono investiti di una
responsabilità eccezionale: quella di decidere sugli affari
pubblici. E' allora che scoprono di non avere abbastanza
informazioni e competenze per decidere. E di averne un gran bisogno.
E' allora che scoprono anche come sia possibile procurarsele queste
informazioni, purché lo si voglia fare.
E' allora che scoprono l'importanza della discussione sulle cose da
fare, sul bisogno di riunirsi e parlare con competenza. Fishkin
vuole fissare quel momento per ricavarne una proposta per l'oggi. E
si chiede: c'è un modo perché i cittadini di una moderna
democrazia in un paese avanzato siano sollecitati a diventare come
gli abitanti di Grandview? E di evitare il guaio tipico di una
democrazia di massa: che ciascun elettore si senta un granello
insignificante tra milioni di altri granelli e decida che impegnarsi
a raccogliere informazioni, a studiare e a discutere le pubbliche
questioni sia un cattivo investimento del proprio tempo perché la
influenza del suo singolo voto sarà nulla?
Tante Grandviews
Se il caso ha realizzato piccoli insiemi di popolazione che
rispecchiano fedelmente un'intera nazione, non possiamo dare una
mano al caso e creare noi, una o tante Grandview? Fishkin se lo è
chiesto e ha trovato anche una risposta, anzi ne ha trovate tre: una
immediata e più semplice, la seconda più sofisticata e originale,
la terza ambiziosissima se non addirittura rivoluzionaria. La prima
è, per così dire, un'invenzione già inventata da altri: il
sondaggio di opinione. La seconda è un'invenzione reale cui Fishkin
ha dato il suo copyright ed un nome: deliberative polling, ovvero
sondaggio deliberativo. La terza, anche lei originale ma ancora più
dirompente, è quella che Fishkin in un articolo scritto insieme a
Bruce Ackerman, un noto costituzionalista americano, propone di
chiamare Deliberation Day. Andiamo per ordine e cominciamo dai
sondaggi.
Una Grandview artificiale si può sicuramente creare, anzi la si
può fare ancora più affidabile e precisa di quanto non sappia fare
il caso statistico. E' esattamente il mestiere degli eredi di Gallup,
al quale il film hollywoodiano faceva appunto il verso. Da quando il
padre fondatore della disciplina nel 1936 vinse la sua gara con la
rivista "Literary Digest", prevedendo l'elezione del
presidente, con un metodo che faceva valere la superiorità del
campione statistico selezionato in base a criteri di equilibrio e di
proporzioni tra classi sociali, livello di studio, zone geografiche
e così via, rispetto ai campioni messi insieme su basi volontarie e
approssimative da un giornale, la tecnica del sondaggio di opinione
ha fatto molti progressi e si dimostra sempre più capace di
avvicinarsi a una previsione precisa.
Ma è un'invenzione di cui abbiamo già sperimentato tutti i
vantaggi e insieme tutti i limiti. Serve indubbiamente ai politici
per ricavare indizi sugli umori dell'elettorato. Ma ha un difetto
fondamentale, che Fishkin mette a fuoco in modo impietoso: il
sondaggio è un prelievo istantaneo del parere della gente su
argomenti che la gente ignora o conosce in maniera molto
superficiale. Avevamo già ampiamente acquisito che il sondaggio ha
dei vizi noti a chiunque se ne sia occupato con un po' di
attenzione: è esposto all'emotività del momento, non consente una
fase di riflessione, richiede una drastica semplificazione dei
quesiti, si presta a ogni genere di manipolazioni, appare sempre di
più uno strumento nelle mani di chi detiene il potere per
conservarlo e sempre di meno un mezzo nelle mani degli elettori per
affermare la propria volontà.
Ma la riflessione di Fishkin vuole mettere l'accento su un punto
specifico: il sondaggio è un modo di raccogliere l'opinione dei
cittadini agli antipodi del modello ideale della discussione
pubblica. Manca quello che lui chiama il momento
"deliberativo", e cioè esattamente il processo della
discussione intesa come confronto di argomenti razionali allo scopo
di perseguire il bene della collettività interessata alla
decisione. Noi sappiamo dal sondaggio quel che la gente pensa lì
per lì, non quello che la stessa gente ne penserebbe se potesse
approfondire la questione dedicando un po' di tempo alla raccolta
delle informazioni necessarie, alla riflessione indispensabile su di
esse per sviluppare una competenza, alla discussione con esperti e
con altre persone della comunità.
Se conoscessimo l'opinione della gente dopo che essa fosse stata
coinvolta in una simile discussione competente e dopo che fosse
stato incentivato il suo interesse a parteciparvi noi saremmo molto
più vicini a realizzare, in tutta la sua forza, quel processo
democratico che pure idealmente sta alla base dei sistemi politici
liberi dei paesi più avanzati del mondo. E' vero che in una
discussione pubblica non si va astrattamente per confrontarsi
cartesianamente con il bene pubblico, ma che ci si va portandovi i
propri interessi e le proprie preferenze (comprese anche le proprie
tenaci credenze e fedeltà non razionali), ma è anche vero che in
una discussione le preferenze vengono poste a confronto con altre e
possono essere modificate in tutto o in parte e che gli interessi
possono essere diversamente interpretati grazie al contributo di
argomenti pertinenti.
