Se non deliberi, come fai a
decidere?
Elisabetta Ambrosi
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competente
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Chi è James Fishkin
Impossibile decidere, senza “deliberare”. Sembra una
contraddizione, e in effetti in italiano lo è. In inglese, al
contrario, il termine deliberation, spietato false friend,
non equivale per nulla al sostantivo italiano “deliberazione”. To
deliberate significa infatti discutere su un tema, passare al
vaglio le diverse e opposte opinioni che sono in circolazione al
proposito.
Cosa che facciamo tutti i giorni, direte voi. Per nulla,
risponderebbe James Fishkin, politologo statunitense, la cui
proposta, che vi presentiamo in questo numero di Caffè Europa,
è destinata a mettere un poco alla prova la nostra umiltà.
Infatti, se davvero noi “deliberassero” sulle questioni più
importanti della vita politica e sociale, le nostre opinioni
sarebbero quasi sicuramente radicalmente diverse da quelle che
abbiamo attualmente.

Perché? E in che cosa consiste la proposta dei deliberative
pollings di James Fishkin, che è stata illustrata nell’ultimo
numero della rivista Reset (dal quale sono tratti gli
articoli che seguono) e recentemente discussa in un incontro a
Palazzo del Seminario, al quale hanno partecipato, oltre al
direttore di Reset e Caffè Europa - Giancarlo Bosetti
- Giuliano Amato, il costituzionalista Massimo Luciani, il
presidente della Rai Antonio Baldassarre, l’esperto di sondaggi
Renato Mannheimer, infine Domenico Mennitti, Enrico Letta, Claudio
Petruccioli e Carlo Rognoni?
Un vaccino democratico
Prendi un bel gruppo di persone, 2 o 300, che costituiscano un
campione rappresentativo della nazione, mettile insieme due, tre,
quattro giorni in un albergo, metti loro a disposizione persone
rigorosamente informate che illustrino nei dettagli le diverse
posizioni politiche su un tema di importanza regionale (ad esempio l’autostrada
in Maremma), o nazionale (la scuola), falle discutere animatamente
in piccoli gruppi e, infine, registra il loro cambiamento di
opinione: il risultato sarà sorprendente, il margine di spostamento
notevolmente alto (anche fino al 50 per cento!), come lo stesso
Fishkin ha già riscontrato in tutti i deliberative pollings
già effettuati in America, Australia, Gran Bretagna.
Poi rimanda i partecipanti a casa, ed ecco, ci saranno 300 persone
informate in giro per la società, capaci di operare “dall’interno”
e piano piano migliorare i mali di cui soffre la nostra democrazia,
attraverso un’opera di convincimento letteralmente “porta a
porta”.
Bello, direte voi, ma i costi? Ecco la più temibile obiezione. Ma
voi davvero pensate che un servizio televisivo su questo formidabile
esperimento democratico non interesserebbe nessuno? In Australia un deliberative
polling si è svolto niente meno che nell’emiciclo del
parlamento di Canberra. Immaginatevi seduti sugli scranni di
Montecitorio, chiamati a discutere su questioni di salute pubblica,
scuola, Europa. Un’emozione grandissima, per chi partecipa, ma
anche per chi eventualmente fosse solo spettatore (Grande
Fratello della politica, qualcuno l’ha chiamato: la differenza
sostanziale è che in questo caso quelli che uscirebbero dalla “casa”
sarebbero persone informate - non rischierebbero, insomma, di
scambiare Dante Alighieri per Santi Licheri, giudice fantoccio della
trasmissione Mediaset Forum, come ha fatto il Salvo della
prima edizione). La televisione, dunque, dovrebbe essere il grande
sponsor dell’iniziativa, come è già stato nei casi già
effettuati di deliberative pollings: Baldassare, che già
nell’incontro sopra citato ha espresso una opinione favorevole all’iniziativa,
è allertato.
Il passo ulteriore sarebbe poi quello, secondo Fishkin, di arrivare
a un festoso deliberation day, il giorno prima delle elezioni
politiche, in cui tutti, invece di andare al lavoro, possano avere
la possibilità di discutere, sempre in piccoli gruppi, sui
programmi presentati dai diversi schieramenti, per non arrivare “nudi
e sprovveduti al momento del voto” (come ha scritto Stefano
Rodotà su Reset).
Fantapolitica? Forse. Potremmo però chiamare la proposta del deliberation
day “l’idea regolativa” dei deliberative pollings,
la meta finale alla quale piano piano avvicinarsi: essa potrebbe
contribuire in maniera significativa alla crisi della partecipazione
politica, mettendo in moto emozioni e motivazioni da tempo smarrite.
Amico o nemico dei sondaggi?
Renato Mannheimer, pungolato, durante l’incontro-discussione a
Palazzo del Seminario proprio sul tema che gli è più caro, ha
contestato che la proposta di Fishkin venisse chiamata l’”antisondaggio”,
come ha fatto Reset, alla ricerca di un titolo che esprimesse
la novità dell’iniziativa, in contrasto agli ormai davvero
screditati sondaggi. Si tratterebbe piuttosto, per Mannheimer, di un
supersondaggio, di un sondaggio coi fiocchi, del sondaggio così
come dovrebbe essere.
L’obiezione di Mannheimer è in parte giusta, anche se è molto
importante sottolineare che scopo della proposta Fishkin non è
quello di rilevare l’opinione pubblica su questo e quel
tema, ma di fare ad essa una vera e propria iniezione di ferro e
vitamine, migliorandone la qualità, aumentandone la competenza. Che
poi il sondaggio risulti più fedele è un beneficio in più, un
piacevole effetto collaterale di una buona, davvero ottima,
medicina, di un “vaccino democratico” alla società civile.

La proposta avanzata da Mannheimer, sempre nel sopracitato incontro,
cioè quella di fare, al posto di un deliberative polling
vero e proprio, una trasmissione televisiva in cui si registri l’opinione
delle persone in studio, prima e dopo alcune sessioni informative,
non è perciò del tutto adeguata all’idea di Fishkin. Ma, come
dire, essendo la democrazia assai fragile, anche una proposta di
questo tipo potrebbe senz’altro risultare utile e meno costosa.
Spietatamente neutrale
“Stoccata a Berlusconi”, riporta un articolo di Repubblica
sull’incontro svoltosi per discutere la proposta di Fishkin. In
realtà, il metodo del politologo statunitense eventuali stoccate le
invia a destra e sinistra: per questo si accredita come
rigorosamente neutrale. Nei diciotto esperimenti già effettuati, lo
spostamento di opinione non è avvenuto necessariamente in direzione
di una posizione “di sinistra”.
Il vero bersaglio di questa idea è, pertanto, la gestione
personalistica della politica, quella cioè, in cui la deliberation
avviene sulle persone, e non sui contenuti. Quella in cui si guarda
prima all’appartenenza partitica di chi propone un’idea prima di
giudicare l’idea stessa. Quella che strumentalizza ogni tentativo
di arrivare a un giudizio di verità sulla realtà, rovesciando
qualsiasi tentativo in tal senso in mania di persecuzione.
Quella che, infine, rende impossibile un vero confronto, creando l’angosciante
sensazione di non poter più arrivare a capire come stanno veramente
le cose. Per questo in Italia la proposta di Fishkin, intelligente
ma anche intuitiva, avrebbe probabilmente un carattere davvero “rivoluzionario”.
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