Non è un'utopia
Utopie? Ma niente affatto, tant'è vero che in un certa misura
questa esigenza (quella di sapere che cosa un piccolo campione di
popolazione pensa di un argomento dopo averlo approfondito in una
discussione) è già stata incorporata in forme di sondaggio
qualitativo denominate "focus groups" che abbiamo visto
comparire talvolta sui giornali prima delle elezioni. L'invenzione
di Fishkin non è dunque un rilancio e un allargamento della pratica
dei focus groups; rispetto a quel metodo si muove in un'altra
direzione: i deliberative pollings non si aggiungono al repertorio
di strumenti a disposizione degli istituti demoscopici, dei
giornali, dei partiti politici e dei candidati per affinare le
capacità di previsione o aumentare la forza persuasiva degli
slogan.

Lo scopo persegue un obiettivo importante per chi guarda il processo
politico dall'altra parte: è quello di rafforzare la competenza
dell'elettorato, di raffinare se mai proprio la sua capacità di non
farsi persuadere da semplici slogan, di esigere molto di più delle
sound bites, delle battute di pochi secondi al tg, di imporre un
reale confronto di argomenti. Per questo il progetto coinvolge una
quantità di persone molto più elevata che devono essere retribuite
per il tempo dedicato alla partecipazione ai seminari, proprio come
vengono retribuiti gli scrutatori ai seggi in occasione delle
elezioni: centinaia di persone per uno, due o tre giorni. La
discussione viene suddivisa in tanti piccoli gruppi, vengono
distribuite informazioni preparate da squadre di esperti, si
ascoltano relazioni, si confrontano opinioni di specialisti e di
politici di parti diverse. Si raccolgono in questionari le opinioni
dei partecipanti prima e dopo la discussione. E si misura di quanto
le opinioni si possano spostare grazie ad una discussione
sistematicamente organizzata.
Una delle chiavi del metodo Fishkin negli esperimenti fin qui
condotti e destinata ad essere sviluppata è data dalla
moltiplicazione degli effetti della discussione nei due o tre giorni
di seminario grazie alla copertura mediatica dell'evento. Come
risulta dalla documentazione che qui pubblichiamo, in due casi
l'evento è stato finanziato da una televisione (la Pbs negli Stati
Uniti, la piccola televisione pubblica che mostra anche in questo di
avere una sua specifica funzione istituzionale, e Channel 4 in Gran
Bretagna, che conferma la sua vocazione sperimentale). Va notato che
con il finanziamento di un deliberative polling, una catena
televisiva si assicura un certo numero di ore di trasmissione che
possono garantire, in prossimità delle elezioni, una audience
significativa, sicuramente maggiore di quella di molte inutili
noiosissime ore di tribuna elettorale istituzionale.
Alla copertura televisiva si aggiungerebbe la copertura dei
giornali: il processo attraverso il quale centinaia di persone
approfondiscono un tema e modificano la loro opinione in una
discussione faccia a faccia con esperti e con persone di diverso
parere diventerebbe materia di riflessione collettiva. Pensiamo ai
temi più controversi come a quelli che più facilmente si prestano
a semplificazioni sloganistiche: immigrazione, criminalità, sistema
elettorale, legislazione sul lavoro, riforma delle pensioni,
politiche fiscali, riforma dei cicli scolastici. Ma il metodo
potrebbe avere importanti applicazioni anche sul piano cittadino o
regionale: scelte di viabilità, strategie di trasporto pubblico,
tutela delle acque e dei parchi, orari dei servizi.
Proviamolo in Italia
I deliberative pollings non sono una proposta di sinistra o
di destra, sono una proposta che verrà bene accolta da quei
politici che non temono il confronto degli argomenti, la verifica
degli slogan, l'approfondimento delle difficoltà e dei modi di
superarle. E' giunto il momento di avviare questo esperimento in
Italia. La scelta sarebbe particolarmente opportuna in un paese come
il nostro dove la stampa quotidiana mantiene una debolezza
strutturale e non riesce a raggiungere neanche saltuariamente i due
terzi della popolazione. Questo significa che la grande maggioranza
dei cittadini italiani assume informazioni soltanto attraverso la
televisione, e quindi soltanto attraverso quel modo sincopato,
brevissimo e necessariamente superficiale, di toccare qualunque
argomento che è pressoché inevitabile in televisione. Ed è forse
anche un modo per uscire dallo schema obbligato dei talk shows che
spingono fatalmente la politica sempre di più verso un registro
spettacolare e fazioso.
E mentre mettiamo in discussione la proposta dei deliberative
pollings, che svilupperemo e seguiremo nei prossimi mesi, nella
speranza che questa iniezione di partecipazione venga ad arricchire
la sofferente ed asfittica discussione pubblica italiana, guardiamo
con interesse e curiosità la nuova proposta che Fishkin e Ackerman
avanzano con un ardimento davvero straordinario: un Deliberative
Day, un giorno intero, di festa, e retribuito, per una porzione
enorme, o addirittura per la totalità degli aventi diritto al voto
negli Stati Uniti, un giorno intero da dedicare alla discussione
politica sui candidati, una settimana prima delle elezioni
presidenziali. Una intera nazione che si trasforma nella città
magica di Grandview. A chi ritiene questa visione troppo poco
realistica si può obiettare che anche la democrazia rappresentativa
a suffragio universale sembrava un miraggio assolutamente
irraggiungibile poco più di cento anni fa.
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